Finale

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Bologna, 10 ottobre 1773

È passato molto tempo dall'ultima volta che mi sono messo qui a dettare queste memorie. Ho voluto attendere giusto il tempo di riprendermi dalla febbre, che mi ha profondamente offuscato la mente e annebbiato i pensieri, ma ho atteso, anche, che le ferite riaperte da questi dolorosi ricordi rimarginassero un poco. Il mio cuore, amata Christine, ancora si strugge per quello che hai dovuto passare.
Lo ammetto qui davanti a tutti, ora: non ho avuto il coraggio di amarti davvero, adesso me ne rendo conto. Avrei dovuto lasciare la corte con te, prima che il dramma si consumasse, ma ero spaventato e avrei lasciato la sicurezza per l'ignoto. Egoista e sciocco, ecco cosa sono stato. Tu, invece, sei stata per me la gioia più grande che potessi provare. Ti amo, oggi più di ieri e meno di domani. Dio ti benedica per avermi mostrato una parte di mondo, di vita, che ancora non ero riuscito a saggiare, come un bambino che tenda la mano per cogliere un frutto su un ramo troppo alto e non riesca a raggiungerlo. Io ero così, prima che arrivassi tu e mi aiutassi a colmare quello spazio.

Vennero i medici, di corsa, allertati da una guardia di ronda, che mi aveva sentito chiamare aiuto. Si precipitarono immediatamente accanto alla ragazza e, nel frattempo, anche la damina che si occupava di Christine era arrivata. Le ordinarono di portare acqua in abbondanza e asciugamani puliti. Mi separarono da lei, per farla sdraiare, ma la moretta prese ad agitarsi furiosamente, spingendo lontani i medici perché non la toccassero.

- No, lasciatemi! Lasciatemi stare, state lontani! –

Gridò, con un dolore tale nella voce che mi fece chiudere un momento gli occhi. Dovettero usare la forza, tenerla giù e poi iniettarle una piccola dose di laudano[i], che l'avrebbe tenuta incosciente più a lungo dell'oppio. Piano la giovinetta chiuse gli occhi, crollando del tutto tra i cuscini e le coperte. I medici sospirarono, ma poterono visitarla con calma, mentre l'altra ragazza, tornata con acqua ed asciugamani poté lavarle via il sangue, togliere le lenzuola sporche, che osservò brevemente.

- Perderà il bambino. –

Mormorò, guardando nella mia direzione. I medici concordarono con lei, scuotendo penosamente le teste. Il sangue era tanto, presentava dei grumi ed era quindi probabile quello fosse un aborto spontaneo[ii].

- Ha avuto forti dolori e nausee, non è solo un'ipotesi. –

Continuò la ragazza, un poco accigliata per come avevano trattato Christine, alla quale si era affezionata dopo quel tempo passato insieme. Mi raccontò, successivamente, che la francesina le aveva dato denaro per potersi prendere cura della madre malata e poi per il funerale; l'aveva sempre tratta bene, considerandola più come amica e confidente, che come serva e di questo le era profondamente riconoscente.
Christine perse molto sangue, ma alla fine quello si fermò, con non poca fatica. Quando mi lasciarono modo di vederla, di avvicinarmi, la trovai pallida come un cencio, fatta eccezione per le guance, arrossate dalla febbre che si era ancora alzata. Sospirai, scostandole i ricci dalla fronte imperlata di sudore, con gli occhi umidi. Non ne potevo più di vederla soffrire, non ne potevo più di saperla sull'orlo di un baratro dal quale, probabilmente, non sarei riuscito a salvarla, se vi fosse precipitata.

- Fatela stare a letto. –

M'ordinarono, avvicinandosi a me. Sentivo quelle voci mature come avessi avuto la testa sott'acqua: erano voci ovattate, lontane, alle quali annuivo solo perché dovevo.

