1

1.7K 59 0
                                    


Giocavo tanto, tante partite tutte diverse, tanti avversari differenti che mi guardavano dall'alto in basso come se non valessi nulla, mi piaceva lasciargli credere di poter vincere ed amavo ancora di più la loro espressione quando capivano di aver perso.

Amavo gli scacchi e tutto ciò che giocarci comportasse, adoravo analizzare le mosse, studiare le aperture ed i finali e tutti i fattori tecnici di quella magnifica disciplina, ma ciò che più mi piacesse era l'interazione con l'avversario.
Quell'elettrizzante sensazione di guardarsi negli occhi e scambiarsi una sfida reciproca a colpi di intelligenza e astuzia, nulla era paragonabile a quel momento, nemmeno la vittoria.

Quando conobbi Benny, tutto nella mia vita cambiò radicalmente, non so dire se in meglio oppure in peggio.
Incominciai tardi ad appassionarmi agli scacchi, quando partecipai al mio primo torneo avevo già raggiunto i quindici anni, e fu lì che lo incontrai per la prima volta.

Partecipava anche lui, non per competizione, solo per brama di vittoria e per aumentare il suo, già pompato, ego.

E non lo biasimavo.
Era bello, molto bello, con i suoi capelli biondo cenere che gli ricadevano sul viso, gli occhi color nocciola che avevano già visto il mondo e dei baffi per cercare di sembrare più vecchio della sua età.
Ho sempre pensato che il motivo per cui cercasse di sembrare adulto fosse quello di mascherare le proprie paure, le stesse che lo facessero sentire piccolo in un mondo di grandi.

Il nostro primo incontro fu freddo e veloce, non c'era tempo per i convenevoli e nemmeno per le chiacchiere, lì si giocava e basta; e quel giorno giocai, nonostante la mente stanca, restai lucida.
Mi impegnai a fare una pausa per non stancarmi troppo, prendendomi un po' di minuti tra una partita e l'altra.

Il mio avversario era uscito dalla sala furioso mentre restai seduta al mio posto con ancora davanti i pezzi nelle loro posizioni. Sapevo di non aver fatto errori, perlomeno non gravi, così con tranquillità presi il libro dalla mia cartella e continuai il romanzo che stessi leggendo in quel periodo.

Era insolito che venissi distratta durante la lettura, spesso non venivo notata, ma quella volta ci fu una voce ad interrompere il flusso indisturbato delle parole.

"Beh, lo hai fatto proprio arrabbiare" disse facendomi alzare lo sguardo dalle pagine.
I suoi occhi erano rivolti alla porta d'uscita, probabilmente aveva assistito alla scena.

"Sono Benny Watts"

"Molto piacere" risposi, osservandolo accomodarsi sfacciatamente sulla sedia di fronte alla mia.
"Facciamo una partita?" chiese sicuro di sé.

Sapevo chi fosse e a che livelli fosse arrivato, sapevo che lui non era come me, aveva talento e lo aveva dimostrato, ma non mi andava di tirarmi indietro, così decisi di giocare.

Mi piaceva rischiare, nonostante avessi costantemente paura di fallire.

Corsi il rischio e giocai, con mia grande sorpresa non fu così veloce nel battermi.
I nostri pezzi danzavano a ritmo della nostra ambizione sulla scacchiera, e fu solo per un errore di distrazione che persi.
Benny lo aveva capito, il fatto che lo nascose, però, non mi stupì così tanto.

Il nostro tavolo, durante la partita, fu accerchiato dagli altri giocatori, e dopo la fine, quando tutti se ne andarono, lui rimase lì ad osservare la posizione dei miei pezzi, sembrando stranito, quasi triste, nonostante avesse vinto.
Quando gli chiesi se stesse bene si limitò ad annuire e dopo svariati minuti finalmente parlò

 "Sei stata brava" il suo sguardo scrupoloso e attento era puntato su di me
"Quanti anni hai?"
"Ne ho quindici" 


A quelle parole i suoi occhi si addolcirono, e lasciò intravedere un sorriso di sconforto al di sotto dei baffi, poi, con un velo di dispiacere nella voce, mi disse una frase che ancora oggi mi riecheggia nella mente e che ricordo, come un promemoria, ogni volta che penso a lui.

"Mi dispiace tanto" disse "essere così intelligenti è una condanna"

"A volte penso che la vera condanna sia non esserlo abbastanza"

Non gli mancava nulla, era bello, giovane, aveva talento ed era intelligente.
Perché sembrava triste?

"La pensi davvero così?"
Mi chiese dopo un po'
"Si" lo guardai attenta "e tu pensi davvero il contrario?"
Si limitò ad annuire con la testa.

Trovavo quel pensiero sbagliato e privo di senso, ma non lo conoscevo, non sapevo cosa avesse vissuto ed in che situazione si trovasse, conoscevo solo la superficie.
Quindi restai in silenzio, aspettando il momento in cui si fosse alzato e si fosse avviato alla porta, ma rimase con me.

Giocammo ripetutamente per un paio d'ore, alternando un po' di partite lampo con delle chiacchierate.
Mi ci volle poco per constatare che in velocità fosse davvero imbattibile.

Quando arrivò il momento di salutarlo gli porsi la mano dicendogli che mi aveva fatto piacere conoscerlo, lui me la strinse e ne accarezzò il dorso con il pollice, in modo leggero, lo guardai subito, stranita dal gesto ambiguo.

Quando lui fece lo stesso mi regalò un "Piacere mio" detto con un lieve sorriso sul viso, che scappò veloce una volta che le nostre mani si staccarono.

He's Benny Watts Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora