9. Déjà-vu

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«Tu sei vivo?» ripetei a bassa voce.
Harry allungò una mano per stringermi il fianco sotto le coperte.
«Che stai dicendo, Angie?» chiese, tornando a chiudere gli occhi e a sprofondare il viso nel cuscino, «Torna a dormire, dai. È presto.»
Mi voltai a guardare la sveglia sul comodino. Le 7 del mattino.
Mi sentivo frastornata, confusa. Riuscivo a sentire ancora sulla pelle e sul cuore il peso di un avvenimento che mi aveva lacerata, ma che in quella realtà non sembrava essere accaduto affatto.
Cos'era successo? Harry stava bene? Era stato solo un brutto sogno?
Tornai a guardarlo. Lui stava bene.
Il colorito della sua pelle non era più pallido, ma bronzeo e lucido proprio come un tempo, i suoi capelli erano sempre i suoi bellissimi ricci, le ossa non erano prominenti, ma i muscoli sul suo corpo sì.
«Harry» lo chiamai, mentre con una mano gli toccavo le spalle e lo scuotevo piano.
«Mh...» mormorò, ma senza aprire gli occhi.
«Harry, guardami.»
Allora aprì gli occhi e lo fece. Anche quelli erano gli stessi di sempre: lucidi, luminosi, brillanti. Nessun segno di stanchezza, nessuna traccia di dolore.
Tornai a stendermi sul letto, appoggiando la testa sul cuscino vicino alla sua, per poi rivolgere il mio interesse tutto sul suo corpo.
Non riuscivo ancora a crederci, ma se tutto quello che avevo visto era solo un sogno, se tutto quel dolore che avevo provato era stato soltanto frutto della mia mente corrotta, allora volevo stringerlo e sentirmelo addosso, vivo più che mai.
«Che c'è, amore?»
Alzai le spalle, non rispondendo. Con le mani accarezzai il suo viso, i capelli, le spalle. Come mi era mancato tutto quello e ancora non riuscivo a capire se fosse reale, o meno.
Magari era il paradiso.
Magari il sogno che stavo facendo era proprio quello. Poi avrei aperto gli occhi e il dolore sarebbe tornato.
La sua mano mi strinse la schiena e mi portò più vicina. Quando le sue labbra si appoggiarono sulla mia fronte allora realizzai che non era un sogno, che quella era la realtà.
Nessun dolore, nessun addio, nessuna malattia.
«Hai fatto un incubo?» mi chiese Harry.
Io annuii con la testa, per poi appoggiarla sul suo petto, godendo del suo calore.
«Vuoi parlarne?»
«No», risposi subito, stringendomi di più al suo corpo.
Volevo solo dimenticare di quell'incubo, cancellarlo dalla mia testa, tutto quel dolore, la sua assenza. Non volevo ricordare più nulla.
Non mi era mai capitato di fare un sogno simile, così tanto reale da sembrarmi di averlo vissuto sulla pelle, e di sicuro non era stata un'esperienza piacevole considerato il contesto su cui tutto il sogno si era basato.
Ma forse era soltanto la mia mente a giocarmi brutti scherzi, forse era la paura di perderlo, il matrimonio imminente, l'ansia che qualcosa potesse andare storto.
«Cosa vuoi per colazione?» mi chiese il mio ragazzo.
Con una mano continuava ad accarezzarmi la schiena, a volte scendeva sulle gambe, poi risaliva e tracciava le forme del mio corpo. Il suo tocco era caldo e confortante e io in quel momento mi sentii al sicuro.
«Waffel» gli risposi, mentre un sorriso mi si allargava in viso.
«Waffel siano allora!»
Ridacchiai contenta. Quando però provò ad allontanarsi dal tempore di quell'abbraccio per alzarsi, lo strinsi di più a me, ancorando le braccia attorno al suo torace e le gambe attorno alle sue. Non esisteva al mondo che lo lasciassi andare.
«La vuoi o no la colazione?» mi domandò divertito, quando si rese conto che le mie intenzioni di mollare la presa erano molto vane.
«Sì, ma dopo. Restiamo un altro po' a letto.»
Harry ridacchiò, strizzando con una mano il mio fondoschiena e facendomi guaire. In risposta gli pizzicai un fianco e lui scoppiò a ridere.
«Ma ormai sono sveglio!»
«Non ho detto che dobbiamo restare a letto per dormire.»
E nonostante le mie parole non alludessero a nessun altro doppio fine, i suoi occhi mi inquadrano il viso e mi osservarono attentamente, con un pizzico di malizia a brillargli tra le iridi. Sorrisi e mi nascosi il viso con una mano quando mi resi conto di aver detto qualcosa di facilmente fraintendibile e le mie guance si colorarono inevitabilmente di un rossore tenue.
«Ah no? E che vorresti fare?» mi chiese, ammiccando.
Mi spinsi sul suo corpo, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo e mugugnando un lamento imbarazzato. Stavamo insieme da tanto tempo, eppure mi faceva sempre imbarazzare. Di solito non ero il tipo da fare allusioni a sfondo sessuale, quando ci provavo il mio volto diventava paonazzo e mi sentivo così terribilmente imbranata ed incapace.
Harry però mi diceva sempre che in realtà ero molto persuasiva e convincente, ma ero più convinta del fatto che fosse troppo innamorato di me per potersi rendere conto della mia goffaggine in situazioni simili.
«Allora amore, cosa vorresti fare?» insistette con tono derisorio.
«Non lo so... parlare tipo?»
«Mh, parlare? E di cosa?»
Ancora una volta mi lamentai dei suoi tentativi di prendermi in giro, mordendo la pelle sul suo collo a mo' di dispetto. Lui trasalì e strinse la presa sui miei fianchi.
«Angie» mi ammonì.
La sua voce era bassa. Se c'era una cosa che l'aveva sempre fatto impazzire era proprio quella: i morsi sul collo. Mi aveva sempre detto che bruciavano le tappe del suo controllo e aumentavano le sue voglie. Io avevo sempre approfittato di questo fatto, provocandolo nei nostri momenti più intimi, a volte per il puro gusto di vedere i suoi occhi colorarsi di desiderio. Era bello quando mi guardava, era bello quando lo faceva con occhi desiderosi, mi faceva sentire più bella, mi faceva sentire quasi quasi attraente.
«Vacci piano» continuò, quando io sfregai la punta del naso sul suo collo.
Con le labbra schiuse percorsi la linea della sua mascella. I suoi tratti così virili e marcati erano sempre stato un punto debole per la sottoscritta. Il suo corpo si irrigidì ancora, deglutì e chiuse gli occhi.
Era questa la sensazione di cui parlavo. Nonostante non stessi facendo assolutamente nulla di eclatante, il suo corpo reagiva alle mie piccole attenzioni, mentre il mio si riscaldava, al punto da diventare bollente.
Capii che avrei dovuto fermarmi.
Così mi allontanai dal tepore del suo petto, buttandomi sul materasso al suo fianco.
Harry fissava il soffitto, con un sorriso da ebete sul viso.
«Questa storia che con te torno ad avere 15 anni deve finire», proruppe, ridacchiando.
Risi anch'io, per poi alzarmi con leggiadria, saltellando fino al bagno. Prima di chiudere la porta alle spalle gli rivolsi un'occhiata.
«Smettila di essere così bella!» mi richiamò.
Mi tolsi la maglietta che stavo indossando, che per altro era una delle sue, restando così in intimo soltanto. Sapevo che il mio non era un gioco tanto pulito, ma adoravo provocarlo, giocare con lui in questo modo. Ci divertivamo entrambi e ci facevano bene all'anima tutti quei sorrisi.
«E tu smettila di essere così dannatamente attraente!» gli risposi, lanciandogli la t-shirt.
