Chapter Three.

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Cammino di corsa e fatico a stare al suo passo, vado a sbattere e mollo gomitate a chiunque mi passa vicino, nella strada affollata, goffa e maldestra. Si è offerto di accompagnarmi a 'fare shopping'. È una cosa che mi sta sul cazzo di mio, e andarci con un ragazzo è ancora peggio. Mi perdo nel centro commerciale, ma anziché preoccuparmene, mi infilo tra gli scaffali di un negozio di libri. Mi siedo su una poltroncina rossa e mi metto a sfogliare le pagine di alcuni volumi fantastici. Il primo libro parla di draghi ed è una specie di enciclopedia, il secondo invece è una storia, e poi.. non so, cos'è per te la felicità, Amy? Per me la felicità è avere qualcuno, che sia ‘qualcuno’ solo per te. Il suo sguardo si ghiaccia e mi fissa con gli occhi di un gatto, le pupille diventano puntini. Si fa buio, si vedono solo lui, i suoi occhi, il suo cappotto grigio, e le mie gambe fine, la stazione. 

AMY! TI HO TROVATA!

Balzo in avanti e i libri cadono a terra, lo stomaco scoppia e io alzo gli occhi verso il ragazzo. Si inginocchia di fronte a me poggiandomi quelle mani sulle ginocchia. Mi trema il labbro inferiore, lo fermo tra i denti. "Cos'hai? Perché piangi, Amy?" ..i suoi occhi da ragazzino mi scrutano il viso, verdi e raggianti. Mi passa una mano tra i capelli, mi sfiora la guancia con il dorso delle dita, e io mi passo di fretta il polso sotto gli occhi, asciugandomi le lacrime con la manica. "Non ti trovavo -posa gli occhi sulle mie labbra- ..ti ho cercato ovunque.." un padre che consola la figlia, preoccupato. 

"Scusa, leggevo e non mi sono accorta del tempo." Raccoglie i libri e si alza, mi alzo anche io. 

"Sei ancora triste?" Punta gli occhi nei miei, mi scava a fondo. 

Io, seduta di fronte a lui, poso la forchetta nel piatto e porto entrambe le mani a torturarsi l'un' l'altra sotto al tavolo, sulle cosce. "No, affatto. Anzi, non saprò mai come ringraziarti, più di così, che non è abbastanza.." Scuote la testa. Severo.

"Oggi piangevi, non stavi leggendo. Sei triste, qui?" 

“No che non lo sono. Sono felice, William, sono.. felice. Mi era solo preso un attimo di malinconia.”

“Davvero? ..”

“Sì, ogni tanto mi manca la mia casa.”

Annuisce e riprende a mangiare, non aggiunge altro.


Dov’è il mio principe azzurro? Chi sta scrivendo la mia storia ha l’idea di essere una persona molto sola, e orgogliosa. Non hai principi azzurri tu? Non sei abituata a vivere con un uomo e a dormire nel suo stesso letto? A chiamarlo amore, e a preparargli la colazione dandogli il buongiorno con un bacio sulla fronte? Mi stendo sul letto, nella camera dal buio indaco delle luci notturne e candide che filtrano dalla finestra, gli occhi mi si velano di lacrime sottili, le lacrime della stanchezza, e di sonno nemmeno l’ombra, mentre fisso il soffitto bianco bianco della stanza, bianco come il vuoto, come l’universo prima del Big Bang. Il sogno che mi colora le palpabre nei pochi secondi in cui le chiudo mi toglie del tutto la notte. Anzi, che abbia ‘colorato’ le mie palpebre, si fa per dire, perché si svolgeva in penombra, e.. si fa per dire anche che mi abbia tolto la notte, perché anzi, me l’ha restituita al posto del sonno, e quindi non me la fa passare. Passa lenta, inesorabile, invincibile, intanto che penso a quel sogno. Lui scappava, e mi chiedeva dei soldi dicendo che poi me li avrebbe restituiti, nonostante fossero davvero una piccola somma. Cosa potevo farmene di 5$ in quel momento? Glieli avevo dati, e lui si stava facendo troppi problemi di cortesia, dicendomi che poi tanto me li avrebbe restituiti, ripetendolo, ripetendolo ancora.  Intanto ridacchiava tra sé e sé e sembrava felice, ma avevo la netta sensazione di essere presa in giro, perché lui sapeva qualcosa che io non sapevo affatto. Quindi si mise a correre e io lo seguii, infilandomi nel portone del palazzo giust-in-tempo prima che si richiudesse lasciandomi fuori al freddo nella notte. Lui aveva le chiavi, io no. Sarei rimasta comprensibilmente chiusa fuori, quindi. E lui si era messo a correre scherzoso, ma aveva rallentato, quasi avesse intenzione solo di fingere di ‘quasi-chiudermi-fuori’. Poi si era infilato in cantina, dove c'era una festa e c’erano altre persone e allora io, sbirciandolo dalle scale, dal piano di sopra, avevo rinunciato a rincorrerlo e stavo mettendo il muso. Ho sempre odiato questi tipi di scherzi, perciò avevo rinunciato, volevo solo entrare in casa, ed era lui ad avere le chiavi, ma il mio orgoglio mi avrebbe imposto di aspettarlo per le scale, piuttosto che seguirlo ancora. Stavo spostando lo sguardo, mettendo il broncio quando, dopo aver guardato i suoi occhi che mi sorridevano con un amore che fui in grado di percepire solo in quel momento, notai la porta al piano di sopra, cinque gradini più in là, un po’ socchiusa e capii che lui, prima di ‘scappare’ da me, mi aveva aperto la porta di casa. Entrai, ed era buia, come una casa vuota. Camminai per il corridoio e inciampai in degli scatoloni sparsi tra il corridoio e la camera da letto. Aveva usato quei miei 5$ per finire di pagare gli ultimi pochi dollari che rimanevano per poter comprare un letto nuovo. Il nostro letto nuovo, un letto su cui non era stata nessuna. Un letto che fosse ‘nostro’ e quel suo modo di scappare era un modo per rendermi più accattivante la sorpresa. Ma.. il palazzo, non era quello in cui vivo, il ragazzo non era Will, anzi, non ricordo la faccia.

Il sogno poteva essere pieno di significati.

Will, è una persona stupenda, e gli sono riconoscente per tutto ciò che ha fatto per me nell’ultimo mese, per avermi regalato un lavoro, una casa, senza che io debba fare nulla anche se poi faccio di tutto per sdebitarmi.

Sei triste?, mi ha chiesto, sei triste? E triste è il contrario di felice. So cosa intendesse prima, cos’è per me la felicità? Non sono romantica, no, per nulla, e quando gli risposi che per me la felicità fosse avere ‘qualcuno’ che fosse ‘qualcuno’ solo per me, intendevo qualcosa di molto più profondo di ‘romantico’. Allo stesso tempo potrei considerarlo anche effimero. Avere ‘qualcuno’, vuol dire avere una certezza, per come la intendo io. Una certezza come tornare a casa e sapere per chi preparare la cena, o passeggiare per il corridoio sapendo per certo di chi sono i passi accanto ai tuoi. Io ho qualcuno?

Un fremito mi attraversa la schiena e le tende volano, sgrano gli occhi e mi tiro su di botto, sorreggendomi sul letto con le braccia, mentre fisso la finestra, spalancata. Riprendo fiato dallo spavento, scivolo giù dal letto, chiudo la finestra e mi siedo tra le coperte rivolta verso di questa, prendendo ad osservare attentamente ogni singolo particolare fuori da questa.

Io sì, ho qualcuno. Il problema forse è proprio questo.

Lui è la persona che mi ha dato tutto ciò che poteva darmi, la persona alla quale preparo la cena, il pranzo, la colazione. È la persona a cui do il buongiorno, ma non gli bacio le labbra per salutarlo. Ho un altro fremito ma non è colpa del vento che spalanca la finestra, stavolta. È colpa mia.

Will;Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora