Sua eccellenza Domenico Sala era un uomo di nobili origini e di modeste pretese. La sua enorme casa era abitata solo in una piccola parte. La sua stanza da letto, sobriamente arredata, si trovava al secondo piano. Lo studio adiacente che aveva ereditato la mobilia di famiglia appariva più ricco ma gli anni e la scarsa cura ne riducevano il valore, cosa di cui poco si preoccupava. Quella sera, licenziata la serva, come al solito si avviò verso la sua camera da letto. La luce incerta della bugia che teneva in mano esagerava le ombre claudicanti come il suo passo mentre recitava il solito disegno nel percorrere il corridoio in pavimento di cotto. Non che avesse bisogno, ora, di luce. Il breve percorso era a lui sì noto da essere agevolmente percorso ad occhi chiusi. Non appena aperto l'uscio della camera fu colpito dal lieve sentore di un profumo insolito, sconosciuto. – un' idea della serva- sentenzio', senza convinzione e posato il lume sul comodino, si corico'. Il sonno non arrivava, i pensieri si affollavano, l'uccisione del Moro e l'eccitazione per la prossima nomina a successore lo inchiodavano al mondo reale, i sogni dovevano aspettare. Non fu un sogno, o forse sì quello che venne poco dopo. Il profumo si fece più intenso, era vicino, quasi palpabile, su di lui. L' improvvisa apparizione, nitida del volto del Moro chino su di lui lo sfianco'. La faccia livida e giallastra, gli occhi grigi e spenti, i pochi capelli arruffati e bluastri, la bocca aperta nel ghigno della morte parlò: -Fratello mio eccomi da te. Da te che mi amasti e servisti con dedizione rara, non ti crucciare, da me non avrai danno, la tua missione che fu la mia è sempre la stessa. Trovalo! Trova l'infame e fallo a pezzi. Di qua non c'è clemenza, non c'è perdono, chi ha ucciso me merita la morte e che io possa presto averlo qui, con me, e presentarmi insieme a lui al giudizio del mio Dio. Trovalo o non avrai pace, questa la tua missione e non fallire.- Il morto non concesse replica, il volto si fece deforme e si dissolse lentamente lasciando un fetore nauseabondo, di morte e disfacimento. A quel fetore Sala aggiunse quello delle sue viscere che si liberarono senza controllo e lo lasciarono umido e umiliato sul lettuccio sfatto, nella stanza della paura. L'alba, dopo un secolo, arrivò con affanno trattenuta dai lacci del terrore e preceduta da lampi di gelo e sudore incontrollabile. Poi però le idee confuse della notte lasciarono il posto ai propositi guerreschi del mattino quando, ancor più malfermo nelle gambe, il giudice mosse alla volta del tribunale. L'importanza della questione imponeva sollecitudine nell'organizzazione del confronto degli indagati con la vittima e, novità: del testimone. Domenico Sala efficientissimo assumeva il controllo della questione e soprintendeva, senza voler esercitare pressioni o influenze. Il morto era morto e si doveva tener conto delle carni in disfacimento e della ragione della carità che imponeva presto una sepoltura. Sicuramente i tre imputati al confronto del cadavere non avrebbero a lungo saputo resistere e la presenza grave, solenne di Domenico Sala avrebbe mantenuto il confronto in un recinto di legalità e verità. Ciò che avvenne poi è noto agli studiosi di cronache giudiziarie dell'epoca. Al termine di quella stessa giornata tutto fu pronto. I tre furono condotti , mesti e vinti, alla sala interrogatori. Trovarono un catafalco composto da un tavolo leggermente inclinato in avanti e quattro ceri accesi agli angoli a marcare il confine tra vita e morte. L'inclinazione del tavolo faceva sì che il viso del cadavere fosse visibile a chi sedeva davanti a lui anche da qualche metro di distanza. Domenico Sala prese posto di lato e poteva osservare i tre e l'uno messi a confronto. Entrarono uno dopo l'altro, accompagnati da energumeni, cigolii di catene e le loro stesse ombre malferme che li precedettero oltre le sbarre. Seguì un silenzio "tombale" che durò tutto il tempo in cui Sala pensò di dover introdurre in qualche modo la discussione senza peraltro riuscirvi. Del resto il ruolo di testimone lo esentava da questo esercizio e il suo cruccio derivava solo dalla voglia di far presto. La visita notturna ricevuta gli era bastata, e il morto vero davanti a lui lo terrorizzava molto meno di quel ricordo. Pensò che, in fondo, l'idea di costringere i detenuti a confessarsi davanti alla loro vittima sfruttando l'onda di paura che li avrebbe investiti in quel frangente era così giusta da aver funzionato di già proprio su di lui. Si chiese in quegli attimi se non fosse egli stesso complice di quel delitto per aver desiderato a lungo, con forza la successione al titolo di giudice supremo. La consapevolezza del valore eccelso del suo, ormai predecessore non era bastata a sopire la smania di successo e gratificazione che la carica ambita poteva dare. Averlo desiderato tanto poteva aver accelerato la fine di un uomo tanto stimato e allora, come non sentirsi in parte responsabile? Il primo a parlare fu il figlio...
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3x1
HorrorUn costretto lugubre spazio mal illuminato chiuso da quattro mura di tufo umido ospita uno strano consesso: tre uomini, tre probabili assassini condividono lo spazio e il destino. Il tempo per decidere chi dovrà vivere o morire sta per scadere. Un t...