Infine mi chiusi in bagno, ma riuscii comunque a sentirlo ridere.
Ritrovandomi da sola allora mi resi conto che il mio umore si era allietato. Il sogno che avevo fatto sembrava lontano e nemmeno così tanto terribile. Era stato solo frutto del mio cervello, un terribile scherzo che la mente mi aveva giocato. Però Harry era lì, a guardarmi e ad amarmi nel modo più reale e vero possibile.
Lui c'era. Vivo.
Mi guardai allo specchio, accorgendomi delle mie guance arrossate e dei miei occhi brillanti. Stavo bene anch'io. Il mio corpo e il mio aspetto non portavano affatto i segni di una presenza strappata con la forza dalla mia vita. Sembravo stare bene.
Mi domandai perché avessi fatto un sogno simile, quale fosse il motivo che aveva spinto la mia mente a tormentarmi la notte con immagini tanto brutte da sembrare reali. Non riuscivo ancora a capirlo.
Inoltre, se ripensavo al giorno prima, non riuscivo a ricordare di essermi addormentata, o cosa avessi fatto. L'unica cosa che mi sembrava di aver vissuto fino ad allora era tutto quello ch'era accaduto in quel sogno. Per questo motivo c'erano ancora cose che non riuscivo a capire.
Mi lavai la faccia, poi i denti, sistemai i capelli ed uscii dal bagno. Il letto era vuoto.
Cercai nell'armadio una vestaglia da indossare, poi uscii dalla nostra stanza e camminai lungo il corridoio.
Sentii Harry trafficare in cucina e quando entrai in quella stanza lo trovai con una forchetta in mano, una ciotola e diversi ingredienti davanti sul bancone.
«Sto preparando i waffel» mi disse.
Io annuii, avvicinandomi a lui per lasciargli un bacio sulla spalla nuda. Indossava soltanto i boxer ed una maglietta e io ero così grata di quella visione. Era perfetto.
Ricambiò il mio gesto affettuoso con un bacio sulla fronte.
«Stavo pensando che sarei potuta andare a correre stamattina.»
«Ma se non volevi neanche alzarti!» ridacchiò.
Alzai le spalle e rubai una fragola dal piatto, per poi portarmela alle labbra e morderne un pezzo, mentre saltavo sul bancone e vi sedevo sopra.
«Il tuo corpo caldo era un richiamo.»
«Si?» alzò un sopracciglio, guardandomi.
Le sue mani erano impegnate a mescolare gli ingredienti e i muscoli delle sue braccia si flettevano lievemente ad ogni suo movimento. Io lo guardavo ammaliata, seduta sul bancone e con le gambe a penzoloni. Non avevo mai visto niente di così bello come quell'immagine: l'uomo di cui ero perdutamente innamorata a prepararmi la colazione, quasi del tutto svestito.
Mi sporsi verso di lui, appoggiando una mano sulla sua spalla per reggermi e lasciargli un bacio sul collo. Quella mattina proprio non riuscivo a stargli lontana.
«Oggi sei più affettuosa. Devi dirmi qualcosa?» mi derise.
Sorrisi.
«Non posso esserlo?»
«Certo che puoi.»
E allora tornò a preparare la colazione, mentre entrambi restavamo in silenzio. Mi perdevo un po' tra i pensieri e mi guardavo le mani, cercando di capire perché io continuassi a sentirmi così, con questo peso sul petto che non se ne andava. Non c'era niente di cui spaventarsi, niente da temere. Quindi perché non riuscivo a smettere di sentirmi in ansia?
Scesi dal bancone, lisciandomi la vestaglia sulle cosce.
«Dov'è il mio cellulare?» dissi ad alta voce.
«Dovrebbe essere sul comodino, in camera da letto» mi rispose Harry.
Annuii, uscendo dalla cucina e tornando nella nostra camera, notando il cellulare proprio lì, sul comodino. Lo afferrai e sbloccandolo osservai l'ora e la data che lampeggiavano sullo schermo.

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