real tears.

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Nessuno doveva sapere cosa c'era sotto la maschera.
Chi si nascondeva dietro quel muro di menzogne.
Nessuno doveva sapere che l'Ultimate supreme leader in realtà non era altro che un inetto.
Un insulso.
Un inutile.
Un bugiardo.
Nessuno doveva sapere che Kokichi Ouma era così bravo a sopraffare gli altri perché sopraffava sé stesso ogni giorno.
Ogni dannato giorno...

Kokichi non aveva una famiglia. Non sapeva nemmeno cosa si provasse, in realtà, ad averne una. Si convinse che andava bene così – in fondo, dio ha i suoi preferiti.
Eppure, vedere gli altri che ridevano e scherzavano con la propria madre o padre lo faceva sentire estremamente frustrato.
Non voleva ammetterlo a sé stesso, ma provava un sentimento fastidioso in petto, qualcosa di misto a rabbia e tristezza, che gli cresceva ogni qualvolta un padre diceva a un bambino: Sono fiero di te. Te lo compro io, se ne hai voglia. Andiamo al parco insieme.
E ancora, crescendo: Sapevo che avresti ottenuto quello che volevi. Credo in te. Su di me potrai sempre contare. Sono fiero di te.
Sono fiero di te.
Perché sentiva di continuo quella frase uscire dalla bocca delle altre persone, ma sempre per qualcun altro? Mai una parola dolce da parte delle sue insegnanti, mai un complimento da quelli che da bambino riteneva amici ma che, da grande, ha imparato a chiamare conoscenti. Conoscenti; una nuova parola imparata a scuola. Gli piaceva il modo realistico e schietto in cui suonava – a differenza di parole come amore, amicizia, gentilezza, altruismo; tutte parole false, sentite e risentite ma mai dimostrate.
Col tempo, poi, le cose cambiarono. Col tempo Kokichi Ouma iniziò a capire che la famiglia non sono la mamma e il papà, il fratello e la sorella.
Quel gruppo era la sua famiglia.
Il DICE, quello era la sua famiglia.
E lui ci teneva più di qualsiasi altra cosa.

Non ricordava bene come gli venne l'idea di entrare nel killing game. Il provino, le luci soffocanti che gli battevano sugli occhi, le parole usate e masticate nella sua bocca, pensate e ripensate ogni notte, solo per poi andare lì e pronunciarle il più veloce possibile, per paura che se avesse parlato più piano il coraggio gli sarebbe svanito a metà del discorso. Poi un vuoto totale. Risvegliatosi in quell'armadietto, Kokichi era un'altra persona. Un ricordo vago delle pareti fredde della sala dove fece il provino e la somiglianza con quelle stesse – eppure diverse – pareti fredde in cui si trovava ora gli fecero persino dubitare di averlo fatto veramente, quel provino.
Sì, probabilmente l'aveva solo sognato.

Entrato nel killing game, iniziò subito a pensare a un modo per uscire di lì.
Le persone che erano lì con lui, nella stessa situazione, gli sembravano tutte strane.
Tutte tranne lui: Shuichi Saihara.
Shuichi era decentemente non noioso.
Decentemente affidabile.
Decentemente interessante.
Decentemente in grado di tirarli fuori di lì.
Ed era chiaro che Kokichi si era preso una gran bella cotta per lui.
Ma era chiaro anche che nemmeno Shuichi avrebbe dovuto scoprire chi era veramente Kokichi, quindi doveva mentire anche a lui...
Pfft, facile!, pensava.
Ormai era abituato a mentire.
Con il tempo, era riuscito a costruirsi un muro di menzogne tutt'intorno.
Però la cosa si rivelò più difficile del previsto.
Era sempre più difficile per Kokichi fingere di essere una persona che non era – qualche volta, mentre gli altri erano per conti loro, a Kokichi capitava di fissare il vuoto per tempo indeterminato, e quando si riprendeva da quel flusso di pensieri incontrollabili (che decidevano di assalirlo in pieno ogni volta che volevano, senza avvisarlo), la sua paura più grande era sempre quella che anche il minimo movimento del sopracciglio e della bocca, un dilatamento delle narici, gli occhi più socchiusi, potessero rivelare qualcosa che gli altri non dovevano sapere. Per sua sfortuna – o fortuna – capì ben presto che a nessuno interessava molto. Kokichi Ouma non dava nell'occhio. E proprio per questo, era in cima alla lista dei candidati per la prima vittima. Capì che avrebbe dovuto farsi notare, e non solo da Shuichi, per il quale provava una strana debolezza, ma da tutto il resto dei ragazzi con cui era stato rinchiuso.
Ma era così strenuante.
La cosa peggiore era che Shuichi aveva iniziato ad odiarlo.

real tears ; kokichi oumaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora