12. Ho sognato di essere libera

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Ho sognato di essere un gabbiano.
Ho sognato di volare nel cielo.
Di essere libera.
Ho sognato di essere libera di scegliere come vivere la mia vita, di non essere costretta a dover lasciare tutto nelle mani del destino. La libertà, oh, mia amata libertà. Ti ho conosciuta a tratti durante la mia vita, non sei mai stata una presenza costante, a volte hai lasciato che qualcuno o qualcosa mi impedisse di vivere la vita come volevo, mi impedisse di prendere scelte che desideravo prendere, sbagli che avrei dovuto commettere; ma ti perdono se adesso combatti con me contro il destino.
Ho sognato di poter essere in alto, nel cielo, tra le nuvole, a guardare il mondo ai miei piedi.
Ho sognato di non avere paura.
Ho sognato Harry al mio fianco. Ho sognato che non mi abbandonava.
Lui c'era. Restava al mio fianco tutta la vita, volava con me, guardava il mondo in basso, con me.
Ho sognato di essere ancora felice.
Ma il punto era questo: era solo un sogno.
La realtà era differente.
La realtà era Harry che moriva e io che mi chiedevo perché il destino avesse deciso che mi meritavo questa vita. Era il karma? Dovevo pagare per qualcosa fatta in passato? Era questo quello che mi meritavo? E soprattutto, chi stava scegliendo per me? Avrei voluto saperlo, chiedere spiegazioni, in questo modo forse almeno l'avrei accettato.
Ma così, a vivere quella vita, non potevo accettarlo.
Perdere Harry in continuazione, non mi aiutava.
Era successo non una volta, ma tante altre volte perché, giuro, non stavo impazzendo, ma continuavo a rivivere lo stesso arco temporale. ancora e ancora.
Mi svegliavo il giorno in cui scoprivamo che Harry aveva un carcinoma ai polmoni, il tempo passava, lui moriva ed era lì, in quel momento, che tutto diventava bianco, troppo luminoso, troppo accecante; quando riaprivo gli occhi niente sembrava essere successo.
Lo so che sembra assurdo, che certe cose solo nei film, ma era la verità. Non l'avevo detto a nessuno e cercavo di capire per quale motivo il destino avesse deciso che dovevo rivivere quella parte della mia vita. Non poteva punirmi in questo modo senza un motivo, doveva esserci per forza. Stava a me capirlo e stava a me capire anche come fermare quel loop infernale in cui mi ritrovavo.
Svegliarsi e rivederlo al mio fianco vivo e vegeto mi dava un po' di speranza di salvarlo, speranza che poi svaniva quando dopo mesi la fine era sempre la stessa. E ogni volta faceva un po' più male.
Quindi forse era questo che avrei dovuto capire: come salvare Harry, trovare una cura, un rimedio.
Forse il destino non mi stava punendo, forse mi stava offrendo la possibilità di salvarlo.
Fu per questo che mi impegnai, cercai di mantenere il controllo, di non dare di matto; cercai una via d'uscita, una dove anche Harry potesse seguirmi, una che mi portava alla vita che avevo pianificato.
Avevo fatto diverse ricerche su ogni piattaforma online, cercato e ricercato medici e cure capaci di salvare la vita ad Harry, un qualsiasi modo per far sì che non mi abbandonasse, come sembrava di stare per fare da un momento all'altro. Ma l'unica cosa che ero riuscita a trovare era il numero dello studio di uno dei medici più famosi specializzati nella cura dei tumori. E quella era l'unica fonte di speranza che avevo e che mi restava.

