Duetto

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Bologna, 1 ottobre 1773

Oggi detto dal mio letto. Purtroppo, una febbre mi costringe a starmene qui, al caldo, per evitare peggiori. Si è alzata nella notte e ora mi trovo, senza forze, a blaterare nella mia camera da letto. No, sono stato maleducato: non si tratta di blaterare, termine che non si addice a questa storia, ma mi riferisco solamente al mio monologo, che mi imbarazza. Riprendo immediatamente la mia narrazione, che sto cercando di raccontare nel dettaglio, per non tralasciare nulla, anche le cose più semplici, perché non crediate il mio, il nostro, sia stato un capriccio.

Ottenni, dopo quella cena disastrosa, di far spostare la ragazza. Ne parlai direttamente con Filippo, più comprensivo rispetto alla moglie. Glielo chiesi come un favore personale, spiegandogli - mentendo - che era un'amica di vecchia data, che mi avrebbe fatto piacere averla vicina durante quel breve soggiorno a Madrid. Acconsentì, il sovrano, senza troppe storie, ritenendola una richiesta tutto sommato accettabile: non c'era nulla di male.
Fui felice di averla accanto, poter conversare con lei e anche i due regnanti, che ebbero modo di parlare con lei, tanto vicina, ne ebbero particolare piacere. Forse per il viso tanto buono e la fiducia che Christine ispirava, addirittura le proposero di far sentire loro come cantasse, privatamente, prima dello spettacolo. Rimasi enormemente sorpreso dalla proposta, ma poteva essere un buon punto d'inizio: se fosse piaciuta, magari, le avrebbero chiesto di rimanere.
Jacques, più lontano, non mancava di lanciare sguardi furenti e gelosi alternativamente a me e alla francese. Sentivo i suoi occhi bruciare sulla pelle, potevo immaginare i suoi pugni stretti sotto il tavolo, ma non avrebbe alzato un dito, non su di me: aggredirmi avrebbe potuto scatenare un caso di stato e portare due nazioni già in equilibrio precario ad una guerra inutile, ritenendo un gesto simile come un attacco alla corona.
Cominciai, nei giorni successivi all'arrivo della compagnia francese, a dividermi tra i miei doveri e visite fugaci a Christine. Passavo con lei il poco tempo che mi veniva concesso, costruendo, mattone dopo mattone, una conoscenza che prima di allora non avevamo avuto modo di fare. Rideva spesso, in mia presenza, e questo mi alleggeriva il cuore. Stravedevo per quelle labbra che lasciavano intravedere i denti, gli occhi che si assottigliavano e quella leggera inclinazione della testa. Io, dal canto mio, ero sempre fin troppo misurato, mi sarei ritenuto noioso, se mi fossi visto da fuori, eppure quella ragazza trovava piacevole la mia compagnia, la mia voce femminile e le mie scarse conoscenze in tutto. Amava il mio accento, però, mi disse, che ascoltava con piacere, senza fare il punto su questo o quell'errore.
Se ancora io esitavo, tuttavia, ogni mia riserva cadde quando la sentii cantare. Filippo ed Elisabetta la fecero chiamare un pomeriggio e vollero io assistessi per dare un giudizio. La vidi spaesata, davanti ai regnanti, ma sorridente, orgogliosa. Si perse a salutare anche il clavicembalista, sebbene non lo conoscesse, per ringraziarlo di starle facendo da accompagnamento. Pensai fosse quella la sua più grande qualità: avere sempre una buona parola per tutti. Quando però aprì bocca, cominciando con Ho Perduto il Caro Sposo, quello che mi colpì, oltre alla voce, fu la straordinaria espressività della ragazza. Io, quando mi esibivo, non ero solito fare troppi movimenti, se non quelli essenziali della testa, a malapena delle braccia; Christine, invece, si struggeva in quel canto, portandosi le mani al petto, massaggiandosi i polsi come avesse davvero delle catene a trattenerla. Mi diede l'impressione di vivere completamente le emozioni di Rodelinda [1], come se si fosse trasformata del tutto in lei.
Seguì, quando lei e la musica tacquero, un lungo momento di silenzio. Fu il clavicembalista ad alzarsi per primo, con le lacrime agli occhi, prendendo le mani della ragazza e baciandole. Non ricordo cosa le disse, complimenti, certamente, ma mi distrasse Filippo, che si era commosso.

- Perdonate, non era davvero mia intenzione suscitare tanta commozione! -

Alzò le mani, parlando con una vocetta davvero dispiaciuta.

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