Capitolo quattro

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Capitolo quattro
saluta la tua punizione ad occhi chiusi, e non dimenticare il sorriso

day five 
Stavolta, quando Eren aprì gli occhi, non vide nulla.
Nè le forme della cella, delle sbarre, ne l'alone scuro che macchiava il suo campo visivo quando si risvegliava, causato dalla mancanza di luce.
Il cuore prese a battergli forsennato, e si chiese se per caso non fosse diventato cieco nel sonno.
-Stai fermo, moccioso.-
Eren smise di scuotere la testa al suono di quella voce.
Sentì delle mani su di sé, all'altezza delle braccia e poi dei polsi, e il rumore del metallo che sbatte contro se stesso. Si abbandonò completamente ad esse provando una strana serenità per la prima volta da quando l'avevano rinchiuso. L'insensibilità degli ultimi giorni lo stava lentamente abbandonando, mentre Eren ritrovava adagio i confini del proprio corpo e della propria mente come se fino ad allora avesse semplicemente vagato nel nulla; tutto mentre Levi gli si muoveva intorno, sganciando le catene e allentando via via la presa contro il palo. 
Come riusciva a fargli quell'effetto? Com'era arrivato a concepire quel magone dentro di sé con così tanta consapevolezza che ora, solo sapere che fosse Levi quello a pochi centimetri da lui, bastava a renderlo così leggero? La sua mente, indebolita dalle folli proiezioni dei propri pensieri, annaspava alla ricerca dei lacci che lo legavano in maniera così totalizzante al Caporale, senza trovarli. 
Ma li sentiva, fin troppo tangibili. Come se, mentre quelle catene gli sparivano intorno al corpo, altre, ben più sinuose e letali, si sciogliessero nella sua testa, liberando un po' di luce alla volta, accompagnando i pensieri bui lì dove prima Eren era stato cacciato a forza.
Probabilmente era sciocco e infantile sentirsi in quel modo, nella situazione in cui si trovava. Ma Levi era lì. Non aveva importanza se per liberarlo o ucciderlo, purché fosse lui.
Le catene sferragliarono, cozzando col pavimento, dopodiché Eren fu libero di muoversi, eccezion fatta per le manette e la benda che gli ostruiva la visuale. 
Il dolore fu terribile, mentre il suo corpo riprendeva sensibilità, pungendo ovunque, e lo accolse con un sollievo che durò solo un momento.
-Caporale, sono libero di uscire?-
-Ho parlato con Erwin. Sei in libertà vigilata, e sotto la mia supervisione. Puoi muoverti solo in questo castello, o al di fuori nell'esclusivo caso in cui ti venga data un'autorizzazione speciale. Disubbidisci e verrai seppellito vivo. Chiaro?-
Pratico come sempre. Il piccolissimo sorriso che Eren aveva sulle labbra tremò.
-Si, signore- 
Era sincero, anche per Levi fu facile capirlo, ma non abbassò l'ascia da guerra. Eren poteva avvertire la sua tensione, in un certo senso, e nemmeno lui riusciva a rilassarsi.
Allungò un braccio, tentando di raggiungerlo pur essendo incapace di vederlo, e si chiese perché non gli avesse ancora tolto quelle antipatiche costrizioni all'altezza dei polsi e degli occhi.
Quando gli sfiorò il gomito e strinse la presa, fu sul punto di aprire la bocca e dare voce al flusso di pensieri che ora sgorgava libero nella sua mente, trattenuto per tanto di quel tempo che gli sembrava impossibile fossero passati solo una manciata di giorni.
Mi dispiace di essere stato avventato, mi dispiace della piega presa da questa situazione e mi dispiace, mi dispiace che la morte sembri essermi così affezionata da toccare solo quelli intorno a me. Mi dispiace di essere il mostro che tutti dicono io sia. E ti ho pensato e avrei voluto sapere che stessi bene, che avevo salvato almeno te, perché se non sono diventato del tutto pazzo fino ad ora è perché nella mia follia eri qui anche se non c'eri.
Avrebbe voluto dire tutte queste cose insieme e molto altro, ma, più che Levi, avvertì lo spostamento d'aria che il suo corpo fece mentre gli si avvicinava, prendendogli saldamente il braccio, per poi torcerglielo dietro la schiena e immobilizzargli le gambe con le proprie.
-Cosa...?-
-Fa silenzio-
Il Caporale lo spinse per terra ed Eren atterrò malamente, strofinando la guancia contro il pavimentro di pietra, tanto che il tonfo del suo corpo che colpiva il terreno rimbombò oltre la stanza di pietra, lungo il corridoio.
Non osò fiatare quando Levi si spostò, lasciandolo lì disteso.
Il primo calcio arrivò poco sotto lo stomaco, esattamente dove si aspettava. Levi lo sapeva, ed Eren non si ritrasse.
-Hai disubbidito agli ordini. Hai messo a repentaglio la tua vita pur sapendo quanto e cosa tutti i membri della Legione stessero gettando via per proteggerla.-
Il calcio successivo lo colpì al viso fra l'orecchio e l'angolo destro della bocca, rispedendolo a terra dalla posizione mezza inclinata che aveva assunto, mentre il sangue prendeva a scorrergli dalla ferita all'altezza della tempia.
-Hai disubbidito ai miei ordini.-
Un altro arrivò nello stesso identico punto, solo nella parte opposta del viso. Eren tossì e sputò il liquido dal sapore dolciastro e metallico che sentiva in bocca, mantenendo il proprio peso sulle braccia, per quanto le catene attorno ai polsi glielo consentissero, senza alzare la testa.
-I giganti ti stavano divorando, e sono dovuto intervenire io per salvarti il culo.-
Eren sbattè la schiena contro il muro per la forza di quell'ultimo colpo. Cercò di prendere respiri profondi, mentre ogni singola cellula del proprio corpo urlava di dolore.
Gli avrebbe permesso di continuare, senza dire una parola. Non c'era ragione di ribellarsi a quella sofferenza se, nel giro di poco, sarebbe del tutto svanita. L'unica punizione che avrebbero potuto infliggergli, traendone godimento, era la morte. 
Forse però lui era poco fantasioso. 
Levi, dalla sua parte, era ben conscio dei motivi che portavano Eren a non dire nulla, tanto a parole quanto a gesti. Rimaneva immobile, in un muto simbolo di sottomissione e rispetto, ma non strisciava per terra come quei patetici cadetti che spesso lo pregavano di smetterla.
Lo ammirava per questo, come aveva fatto tutte le volte precedenti.
-Non ho intenzione di vederti fare una cosa simile un'altra volta.-
A quel punto, Eren s'irrigidì. Avrebbe preferito cento di quei calci piuttosto che calare la testa di fronte a quella richiesta.
Poggiando il fianco destro alla parete e il braccio opposto sul pavimento per farsi leva, tentò di raddrizzarsi. Non poteva vedere il Caporale, ma sapeva che non era lontano.
-Mi dispiace. Quel gigante stava per- mangiarti vivo. Non lo disse. Si bloccò. Prese un altro respiro. -Dovevo proteggerti.-
Quelle parole rimasero sospese tra loro.

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