Erano passati ormai un po' di mesi dall'inizio della chemio di Harry, le cure erano difficili da sopportare e il suo corpo a stento sopportava il peso dei trattamenti che in continuazione doveva subire.
Non gli avevo ancora detto nulla riguardo il medico che avevo trovato. Si chiamava Laurel Dickens, laureata in medicina con il massimo dei voti, due specialistiche e una carriera che procedeva a gonfie vele. Avevo cercato molto sul suo conto, volevo essere sicura di mettere nelle mani di qualcuno di capace la vita di Harry. Non volevo sprecare nessun'altra occasione e in più ero terrorizzata dall'idea che questo loop si interrompesse prima che io riuscissi a trovare una soluzione. In ogni caso, avevo letto molte idee positive sul suo conto, dovevo solo parlarne con Harry ed era quello che avrei fatto quella mattina.
«Buongiorno, amore», lo salutai quando entrò in cucina.
Il torso coperto da una t-shirt grigia, le gambe invece scoperte e i piedi scalzi sul pavimento.
«Harry, fa freddo. Dovresti coprirti.»
Non poteva prendere raffreddori, doveva curarsi, non ammalarsi di più e il suo sistema immunitario era troppo debole per evitare che un abbigliamento troppo scoperto non lo portasse a prendersi un raffreddore.
«Mh, ci sono i riscaldamenti accesi.»
Le sue labbra lasciarono un bacio sulle mie e una sua mano accarezzò la mia schiena. Si sedette al mio fianco, afferrando il pacco di biscotti che avevo preparato per la colazione. Lo guardai attentamente, cercando di capire il suo stato di salute, senza dovergli fare l'interrogatorio come tutte le mattine, ma già il fatto che fosse riuscito ad alzarsi e a trascinarsi fino in cucina, mi fece capire che quello era un giorno buono. Stava pure mangiando qualche biscotto.
«Vuoi che ti preparo un tè? Una camomilla?» gli chiesi.
«Una camomilla va bene, grazie.»
Si strofinò gli occhi con i palmi delle mani e un grande respiro riempì i suoi polmoni.
Misi l'acqua nel bollitore e nel frattempo mi avvicinai a lui, avvolsi le braccia attorno alle sue spalle e baciai un punto sul suo collo.
«È tutt'okay?» non potei fare a meno di chiedere.
Odiavo doverglielo chiedere, odiavo doverlo spingere a parlarmi di come stava e di come si sentiva, perché odiavo vedere la sua espressione stanca e distrutta mentre mi confessava che non stava poi così bene.
Odiavo vederlo soffrire.
Strinse una mia mano nella sua e girò di poco il viso per permettermi di lasciare un bacio sulla sua guancia.
«Sì, tranquilla. Sono solo un po' stanco.»
Mi distrasse da quel momento il bollitore che aveva preso a fischiare. Lo spensi e dopo aver preparato due tazze con i filtri della camomilla, vi versai l'acqua bollente. Mi ringraziò a bassa voce quando gli porsi la sua.
Sorseggiammo in silenzio quell'infuso bollente, fin quando Harry non terminò il suo e si voltò nella mia direzione. Le sue mani si allungarono sui miei fianchi, il suo viso scavò uno spazio tra il collo e la spalla.
«Coccole, per favore.» mormorò.
Sorrisi, appoggiando la tazza sul ripiano e voltandomi un po' verso di lui.
Le mie braccia circondarono le sue spalle e le mie dita si aggrapparono alla sua pelle.
Ricordavo i giorni in cui le mie dita si erano aggrappate ai suoi capelli, i suoi bellissimi ricci, mantre invece in quel momento portava un capello di lana, per nascondersi dalla realtà, da tutta la verità.
«C'è un medico, Harry.»
Proruppi con voce apparentemente calma.
«Mh?» mormorò, non allontanandosi dal mio abbraccio.
Temporeggiai un po', cercando le parole giuste per dirglielo. Ma esisteva davvero un modo per dirgli che forse qualcuno che poteva salvarlo c'era, senza dargli però troppe speranze? Probabilmente no.
«Laurel Dickens. È il miglior medico della Carolina, specializzata nella cura sui tumori.»
Soltanto allora il volto di Harry si mostrò ancora ai miei occhi. Era confuso, non capiva.
«Ho già il mio medico», le rispose.
«Lo so, ma lei è brava. Dicono sia eccezionale, ha curato il 90% dei suoi pazienti e sempre con ottimi risultati.»
Si sciolse da quell'abbraccio, lasciando che il tepore dei nostri corpi si disperdesse di colpo attorno a noi.
«Perché hai cercato un altro dottore? Non serve. Io sto bene.»
Deglutii.
E come te lo spiego che il destino continua a portarti via da me? Come te lo spiego che forse l'unico modo è questo? Come faccio a non farmi credere pazza?
Abbassai gli occhi sulle venature in legno del bancone e vidi le mie mani tremare.
Potevo dirglielo? Potevo raccontargli tutto? Probabilmente no, non mi avrebbe mai creduto. Non potevo.
«Non mi fido, Harry.»
Allora mi alzai dallo sgabello, iniziando a fare avanti e indietro per la cucina. Fuggivo dai suoi occhi.
«Di cosa, Angie?»
«Delle cure che ti fanno. Non mi fido. Ho un brutto presentimento e questa cosa mi sta facendo impazzire», dissi tutto di getto.
Si alzò anche lui dal suo posto, avvicinandosi a me lentamente e con tanta cautela. Quando i nostri corpi non furono più così distanti, le sue mani raccolsero il mio viso e a quel punto non c'era più modo che i miei occhi scappassero dai suoi.
«Cosa vuoi che faccia per farti stare più tranquilla?»
A quel punto sentii le lacrime appannare la mia vista. Mi ero ripromessa che non avrei più pianto, che sarei stata forte, che avrei trovato una soluzione e combattuto perché questa funzionasse. Ma era difficile, quasi impossibile, guardarlo negli occhi e non sentirmi sopraffatta dal terrore che tutto sarebbe finito ancora.
«Fatti controllare da lei, prendiamo un appuntamento e andiamoci. Per favore.»
La mia voce era un mugugno misto di pianto, disperazione e supplica.
Riuscii a vedere sul suo viso un'espressione affranta. Sapevo che odiava vedermi soffrire, vedermi in quello stato, ma l'avrebbe capito anche se avessi provato a nasconderlo.
«Va bene. La chiamiamo e le chiediamo un appuntamento.» Acconsentì.
Tirai su col naso e lui asciugò quelle lacrime che avevano bagnato le mie guance.
«Ma adesso devi promettermi che smetti di avere paura. Okay?»
E quella promessa quante volte l'avevo già fatta, quante volte l'avevo sentito a dirmela. Lui non lo sapeva, ma io sì e sapevo che era una promessa vana, che non avrei mai e poi mai potuto smettere di avere paura sapendo che se non avessi trovato una soluzione, lui non sarebbe sopravvissuto.
Eppure annuii e glielo promisi ancora.
Era così che noi funzionavamo, così che era sempre andata da quando ci conoscevamo, da quando stavamo insieme: lui era il più forte tra i due, l'ancora di tutta la nostra storia d'amore; io ero solo troppo fragile.

Non avere paura [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora