14. Non posso perderti

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Comunque i giorni passarono e le condizioni di Harry non migliorarono affatto. Apriva a stento gli occhi, faticava a restare sveglio; qualsiasi azione, anche quella più semplice, per lui diventava impossibile e tremendamente faticosa. I medici davano la colpa alla mancanza di aria nei suoi polmoni.
Io smisi di pregare, smisi di chiedere aiuto e pietà, persi tutte le mie speranze e mi aggrappai semplicemente al dolore. Se non potevo evitarlo, quantomeno potevo farne un punto di forza. Forse strano, come appiglio, ma era l'unica cosa che mi restava.
Guardarlo spegnersi lentamente, giorno dopo giorno, mi strappò l'anima e la vita. Non importava quante volte avessi già vissuto quel momento, bloccata in quel loop infernale dal quale non riuscivo ad uscire e del quale non capivo il senso, non mi sarei mai abituata a perderlo.
Che d'altronde non saremo mai pronti a perdere ciò che amiamo, nemmeno quando sappiamo che succederà.
Continuare a dirgli addio aumentava soltanto le mie sofferenze.
Che poi addio non era mai.
Cercai di passare quel poco tempo che gli restava sorridendogli, accarezzandolo, baciandolo e suonandogli la chitarra, cantandogli le sue canzoni, poi le nostre canzoni, citandogli tutte quelle frasi che lui aveva dedicato a me nei suoi testi. Volevo che se ne andasse felice, volevo che se ne andasse consapevole che non l'avrei mai dimenticato. Che non importava se una parte di me continuava a ripetermi nella testa che presto l'avrei rivisto, che presto mi sarei svegliata e mi sarei ritrovata a rivivere ancora tutto quello, volevo che la sua morte fosse serena. Stavo male io, non serviva che stesse male anche lui.
Ero terrorizzata da tutto ciò che sarebbe successo una volta che i suoi occhi si sarebbero chiusi e non si sarebbero riaperti, ma cercavo di non darlo a vedere.
Mia madre una volta mi disse che avrei ritrovato la mia felicità, ma neanche ci credevo più all'esistenza di una felicità.
E quando poi successe, quando poi esalò il suo ultimo e dannatissimo respiro, il dolore al quale mi ero aggrappata, che si era nutrito avidamente di ogni briciola di me stessa, prosciugandomi del tutto, si impossessò di me definitivamente, lasciandomi cadere in un baratro di agonia e sofferenza, a perire e a patire. Mentre tutto intorno a me si colora di bianco e mi accecava. E quando riaprii gli occhi era mattina, ero nel mio letto e il calendario segnava come giorno il 16 agosto sempre dello stesso anno.
Non mi sorpresi, quella volta, quando davanti ai miei occhi vidi di nuovo il viso di Harry, rilassato e sereno. Era lì, vivo. Ma sapevo che quello era anche il giorno in cui si sarebbe ammalato, perché succedeva sempre allo stesso modo. Come potevo risolvere quell'enigma se l'unica strada che avevo era sempre la stessa e mi riportava sempre ad un punto dove ormai era troppo tardi per riuscire a salvarlo?
Non ne avevo minimamente idea e non sapevo neanche più dove sbattere la testa. Forse avrei dovuto cercare altri medici, altri specialisti, forse avrei dovuto fare un patto con qualcuno, forse qualcosa mi era sfuggita ed avrei semplicemente dovuto prestare più attenzione. Doveva esserci per forza un motivo se il destino aveva scelto di intrappolarmi in questo terribile gioco ch'era diventata la mia vita, dovevo solo capire il perché.
Cercando di fare quanto più silenzio possibile, mi alzai dal letto per andare in bagno a risciacquarmi il viso e riprendermi da un incubo che avevo realmente vissuto. Nonostante mi svegliassi in un momento in cui Harry era ancora vivo, averlo visto morire mi aveva lasciata comunque distrutta e spezzata.
Guardandomi allo specchio mi domandai se per me ci fossero delle conseguenze. Ne avevo visti di film in cui i protagonisti erano bloccati in dei loop e in ciascuno di essi, ogni volta che si risvegliavano allo stesso giorno, lo facevano con qualcosa in meno, con dei danni alla loro salute. Eppure io, se non per il cuore a pezzi, stavo bene. A pensarci bene comunque, nel mio loop, non ero io a morire.
Quando tornai in stanza, trovai Harry sveglio, seduto sul letto con una polaroid in mano.
«Amore.» lo chiamai.
Alzò gli occhi per rivolgermi la sua attenzione e mi mostrò la foto che teneva tra le dita.
Deglutii quando la riconobbi, perché era una di quelle che scattammo il giorno prima che si tagliasse i capelli, quando ancora non ero cosciente del fatto che la mia vita fosse diventata un inferno senza vie di fuga. E nonostante tutto, nonostante fosse stata scattata in un'altra realtà, quella polaroid restava nel mio presente.
«La data è sbagliata in questa foto.» disse, confuso.
«Ti ricordi quando l'abbiamo fatta?»
Me la porse ed io l'appoggiai sul comodino, cercando di capire se ricordasse qualcosa. Ma lui scosse la testa.
«No, ma sono sicuro ch'eravamo ubriachi. Insomma, guarda la mia faccia, ero distrutto.» disse ridacchiando.
Oh, amore mio. Eri distrutto, ma non perché troppo ubriaco. Stavi morendo, la tua vita ti stava abbandonando ed io non ho saputo salvarti.
Cercai di camuffare con un sorriso l'angoscia che mi trasmise quella consapevolezza.
Lentamente scivolai tra le lenzuola del nostro letto, avvicinandomi di più a lui. Mi accolse tra le sue braccia quando mi misi a cavalcioni sulle sue gambe, appoggiando le mani sulle mie cosce e accarezzandomi con delicatezza.
Volevo dimenticare per un po', spegnere la mente ed occupare quella ora che ci era concessa prima che lui iniziasse a respirare a fatica.
Scelsi allora il modo migliore che conoscevo per dimenticare, per staccare la spina dalla vita reale ed inserirla nella presa di un momento fatto di piacere, di lussuria, passione e desiderio. Fare l'amore.
Accarezzai le sue spalle, tracciandone i muscoli, cercando di imprimere nei miei ricordi il suo corpo possente e cancellando invece le immagini del suo corpo fragile, spezzato dalle medicine e dal dolore.
Lo baciai sulle labbra, mentre con delicatezza lo spingevo a stendersi sul materasso. Non si oppose ai miei gesti, anzi, accolse i miei inviti a togliersi i vestiti senza neanche pensarci.
«Angie.» chiamò il mio nome con dolcezza.
Chiamami ancora, fallo con questa voce che canta desiderio.
Scivolai sul suo petto, baciando ogni lembo di pelle scoperta, fermandomi solo una volta essermi trovata davanti la sua intimità. Io ero ancora troppo vestita e la mia pelle iniziava a sudare. Mi sfilai dalla testa la maglietta che indossavo per dormire, che poi era sempre una delle sue.
Harry mi guardava dal basso, con gli occhi che gli brillavano di quella luce bellissima che mi aveva sempre ricordato di tutto il suo amore. Non erano mai servite troppe parole, mi era sempre bastato guardarlo negli occhi per capire che mi amava.
I miei fianchi ondeggiarono sul suo bacino nudo, lasciando che la mia intimità, ancora coperta dalle mutandine, sfregasse sulla sua. Trattenne un gemito, chiuse gli occhi e le mani sulle mie cosce.
Amavo il fatto che il suo tocco si alternasse dall'essere estremamente delicato all'essere piacevolmente rude e passionale.
Avevamo fatto tante volte l'amore e ogni volta ognuno di noi aveva scoperto cose nuove dell'altro, nuovi nei, parti sensibili della pelle, punti più eccitabili. Era bello scoprire sempre qualcosa di nuovo, era bello sperimentare e capire cosa ci piaceva e cosa no. E io avevo scoperto questo suo lato peccaminoso, fatto di morsi, di parole sconce mixate a diversi ti amo sussurrati all'orecchio, fatto di prese salde e spinte profonde, fatto di dimmi che sei mia e di dimmi che sono l'unico.
E lui aveva scoperto quanto mi piacesse questo suo aspetto, quanto impazzissi quando tra le lenzuola si lasciava andare e mi confessava tutti i suoi pensieri più lussuriosi, quanto fossi capace di urlare e di chiedergli di non fermarsi.
Per questo motivo mi lasciò fare, mi lasciò toccarlo e baciarlo con estrema lentezza, portò pazienza nonostante stesse evidentemente impazzendo dalla voglia di prendere le redini della situazione e dare sfogo a ogni suo desiderio. Voleva che lo scoprissi ancora, come se fosse la prima volta che gli facessi provare piacere.
Mi sfilai di dosso anche ciò che rimaneva a coprirmi la pelle e lui strinse i denti quando rimettendomi sul suo corpo lasciai che la mia intimità si sfregasse sulla sua gamba nuda. Mi accorsi della violenza con cui stava stringendo i denti dalla mascella tesa e spigolosa. Così mi chinai a lasciarvi un bacio, che quello era sempre stato un mio punto debole.
«Vuoi che sia io ad iniziare le danze?» gli sussurrai all'orecchio.
Le nostre danze fatte d'amore.
Harry sospirò e riaprì gli occhi, penetrandomi con lo sguardo.
«Ti prego.» sussurrò.
E a quel punto non c'era più altro tempo da perdere, l'avevo già fatto aspettare troppo e l'erezione che premeva tra le sue gambe, toccandomi le cosce, era evidente che pulsava dalla voglia matta di congiungersi al mio corpo.
Con delicatezza la lasciai scivolare nel profondo della mia intimità, trattenendo il respiro e muovendomi con gentilezza.
Harry mi aveva sempre detto che la mia timidezza si rifletteva anche nel mio modo di fare l'amore, che nonostante di rado mi rivelassi capace di prendere iniziative ed alludere a fatti peccaminosi e nonostante amassi quando invece era lui stesso ad essere peccaminoso, arrivati a quel momento ero sempre molto delicata, molto gentile e mi muovevo con tanta di quella eleganza da farlo impazzire. Erano sue parole.
Mi diceva sempre che lo mandava su di giri quando attraversavo il mio corpo con le mie stesse mani e lo facevo con lungaggine, per poi prendere le sue e portarmele addosso perché, anche se non lo dicevo, volevo che mi toccasse e che mi marcasse.
Spinsi più a fondo i fianchi, con il fiato corto ed i muscoli doloranti per la fatica. Lasciai sfuggire dalla mia bocca un gemito, seguito da uno che scappò invece dalla bocca di Harry.
Lo sentivo crescere dentro di me, così come sentivo il mio cuore pulsare come un folle ed il piacere attanagliarmi le viscere.
Solo dopo un po' Harry decise che era arrivato il momento di cambiare atmosfera: strinse i miei fianchi con le mani e ci capovolse sul letto, lasciando che questa volta fossi io ad essere sotto il suo controllo. Ma la verità era che io il controllo non lo avevo mai avuto, perché anche quando mi lasciava dirigere quel gioco di spinte e movimenti lenti, tutto ciò che mi guidava erano i suoi occhi.
Entrò ancora dentro di me, questa volta con molta meno delicatezza di come avevo fatto io, aggrappandosi con una mano alla mia coscia e con l'altra alla testiera del letto che in un tonfo si scontrò alla parete.
«Cazzo.» imprecò, prima di iniziare a muoversi.
Io allacciai le gambe attorno ai suoi fianchi e conficcai le unghie nelle sue spalle. Volevo che portasse addosso i miei segni, almeno sulla pelle, così come io portavo sul cuore i segni di tutto il suo amore.
Non mi resi neanche conto del fatto che dai miei occhi fossero uscite delle lacrime. E non per il dolore, ma perché nonostante l'amore che stessimo facendo, non potei fare a meno di pensare a tutto quello che sapevo sarebbe accaduto, che farlo non sarebbe più stato così bello.
Mi accorsi che dai miei occhi stavano uscendo lacrime salate solo quando Harry, con dei baci, ne asciugò una scivolata mi sulla guancia.
«Ti faccio male?» mi chiese con la voce intrisa di preoccupazione.
Rallentò i movimenti, ma io scossi la testa, invitandolo a continuare.
Non sei tu a farmi del male. Non potresti mai.
E anche se così fosse, non sarebbe mai doloroso tanto quanto perderti.
«Non mi fai male. Continua, per favore.»
Riprese a muoversi con ritmi costanti e decisi ed io conficcai ancor di più le unghie sulla sua pelle, scivolando lungo la schiena, consapevole che avrei lasciato dei graffi visibili.
«Perché stai piangendo?»
Mi baciò ancora sul viso, asciugando con la bocca altre lacrime.
«Non è niente, non preoccuparti.» lo rassicurai, baciandolo sul collo, «Ti amo.»
«Cazzo Angie, ti amo anche io.»
I suoi movimenti si fecero più intensi, approfondendo le spinte ed incitandomi a stringere le gambe attorno a lui per far sì che i nostri corpi restassero incollati.
«Mi farai impazzire. Dimmi perché piangi.»
Continuava nei suoi movimenti perché fermarsi ormai era impossibile e le mie gambe lo stavano stringendo tanto prepotentemente che non avrebbe potuto allontanarsi.
«Perché non voglio perderti.» riuscii a dire.
«Da dove ti vengono questi pensieri? Tu non mi perderai mai.» mormorò tra un bacio ed un altro.
Alla fine continuò ad ondeggiare i fianchi contro i miei fin quando non arrivò al culmine del suo piacere, concedendomi qualche altra spinta per permettermi di raggiungere l'apice anch'io. Si appoggiò con la fronte sulla mia, con il respiro pesante e gli occhi chiusi.
«Stai bene, Harry?» gli domandai allarmata.
«Da Dio.» rispose, sorridendo.
Allora si spostò dal mio corpo, lasciandosi andare al mio fianco.
Trovai subito posto sul suo petto, avvinghiandomi al suo fianco e lasciandogli un leggero bacio sulla pelle.
Di colpo mi sentii invasa dallo stesso senso di angoscia con la quale mi ero svegliata e dal quale credevo di essere scappata. Ma nemmeno mentre facevamo l'amore mi aveva abbandonata e dopo me ne sentii travolta.

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