- Non deve muoversi, evitare qualsiasi forma di fatica, intesi? Altrimenti potrebbe perdere altro sangue e allora ci sarà ben poco da fare. –

Quando fui nuovamente solo, insieme alle due ragazze, sprofondai in una delle poltroncine, massaggiandomi le tempie, perché le emicranie erano peggiorate a causa della mancanza di sonno e dello stress. Cominciai a pensare di mandarle entrambe sul mare, perché l'aria giovasse alla salute della giovane, alla sua mente. Temevo però che un allontanamento potesse peggiorare il suo umore, dal momento che, anche se impaurita, sembrava non volersi separare da me. La servetta mi si fece d'appresso dopo aver finito con le lenzuola e dopo aver ripulito e cambiato la francese. Si preoccupò di lavarmi le mani, poi indicò i mei calzoni.

- Andate a cambiarvi anche voi, rinfrescatevi, bevete e mangiate qualche cosa. Ha bisogno che voi siate in forze. –

Corrugai un momento le sopracciglia, prima di richiudere gli occhi e mordermi le labbra: da un po' di tempo in presenza della ragazza non usavo trucco o parrucca.

- Sapete, dunque? –

La donna annuì, piegando la testa di lato.

- Mi ha raccontato di voi due, ma potete stare tranquillo: non ne farò parola a nessuno. Ma... Signore, il re e la regina non vedono di buon occhio questo affetto e la corte storce il naso: dovete fare attenzione. –
- Lo so, me ne sono reso conto. Farò più attenzione. Posso chiedervi cosa vi ha detto? –

A quel punto la ragazza ridacchiò sommessamene, scuotendo la testa.

- Assolutamente no! Ho promesso avrei mantenuto il segreto. Ve ne parlerà lei quando riprenderà coscienza. –

Mi fece segno di andare ed obbedii, così da potermi rimettere in sesto. Mi toccò anche attendere alle richieste di Filippo, che mi riprese per le mie assenze, per la mia maleducazione e l'irriconoscenza nei suoi confronti. Mi scusai, ma venni trattenuto presso di lui per il resto della giornata, fino a sera. Non era mia intenzione, ma dovevo stare attento a non tirare troppo la corda ed attirare su di me e sulla ragazza le ire dei due regnanti. Ancora scuse e bugie, sempre, per non minacciare ci separassero. Fortunatamente potevo usare la scusa della degenza per le notti passate presso le stanze di Christine.
Trovai la giovane servetta, dopo cena, ancora nella stanza della francese, che nel frattempo aveva riaperto gli occhi.

- Si rifiuta di mangiare... -

Mi disse subito, al che sorrisi, affiancando il letto.

- Se le avessi dato un dolce lo avrebbe mangiato subito, vero, amore mio? Ma dovete comunque mandare giù qualche cosa, avete bisogno di forze. –

Christine mi guardò male, rannicchiandosi e nascondendosi sotto le coperte, stringendosi le braccia attorno anche per cercare di arginare il dolore al ventre, ancora acuto e costante. Le passai le dita tra i capelli, inanellandomi i suoi ricci alle falangi, come fossero stati gioielli. Mi sistemai con la schiena contro la testiera del letto, dopo essermi tolto giacca e scarpe. Infilai le braccia sotto le coperte, sfiorando le spalle della moretta, per poi tirarla fuori delicatamente. Si lamentò, ma poi venne ad accoccolarsi volentieri contro il mio petto.
Ebbi modo di guardarla, mentre, sconfitta, prese a smangiucchiare qualche cosa. Sentivo sotto le mani un corpo magro, troppo magro; il viso di lei si era fatto scarno, i capelli meno lucidi; le ferite si erano rimarginate, ma le avevano lasciato segni sul viso e sul corpo, che inevitabilmente le avrebbero riportato alla mente brutti ricordi. Ecco, temevo proprio le ferite dell'anima e della mente, in lei. Aveva davvero bisogno di riprendersi al più presto.

- Come vi sentite? -

Le domandai, anche per poter sentire la sua voce.

- Sento molto dolore, ma sono felice non ci sia più. -

Si riferiva al bambino, che fin dall'inizio non aveva voluto. Ero contento che, almeno, non dovesse prendersi cura di un esserino sgradito. La strinsi maggiormente, affondando il naso tra i suoi ricci e poi sospirando. Vidi l'altra ritirarsi, lasciarla completamente nelle mie mani.

- Pensavo potrebbe farvi bene un periodo al mare[iii]. Vi piacerebbe? Ovviamente quando non rischierete più. –
- Con voi? –
- No... No, io dovrei rimanere qui, non posso andarmene. -

Scosse la testa, piano piano: per lei la discussione doveva essersi chiusa lì.

- Vi riprendereste prima... –
- Voglio solo stare con voi. Starò bene se sarò con voi, Carlo, ve ne prego, non chiedetemi di andare via. -

Mi rivolse uno sguardo preoccupato, le sopracciglia corrugate. La baciai dove queste creavano una rughetta sulla sua fronte.

- Non vi mando via. Riposate ora, rimango con voi. -

Lei si sistemò contro la mia spalla, sospirando profondamente. Cadde nuovamente in un sonno pesante e, fortunatamente, a parte qualche incubo non ci furono complicanze. Mandarla via, dunque, era fuori discussione. Ma era così fragile, così instabile, che temevo potesse non riprendersi più.
Mi consigliarono le cure più varie per Christine, ma nessuna di quelle mi convinceva: non mi piacevano interventi troppi invasivi, poiché io stesso ero stato vittima di uno di questi. Non lasciai i medici provassero con le loro soluzioni moderne, preferendo metodi più lenti, ma che ritenevo altrettanto efficaci. Ormai non dormivo più nelle mie stanze, così da starle accanto, cantare per lei, rassicurarla quando una di quelle brutte crisi di nervi la prendeva.
Passarono settimane e i dolori scemarono, la nausea svanì, il ventre della ragazza tornò piatto. Le tornò anche l'appetito, così che il suo corpo riprese forma, un colore più sano. Eppure, passava molto tempo nella sua camera, sdraiata a letto senza muovere un muscolo. Io e la giovane domestica eravamo le sue uniche distrazioni. Il corpo si riprese in fretta, ma la mente, quella richiese molto più tempo. Con costanza la rassicuravo, le regalavo tutte le mie attenzioni, ma capitava non potessi essere presente, durante alcune giornate.
Fu lei a sorprendermi, mesi più tardi, quando la trovai vestita di tutto punto, in giardino, appena tornata dalla città, insieme a quella che ormai era diventata un'amica più che fidata per Christine. Accorsi verso di loro, preso dall'ansia e dalla paura.

- Dove siete state? -

Chiesi, con occhi enormi e uno dei cani che avevo preso corrermi dietro, rischiando di farmi inciampare.
La moretta alzò gli occhi su di me, sorridendo con fare dolce. Il viso, una volta perfetto, ora aveva piccole imperfezioni sulla parte sinistra che le decoravano la pelle: io le ripetevo sempre che si trattava di una mappa celeste, con astri e stelle cadenti.

- A Madrid. Dovevo fare una cosa e mi sono fatta accompagnare. Ho pensato di dover uscire, che stavo... Appassendo e stavo facendo appassire anche voi. -

Mi pose una mano su una guancia, invitandomi a camminare con lei, noi due soli.

- Pensavo foste nelle vostre stanze, se avessi saputo... –
- Vi sareste preoccupato, ecco cosa. Ho dovuto farlo, Carlo, per vedere se riuscissi ancora, se ne avessi avuto il coraggio e così è stato. Sto meglio. -

Quanto era passato? Poco meno di un anno, dall'incidente, se non ricordavo male, e doveva aver tutto il tempo per pensare a quell'uscita. Tuttavia, non mi ero accorto della sua ripresa, di come avesse riacquistato sicurezza e forza di vivere. Mi sentii in colpa, perché negli ultimi tempi il sovrano, sempre più debole, aveva richiesto la mia presenza quasi costantemente.
La fermai, all'ombra di una delle statue bianche del giardino. Non potei più resistere e le baciai le labbra, dopo averle preso il viso tra le mani.

- Sono così felice... Sono così felice voi stiate meglio. -

Mormorai, sull'orlo di un pianto liberatorio.

- Avevo timore non riusciste a rialzarvi, che qualsiasi cosa fosse diventata troppo. Perdonatemi se non ho avuto fiducia in voi. -

Lei sorrise, ancora, stringendomi come aveva fatto tante altre volte, facendomi nascondere il viso contro il suo collo.

- Non devo perdonarvi nulla: nemmeno io avevo più fiducia, quello che ho fatto oggi è stato un salto nel vuoto. Ho avuto paura, ma poi tutto è andato bene. Non c'è più Jacques, non ci sarà più nessuno a farmi male. -

Mi passò la punta delle dita sulla nuca, facendomi poi alzare il viso.

- Anzi, devo ringraziarvi, Carlo. Siete stato la mia salvezza: senza di voi non so come sarebbe andata. Vi amo, avrei dovuto dirvelo prima, avrei dovuto dirvelo più spesso, ma non mancherò più di farlo. -

Continuai a guardarla, senza parole, perché il suo sorriso, la sua dolcezza, insieme a quelle parole, erano per me spiazzanti. Nelle donne che avevo conosciuto, avevo trovato solo desiderio, nulla che andasse oltre la passione o la mera voglia di passare qualche momento con il famoso Farinelli. Lei, invece, mi dimostrava in ogni gesto, in ogni parola, una devozione che avevo visto soltanto nei santi. La sua sincerità era evidente anche a me, nonostante fossi sempre scettico verso certe cose.
Mi prese una mano e ne approfittai per baciarle le nocche. Aprii la bocca per parlare ancora, ma mi premette le dita sulla bocca.

- Ho scritto al Principe. È felice di sapere della vostra costanza, che non mi avete lasciata. È anche felice di sentirmi, finalmente, in forze. Ha anche acconsentito a darci la sua benedizione. Gliene ho parlato e ha promesso manterrà il segreto, Carlo. Quando i vostri doveri qui saranno terminati, allora sarete libero. Sarà un segreto solo nostro, così che nessuno ci disturbi. -

Aveva pensato a tutto, chissà in quale momento, perché a me non aveva mai accennato nulla. Mi tornarono in mente le parole della servetta e compresi quei pensieri doveva averli, Christine, ormai da tempo. Sembrava pienamente conscia dei rischi, per questo volle mantenere tutto segreto, per questo le nostre promesse sarebbero morte con i pochi testimoni di quanto stesse accadendo. Christine sfidava una società che quelli come noi, i castrati, li avrebbe voluti soli ed emarginati, dediti esclusivamente al palco e al sollazzo delle persone. Io non avevo diritto a tutte quelle cose che, per altri, sarebbero state normali, ma lei stava cercando di regalarmele tutte, a cominciare da un'unione che, sebbene segreta e non celebrata da un prete, sarebbe comunque stata un'unione.
Prese, dalle ampie tasche del vestito, un astuccio di velluto, mostrandomi un paio d'anelli, ben diversi l'uno dall'altro. Non sembravano fedi, ma avevano una piccola incisione all'interno.

- Se volete, ecco. Nessuno se ne accorgerà. -

M'infilò l'anello al mignolo[iv], sotto il mio sguardo incredulo. Non sapevo cosa dire, come replicare. Semplicemente feci lo stesso con lei, ma subito lo tolse, scuotendo la testa.

