Parte 1 : Colpo al cuore

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Un colpo al cuore della magistratura ducale. Eraldo Moro supremo giudice di corte ucciso da mano sconosciuta. Un colpo al cuore che sprizza nobile sangue e imbratta il pavimento della residenza privata. Moro ha un solo figlio suo erede e a suo tempo separato non per sua volontà dal genitore perché insensibile ai valori cristiani e poco incline alla giustizia, anzi incallito frequentatore di bettole dove pratiche illecite di ogni tipo sono tollerate e condivise da loschi personaggi. Il Moro, tuttavia non ha mai inteso provarlo del diritto alla successione dei beni di famiglia, mobili e immobili, di notevole consistenza e sempre ha manifestato pubblicamente l' idea che un figlio rimane un figlio e che la giustizia di sangue illumina il suo operato come quella di regime che esercita col suo mandato. Riconosce egli le gravi colpe del figlio, di nome Edoardo, ma non condanna semmai è piuttosto incline al perdono per le di lui malefatte che conducono quasi ogni giorno alla sua porta creditori, padri millantatori di figlie disonorate, avvocati di qualche parte civile in causa e strani ceffi di bassa lega che conoscono solo il linguaggio del coltello e praticano la vendetta più che i sacramenti. Insomma un figlio Edoardo, bisognoso di perdono e soldi e qualora il perdono non fosse corroborato dai soldi allora rapina e soldi, l' importante per lui è placare i creditori, trarsi d' impaccio fra mille iene affamate e finalmente spendere tutto quello che suo padre promette e mai concede. Edoardo, sospettato del delitto viene interrogato dai magistrati fedeli sottoposti del fulgido genitore e la sua posizione si tramuta presto da scomoda a pericolosa perché testimoni affermano di averlo visto aggirarsi con fare sospetto nei pressi della casa del delitto nel giorno e più o meno all'ora in cui fu probabilmente commesso. Non essendo l' accusato un grado di spiegare il perché e percome della sua presenza in loco viene formalmente accusato di parricidio. Nel giro, però, di pochi giorni in nuovo indagato emerge dalla folla dei detrattori del supremo giudice ucciso. Si tratta di una donna, una giovane donna il cui marito era stato dal giudice a suo tempo condannato a morte, a suo dire ingiustamente, per il furto in una casa e lo stupro di due ragazzine che l' abitavano mentre i genitori erano intenti ai lavori dei campi. La donna, al secolo Amelia Rocca, aveva in passato fortemente manifestato volontà di vendetta nei di lui confronti perché aveva distrutto la vita sua e dei suoi figli senza, a suo dire, prove certe e senza tener conto di testimonianze portate a discolpa. La donna era agile e sapeva usare armi da taglio come del resto ogni contadina giovane e anche lei non era lontana dalla casa del delitto il giorno del dramma. Un terzo indagato salto' fuori quasi per caso quando un servitore del giudice morto raccontò a un gendarme amico suo di un credito vantato da un fornitore della casa di Moro. Il credito era di notevole entità per lavoro di sistemazione delle stalle e non era stato onorato per una ingiustificata pretesa del Moro di rifare completamente il lavoro nonostante il progetto fosse stato preventivamente approvato e materiali e costruzione fossero rispondenti a quanto concordato. Il creditore, tal Pietro da Narni, era un abile costruttore scalpellino molto abile nel maneggio di armi da taglio e conosciuto in zona per il carattere deciso e anche per le conoscenze altolocate, visto il lavoro che lo portava spesso presso residenze di nobili locali. Non era escluso che il suo rancore verso Il Moro fosse caricato anche da quello di alcuni di questi nobili non tutti amici ed estimatori del giudice. Agli incaricati delle indagine fu proprio questa serie di amicizie potenti a sollecitare l' idea che qualche nobile nemico potesse usare l' artigiano e la sua rabbia come arma finale per eliminare un nemico per chissà quale ragione pagando un sicario fidato e motivato nell' uccidere. Le indagini proseguirono per alcuni giorni senza approdare a nulla di concreto. I tre sospettati non vedevano agli interrogatori e una qualche forma di tortura perpetrata sui soggetti non ottenne migliori risultati. Pressati dalla volontà popolare che amava molto il Moro e voleva un colpevole, per non cedere alla sindrome di Barabba e tentare una soluzione definitiva il consiglio degli inquisitori alla fine votò una decisione. I tre indiziati sarebbero stati rinchiusi in un luogo adatto ad ospitare loro e il cadavere esposto del giudice ucciso. I tre, privi di ogni conforto che non fosse acqua e pane due volte al giorno avrebbero avuto modo di confrontarsi di fronte e insieme alla vittima e proprio il giudice eccelso, ancorché morto, avrebbe alla fine decretato il colpevole che sicuramente non avrebbe retto alle valide ragioni dei due innocenti e avrebbe finito per confessare. La decisione doveva prendersi in fretta perché meditata nei giorni della inchiesta su proposta del giudice Sala erede in pectore della carica rimasta vacante.

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