Capitolo 2.

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Il fastidioso campanello dell'ascensore, che segnava i piani appena passati, risuonava nelle orecchie di Newt creando un eco fortissimo.
Subito dopo aver capito dove lo stessero portando, aveva iniziato a sudare. Il cuore gli batteva veloce, le mani erano bagnate e continuava a sfregarle tra loro. La fronte si era costellata di piccole goccioline trasparenti, dovute alla sudorazione eccessiva che in quel momento lo stava travolgendo. Le guance si erano tinte di un rossore leggero, dovuto all'agitazione.

Continuava a guardarsi intorno, sparando che quei due piani non finissero mai, in modo tale da non arrivare faccia a faccia con quello che sarebbe stato il suo destino. Era sicuro lo avrebbero licenziato, probabilmente per la poca efficienza e la poca voglia di fare che forse dimostrava. Iniziò a maledirsi, trattenendo le lacrime per la rabbia che aveva in corpo. Avrebbe perso tutto a causa del suo stupido carattere, come sempre.

Poi, l'ultimo campanello suonò e l'ascensore si assestò aprendosi subito dopo. La ragazza vicino a lui uscì, invitandolo a seguirla con un cenno della mano ma senza mai girarsi a guardarlo.

Newt inspirò e uscì dalla cabina dell'ascensore, sperando che crollasse prima che lui riuscisse a uscire in modo tale da non dover andare, ma non fu così. Si ritrovò in un lungo corridoio, completamente bianco. Sui muri erano presenti diversi quadri astratti e moderni, che donavano eleganza alla stanza. In fondo al corridoio, una porta ad ante scorrevoli lo attendeva. Sulle porte trasparenti era stato stampato in grigio opaco il logo della rivista che non lasciava spazio all'immaginazione; era l'ufficio del suo capo, Thomas Edison.

Quando arrivarono davanti le porte, la ragazza suonò un piccolo campanello posto sulla sinistra, e aspettò che le porte si aprissero.

"Resta qui, ti chiameremo noi" disse, per poi entrare all'interno lasciando che le porte si richiudessero con forza dietro di se.

Newt era totalmente impaurito. Lasciò andare tutta l'aria che aveva trattenuto nel piccolo viaggio in ascensore, e si piegò sulle gambe troppo in ansia per sorreggere il proprio peso. Portò le mani alla testa, continuando a chiedersi cosa potesse aver sbagliato. Iniziò a pensare cosa sarebbe successo dopo aver perso il lavoro più bello del mondo, dove sarebbe potuto andare a lavorare. Sarebbe finito a vendere caffè in un bar qualsiasi o peggio, sarebbe tornato a Londra.

Le porte si aprirono, e si affrettò subito ad alzarsi, tornando a non mostrare emozioni, per quanto possibile.

"Il direttore ti aspetta" disse la ragazza bionda, uscendo dall'ufficio e andandosene verso una piccola rientranza accanto alla porta d'entrata, che portava probabilmente a un altro piccolo ufficio o a una caffetteria.

Newt deglutì, sistemò i capelli e la cravatta, stirò con le mani la camicia e la giacca e poi entrò. Si ritrovò davanti a una luce fortissima, dovuta all'intera parete fatta di finestre. Davanti a se trovò un grande divano in tessuto grigio, con almeno dieci cuscini sopra di esso, alternati in una sequenza che si ripeteva che andava dal bianco, al beige e infine al nero. Davanti a esso un tavolino basso che separava il divano dalle due poltrone sistemate proprio davanti. Su di esso erano presenti due piante verdi utilizzate per decorazione, con sopra le vecchie edizioni di Couture che Newt avrebbe riconosciuto tra mille.

Lo sguardo si spostò sulla destra, dove notò subito una figura alta, muscolosa, rivolta verso un mini angolo bar destinato alla realizzazione di cocktail. Si stava versando del whisky in un bicchiere trasparente. Intorno a lui l'ambiente era sempre elegante. La scrivania dello stesso colore del divano, dava le spalle alla finestra. Su di essa non era presente granchè, se non qualche foglio da firmare, un computer costosissimo e qualche piccolo oggetto da decorazione. Sotto di essa un tappeto beige colorava la stanza.

Couture. || Newtmas Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora