GIOVANE DONNA

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Un rumore di spari forò i timpani della giovane donna seduta alla finestra. Le sue pupille si allargarono, il cuore iniziò a batterle lentamente e la gola fu raschiata dalla consapevolezza che la morte presto l'avrebbe abbracciata. L'ultimo respiro che le era stato concesso usciva senza vita dalle labbra screpolate e spaccate, mentre il ghiaccio le scorreva nelle vene del corpo ormai eternamente inerte. L'ultimo sguardo al mondo e un ultimo tenero pensiero, perché la voce le era ormai stata rapita dal tempo che prematuramente la chiamava a sé. Fu proprio quell'ultimo pensiero la condanna della sua eterna morte...
"Addio... mi dispiace". Perché un cuore così altamente raro, gentile e colmo d'amore avrebbe dovuto scusarsi prima di morire? Perché una persona avrebbe mai voluto ucciderla così brutalmente e così improvvisamente? Le risposte rimasero ignote a chiunque. 
Emma era il suo nome, il nome dell'anima rimasta a vagare senza meta sulla terra a causa di interrogativi impossibili che affliggevano la realtà. Nessuno si ricordò mai più di Emma, nessuno conobbe mai la persona che l'aveva uccisa e il suo caso venne archiviato e mai più aperto.

La notte in cui Emma morì, il secondo preciso in cui avvenne la trasformazione a New Orleans in Luisiana nacque un bambino di nome Ethan. Gettata sulla terra l'anima della ragazza una parte del suo dolce cuore si agganciò all'unica forma prematura di vita esistente sulla terra: Ethan. Nel momento in cui si compie una metamorfosi o una rinascita l'ultima parte ancora umana della propria anima cerca senza sosta un qualcosa a cui aggrapparsi, in questo caso quella di Emma era perfettamente compatibile con quella di Ethan, a cui mancava una parte.
Lei era morta ma era anche incosciente del fatto che una persona nel mondo condividesse il suo cuore, ma la vera e propria maledizione nacque dal fatto che Ethan fosse il solo e unico a poterla vedere e sentire.

Ethan si alzò dal letto e il freddo che costantemente provava gli avvolse il corpo. Si sentiva come se non esistesse, ed era come se tutti i giorni gli altri non lo vedessero e non lo considerassero.
Rimase seduto sul letto pensando di evitare le lezioni, ma poi si alzò e si sbrigò a prepararsi, aveva già fatto troppe assenze e non se ne poteva permettere un'altra.
Si mise la solita maglia verde pistacchio, il solito jeans usato e riusato, e le scarpe che erano talmente piene di cuciture che potevano essere definite un'opera creata da Ethan.
Prima di uscire dal portone si guardò intorno. Guardò il tavolo nell'angolo, colmo di roba; il tappeto sporco d'alcol che faceva odore fino al bagno; il divano, un tempo bianco e oramai di un colore che si avvicinava al giallastro e l'unica minuscola finestra della casa, affacciata al muro del palazzo di fronte e che lasciava entrare giusto quel po' di ossigeno per sopravvivere. Fece un sospiro e si domandò dove fosse sua madre. Nemmeno ebbe finito il pensiero che vide un biglietto lasciato appiccicato alla porta, con su scritto:
"Buongiorno, sono a casa di amici, se hai fame cerca qualcosa in frigo.
PS: Torno domani pomeriggio.
Mamma"
Ethan staccò con violenza il biglietto dal portone e lo strappò.
Si sedette sulla poltrona che affiancava il divano e con le dita si massaggiò gli occhi. Un singhiozzò avvertì l'inizio di un pianto isterico. Con le mani si coprì il volto finché non si alzò ed uscì sbattendo la porta. Con forte dolore e rammarico la mente di Ethan divenne consapevole che quel giorno avrebbe mangiato poco o niente. Corse per andare via da quell'inferno che chiamava casa.

Fuori pioveva, il cielo era così grigio e ingombrante, così pallido e monotono che Ethan per un minuto si sentì soffocare. Era come se fosse un essere non vivente senza emozioni, a eccezione della sofferenza. Non c'era futuro per lui, c'era solo una vita che non voleva. La sua mente tornò ad un pensiero che spesso la attraversava: "il suicidio". Era l'unico pensiero che rianimasse l'anima sotto tortura di Ethan.

''Cosa c'è che non va in me? Perché non posso avere una fottuta vita normale, con una fottuta famiglia normale e con una fottuta mente normale? Perché devo morire di fame? Perché mia madre non può amarmi e non può preoccuparsi di me e di quello che non c'è da mangiare? Perché non la smette di bere, di giocare e di scopare? Perché non può trovarsi un lavoro?"
I suoi occhi erano pregnanti di lacrime salate che non scendevano dolcemente, no esse erano lame che tagliavano le guance del giovane ragazzo disperato.
Per un dannato decimo di un dannato secondo Ethan distolse lo sguardo, prima rivolto ai piedi e ora rivolto al volto di una ragazza. Il volto più grazioso, incantevole, leggiadro e aggraziato che avesse mai incontrato. I suoi occhi si illuminarono e una forte attrazione lo spinse verso la giovane donna seduta sulla vecchia panchina rovinata, intenta ad osservare la natura circostante. Sembrava le gradisse il colore del cielo e il forte vento che strappava le foglie ai rami.

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