- Lo terrò al collo, perché se lo tenessi al dito qualcuno potrebbe insospettirsi: sarebbe una coincidenza fin troppo palese. -

Lo assicurò ad una catenina, che scendeva fino al seno, infilandosi nel vestito. Sembrava aver pensato a tutto.
La baciai ancora e ancora, nascosti dietro il marmo bianco di quella statua, che vegliava su di noi. Io annuii più di una volta, in risposta - sebbene in ritardo - a tutte le sue parole.
Un paio di anni più tardi, nel 1746, con la morte di Filippo, ascese al trono Ferdinando VI, che mi nominò Cavaliere di Calatrava[v], una carica estremamente importante, oltre ad avere il permesso di occuparmi della direzione della cappella musicale reale e dei teatri reali del Buen Retiro, di Aranjuez e de los Caños del Peral. Ad Aranjuez io e Christine passammo parecchio tempo, giorni felici e rilassati, lontani dagli occhi della corte. Quella maggiore libertà mi permise di assaporare una vita nuova, dove non dovevo fare da guaritore, ma avevo ruoli che mi si addicevano, che mi davano soddisfazione.
Qualcuno sospettò di me e della francese, ma non ebbero mai prove per accusarci: eravamo attenti e altri, quelli che ci volevano bene, ci nascosero o ci difesero, quando necessario.
Nel 1759 Christine ed io partimmo per Parigi, dal momento che i miei servigi non erano più richiesti. Passammo un paio di settimane presso il Principe, che ci benedisse in segreto ed un segreto raggiungemmo Bologna, dove la villa che avevo fatto costruire alle porte della città ci avrebbe ospitati. Lì avevo fatto portare tutte le nostre cose, avevo fatto sistemare quadri, mobili, secondo il gusto di entrambi, un bel giardino come lei aveva chiesto, una camera da letto che ci accogliesse entrambi e non separate. Divenne il nostro nido e finalmente potemmo indossare gli anelli, ormai lontani dalla vita pubblica. Anche la domestica di Christine ci seguì, continuando a lavorare presso di noi.
Avevamo passato le pene dell'inferno, lei soprattutto, ma ogni cosa sembrava essersi sistemata.

Nonostante lei avesse quasi la metà dei miei anni, mi rimase accanto, come aveva promesso. La riempii di tutto l'amore di cui ero capace, anche con i dubbi che, nonostante gli anni, di quando in quando mi assalivano.
Christine, hai sopportato tanto: prima gli eventi di Madrid, poi un uomo che non poteva soddisfarti, le discussioni, che anche tra di noi sono capitate, le mie emicranie, le mie paranoie. Hai sempre sopportato tutto di me e di questo non posso che esserti grato. Se non lo avessi già, mia cara, ti darei altre mille volte il mio cuore.
Ora che la mia vita volge lentamente al termine, posso dirmi soddisfatto. Nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza la tua testardaggine ed io, con ogni probabilità, non avrei avuto tutta questa vitalità.
Ti ringrazio, ora e sempre, e per te sola voglio si sappiano queste cose, perché si sappia di quello che hai fatto per me, perché non è solo il nome di Farinelli che si conosca, ma anche il tuo e di come questi due nomi siano profondamente legati.
Per sempre tuo.

Carlo Broschi, detto Farinelli

***

La donna alla scrivania lasciò la penna accanto al calamaio, soffiando piano sulle lettere appena vergate, perché si asciugassero. Alzò poi la testa verso Farinelli, ridacchiando e passandosi la lingua sulle labbra.
L'uomo era seduto vicino alla finestra, intento a rigirarsi l'anello che portava al mignolo.

- Per sempre mio, mh? Lo spero bene. -

In corridoio, i figli della domestica, che la coppia trattava come nipoti, schiamazzavano, giocando a rincorrersi e con i cani dei due padroni di casa.
Christine si levò dallo scrittoio, raggiungendo l'amato e sedendo sulle sue gambe. Si accomodò contro il suo petto e lui prese a passarle le dita tra i ricci, che stavano diventando bianchi qui e là. Il viso della donna era decorato da rughe sottili, che non ne intaccavano la bellezza; il Broschi, eternamente giovane, sembrava addirittura avere qualche anno in meno di lei. La strinse, sorridendo.

- Te l'hò promèss, no? -

Ormai avevano perso anche l'abitudine di darsi del voi, passando ad un più intimo tu.

- Nun te si maje pentità? -

Le chiese lui, provocandole una risatina per l'uso del napoletano.

- Adesso che abbiamo ripercorso le tappe della nostra vita insieme, davvero non hai rimpianti? -

La donna scosse la testa, sfiorando con un dito le labbra dell'italiano, che cercò di moderarsi, dopo averla fatta sorridere.

- Rimpiango di aver odiato quel bambino senza colpe, solo questo. Ma ero giovane e avevo paura. -

Si strinse nelle spalle, lanciando poi uno sguardo verso le carte.

- E tu? Tu come ti senti, Carlucciello? -

Lo punzecchiò un poco, salvo poi carezzargli il petto.

- Come qualcuno che ha finito di raccontare una bbella[vi] storia. Andava fatto. -

Si scambiarono un bacio, delicatissimo, a volte ancora timidi nonostante gli anni passati insieme.

- Mi hai descritta fin troppo bella e sei stato fin troppo gentile. Diciamo che hai romanzato parecchio. –

Rise, lei, facendo borbottare sommessamente l'altro, che scosse la testa.

- Ho detto la verità, null'altro che la verità. Sei tu che non hai mai avuto modo di vederti con gli occhi con cui ti vedo io. Ecco, ora è tutto nero su bianco. –

Premette il naso tra i ricci della donna, inspirandone il profumo, carezzandole la schiena.
Rimasero fedeli l'uno all'altra, tanto che, alla morte prematura della compagna, Carlo sopravvisse solo qualche mese, prima di raggiungerla il 15 luglio 1782.
A chi li pensa, ora, separati e le spoglie di lei perse, vi si può rassicurare: insieme a questi resoconti scritti dai due amanti, si sono trovate anche disposizioni per quanto riguarda la sepoltura delle salme: Christine accettò che il proprio nome, le date di nascita e morte, la sua storia, venissero dimenticate per darle una nuova identità. Ora la si trova, accanto al compagno, nominata Carlotta e considerata sua nipote. Si immagina queste scelte siano state fatte, all'epoca, per evitare la Chiesa li dividesse proprio nel momento in cui avrebbero potuto riposare uniti.
Non vi si darà informazioni su dove e come questi documenti siano stati trovati, sappiate solo che si è trattata di grande fortuna e che se si è deciso di renderli leggibili – poiché molte parti erano state mangiate dalla muffa e dall'umidità – è per dare voce ad una storia che, altrimenti, sarebbe stata ingiustamente dimenticata.
È anche da specificare che l'ultima parte sembra essere stata scritta da un'altra persona, probabilmente qualcuno vicino alla coppia, dal momento che la calligrafia è differente e sono presenti parecchi errori grammaticali.
Questo è quanto.


[i] Chiamato anche tintura d'oppio si ottiene mescolando oppio e alcol: si tratta di un narcotico con effetti antidolorifici e antispastici. In realtà con laudanum Paracelso intendeva una resina secreta da foglie e fiori di alcuni vegetali, nei quali non rientrava l'oppio. Noi considereremo questa variante quella citata sopra.
[ii] Piccole e sporadiche perdite di sangue possono essere normali durante una gravidanza, ma se le perdite diventano più abbondanti e sono accompagnate da dolori simili a quelli mestruali e nausee è probabile si tratti di un aborto spontaneo; generalmente questo può avvenire prima della 22esima settimana di gravidanza.
[iii] Si considerava che far passare un periodo al mare o in montagna ad alcune tipologie di malati, generalmente chiunque soffrisse di malattie alle vie respiratorie, potesse aiutare, grazie all'aria pulita, a riprendersi prima.
[iv] L'anello che si può vedere in alcuni ritratti di Farinelli.
[v] L'Ordine Militare di Calatrava risale ai cavalieri templari, ma al tempo di Carlo si tratta di una carica data a quei membri di famiglie riconosciute come nobili nel regno di Spagna.
[vi] No, non è un errore: si riprende il modo di scrivere alcune parole di Farinelli in alcune sue lettere.

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