Era una sera d'Agosto

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Era una sera d'Agosto quando il mondo cadde in silenzio sotto le sferzate incessanti del tempo.

Ne venni a conoscenza solo qualche minuto prima a causa degli allarmi ormai fuori controllo degli altoparlanti, del panico generale e del traffico soffocante nel quale intravedevo gli innumerevoli volti della disperazione. Mi chiesi se davvero importasse - alla fine io ero solamente uscito per fare la spesa - dato che trovarmi d'innanzi a qualche enorme corpo celeste di cui ero troppo pigro per ricordare il nome non mi faceva di certo piacere, come non me ne procurava scavalcare goffamente il corpo di qualche povero malcapitato schiacciato dalla folla, troppo giovane per morire e probabilmente inconsapevole di qualunque cosa gli sia successa durante i suoi ultimi momenti. È un peccato non si possa inebriare di questo incredibile tramonto. Ebbi il tempo di riflettere un ultima volta sul tipo di birra da prendere dal frigo del mio solito discount, ma - credo sempre per pigrizia - ripiegai sulla solita confezione da sei in offerta ogni Giovedì. Mi avvicinai alla cassa automatica e contai gli spiccioli rimasti con la chiara intenzione di non voler cambiare i soldi con il cassiere, che sembrava essersi preso una pausa dal lavoro per dormire un po'. Giaceva accasciato dietro al bancone accanto a quella che mi parve essere una doppietta. Non sono mai stato molto bravo con le armi e tutto quel sangue di certo non aiutava a rendere l'immagine più chiara.

Sul marciapiede iniziarono le prime scosse. Quando la terra tremò - inabissando voracemente l'altro lato della strada - e le urla iniziarono ad invadere la città, mi misi a cercare nelle tasche qualunque cosa potesse scardinare un tappo robusto come quello delle birre economiche. Osservai gli edifici crollare, le rondini piovere dal cielo e il silenzio giungere timido, forse in punta di piedi. Volsi il mio sguardo un'ultima volta alla luna crescente ormai quasi irriconoscibile, divisa in più parti secondo assi che ritenevo impossibili e pensai di essere fortunato ad aver finalmente trovato l'accendino che credevo perso tra le pieghe del giubbotto. Stappai con notevole difficoltà l'economico brindisi che tenevo tra le mani, con la speranza - o certezza - che non si presentasse nessun pazzo dal cappello di stagnola a cui offrirlo. Da seduto, l'asfalto era tiepido al tatto - un po' ruvido a volte - e il vento smise bruscamente di correre, come i miei pensieri. Non me ne accorsi - nessuno lo fece - ma d'improvviso, fu il nulla.

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