Capitolo tre - se sopravvivere non basta, allora vivi

1.5K 116 8
                                    

Capitolo tre
se sopravvivere non basta, allora vivi

Chiuso in una cella, ricordi e mancanza di risposte), day four
Non era mai stato morire il problema. In un mondo in cui puoi solo tentare di sopravvivere, la morte era una realtà fin troppo concreta, non importa quanto estesi siano i periodi in cui la calma sembra avere la meglio. Forse ti ci adattavi, ci convivevi, ma per lui sarebbe stato impossibile abituarvisi. Per loro, tutti loro, esistere era una continua scansione di eventi suddivisi in due grandi blocchi temporali: quelli in cui c'erano i giganti, e i momenti in cui gli stessi li lasciavano in pace.
Ma Eren aveva scoperto una nuova realtà. Una in cui viveva, in parte come umano e in parte come gigante. Entrambe erano estremamente pericolose, ma se una riguardava l'umanità che lo vedeva come una speranza, l'altra riguardava solo lui.
Capiva cosa Erwin avesse voluto dirgli, anche se non l'aveva fatto ad alta voce.
Eren stava cambiando. Il problema non era non saper tenere sotto controllo del gigante, ma il godere troppo nel non farlo, nella piena consapevolezza del potere totale e nauseante che provocava in lui.
Succedeva, anche da umano, che sentisse agitarsi quella sete di sangue dentro le sue stesse vene, come un virus. Un'altra vita che cresceva dentro di lui, giostrando impeto e pazienza come a beffarsi di chi lo ospitava, ma ricordandogli continuamente la propria presenza anche nei movimenti più lievi, meticolosamente studiati per rendergli impossibile dimenticare che l'umanità era una specie a cui lui non sarebbe mai più appartenuto davvero. 
E allora si scagliava sui suoi compagni, disubbidiva agli ordini, si gettava nei combattimenti come se scommettere la propria vita non fosse già abbastanza -come se dovesse arrivare sul punto di morire per vivere davvero. 
In quei momenti non c'era incertezza, né confusione, piuttosto una profonda lucidità e la consapevolezza che quel bisogno malato... non lo travolgeva, come aveva sempre preferito raccontarsi. 
Era lui a farlo crescere.

-Perché mi stai ignorando?-
-Devo fare delle cose-
-Puoi farle dopo-

Eren l'aveva guardato, ma dopo quei mesi passati insieme era abbastanza semplice capire quando non volesse davvero essere importunato. Quei pensieri gli facevano venire in mente com'era cominciata, com'era incerto nei confronti dell'uomo che aveva capito di desiderare da meno innocenti punti di vista.
Non era solo una questione fisica, che già di per sé rappresentava una novità per lui, ma qualcosa di così inafferrabile, astratto, e allo stesso tempo capace di imporre la propria presenza con una pesantezza tanto rude quanto frustrante, amara, e dolce da far male.
Eren ricordava le punizioni causate dal suo temperamento incoerente, quando Levi lo piacchiava fino a farlo guarire quasi del tutto, per poi ricominciare.
Diceva sempre che la disciplina migliore è il dolore.
Più volte era arrivato sul punto di trasformarsi in gigante e assecondare l'ira che lo devastava, che lo scuoteva da dentro, che accresceva il suo lato mostruoso ogni giorno più di prima, rendendo prima spaventato, poi insensibile, quello umano. 
Ma poi, fra un calcio e l'altro, ricordava che quel continuo spingerlo al limite da parte del Caporale serviva solo ad impartirgli una lezione, che ribellarsi avrebbe significato cedere potere al mostro che sapeva di non essere, nemmeno nei panni di gigante. Il come farla propria, poi, dipendeva da lui. Si aggrappava a quella morale contorta come se dipendesse da essa.
La prima volta che gli era saltato addosso per baciarlo (letteralmente), per sfogare quella sensazione euforica e corrosiva, non era neanche stato rifiutato. Si erano accaniti l'uno contro l'altro finché in bocca non gli era scivolato il sapore del sangue di Levi, e aveva perso il controllo.
C'erano voluti dieci minuti per rendere Eren completamente inoffensivo, e aveva passato una notte nella cella con i polsi e le caviglie legati.

-Perché mi stai ignorando?-
-Devo fare delle cose-
-Puoi farle dopo-
Eren osservava il Caporale rivestirsi dalla sua postazione alla finestra, mentre questo svoltava le maniche fino al gomito per poi abbottonarsi lentamente la camicia, partendo dal basso. Era andato a lavarsi e recuperare dei vestiti puliti, ma i suoi capelli erano ancora umidi e qualche goccia d'acqua gli scivolava lungo il collo.
-Non ti facevo così bisognoso- 
Non c'era alcuna inflessione nella sua voce mentre continuava a rassettarsi, pronto per uscire da quella camera, nel mondo dentro le mura. Ma erano da poco tornati da un sopraluogo del Wall Rose ad est (appena un'ora prima, quando Eren non aveva nemmeno iniziato a spogliarsi che Levi era entrato nella sua camera), e il Caporale aveva concesso loro riposo in uno dei piccoli quartier generali del Corpo di Ricognizione. E quella pausa valeva anche per lui, no?
Gli arrivò dietro e, avvantagiato dalla scarsa altezza del Caporale, piegò la testa fino a posargli il mento sulla spalla destra, sovrapponendo le proprie mani alle sue e fermandolo nell'atto di infilare un bottone nell'asola.
Fece aderire il petto alla schiena dell'uomo, facendogli poi sentire come il sesso di poco prima non l'avesse ancora soddisfatto del tutto.
-Non sono bisognoso. Solo... Caporale, voglio farlo di nuovo-
Inclinò il capo verso sinistra, così che il proprio respiro giocasse con la pelle all'altezza del suo collo e, incapace di impedirselo, si avvicinò un po' di più per lasciare nello stesso punto il più casto e dolce dei baci.
-Ti ho detto che non ho tempo-
Ma il suo tono si era addolcito e il suo peso gravava di più sul petto di Eren, facendo aderire il proprio bacino su quello del ragazzo, che emise un piccolo sospiro.
-E' l'ultima. Non glielo chiederò più,- 
fino alla prossima volta in cui verrai nella mia camera, o io nella tua.
Lo sapevano entrambi mentre Levi si girava, facendo indietreggiare Eren sulle gambe un po' incerte fino a toccare la parete dietro di lui.
-L'ultima, eh...-
Amava che, in quelle occasioni, i suoi occhi immoboli, indecifrabili, si tingessero di mille sfumature espressive senza cambiare colore o lucentezza; acquisivano una profondità tale da far perdere ad Eren il senso della realtà, del pavimento sotto i piedi, tanto non riusciva a guardare altrove. Diventavano più intensi, consapevoli di lui e lui solo, di loro due in quella stanza, in quelle quattro, piccole pareti, qualunque esse fossero.
Non importava che Eren fosse più alto, anche in piedi Levi era capace di imporsi su di lui e farlo sentire il moccioso che era. Non gli restava altro che chiedere, e poi lasciarlo fare.
Lasciarsi andare.

Ricordò com'era fare l'amore con lui, sentirsi annientare da quel desiderio che gli toglieva il respiro, travolgere dalle sue mani troppo veloci, troppo lente e infinitamente esperte, dalle sue labbra che prendevano tutto quando giuravano di non volere nulla.
Ricordò il sapore del suo sangue in bocca, quella prima volta, e anche quelle seguenti, quando nell'impeto dell'orgasmo non era riuscito a trattenersi dal morderlo.

Levi non era ancora uscito da dentro di lui, come faceva di solito; era parte della tortura. Eren amava il calore generato dai loro corpi uniti, e sapeva che anche per lui era così. Ma Levi non era mai soltanto dolce con lui, e sospettava che il bello di avere una relazione con qualcuno di molto più giovane fosse quello di poter dare ogni tipo di ordine, e pretendere quel che si vuole.
Perciò quando lo fece voltare sullo stomaco senza smettere di spingersi dentro di lui, Eren era completamente perso nel paradiso di torture in cui il Caporale lo stava confinando.
-C-Caporale...?-
-Credi di essere l'unico a poter chiedere un'ultima volta, moccioso?-
Eren gemette in modo quasi indecente, afferrando saldamente il lenzuolo sotto di lui, deciso a godersi ogni attimo di quella follia.

Si chiese se ne avesse ancora il diritto.
Se giurare che quella segretezza sarebbe rimasta chiusa nel fondo più buio del suo cuore fosse stato inutile, dal momento che era bastato un momento per spazzare via ogni prudenza, ogni timore di essere scoperti, tuffarsi fra la braccia della morte per strappargli Levi dal petto e, semmai, prendere il suo posto. 
Lo faceva ridere il pensiero che magari, lì fuori, si aspettassero tutti di sentirgli raccontare chissà quali grandi rivelazioni inerenti al suo comportamento, in quell'ultima volta che Eren era stato visto pubblicamente in azione. Tutti si domandavano per quale motivo, pochi avrebbero potuto davvero cogliere la verità.
Perché non c'era nessuna ragione subliminale d'importanza civile, sociale, politica, nessuna strategia o qualche gran segreto di stato. C'era, invece, il fatto che Eren fosse innamorato del suo Caporale, e che avrebbe preferito una vita in prigione, o una condannata, piuttosto che assistere alla sua morte ed esserne complice.
Nella cella, Eren si strinse a sé quanto più gli era possibile, cercando un po' di calore in quei ricordi.

Now it's my turn e.e
Ed ecco l'altro capitolo. Passato quello di Levi, torniamo al nostro piccolo Eren. Mi sono "divertita" a spogliarlo di tutte le sue difese, di annientarlo con le parole e aprire completamente il suo cuore. Non c'è davvero molto da dire, spero piuttosto che abbiate voi qualcosa da dire a me. 
Al prossimo, e ultimo, capitolo!
*kiss*

choice.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora