Il 27 gennaio di ogni anno in tutto il mondo si celebra la Giornata della Memoria. Uno degli emblemi di questo struggente capitolo della storia dell'umanità è Liliana Segre, attualmente senatrice italiana, ma soprattutto una donna che ha vissuto sulla sua pelle le atrocità consumate oltre i cancelli di Auschwitz e che ha avuto la fortuna di sopravvivere.
Nel corso degli anni non è mai riuscita a perdonare le efferatezze dell'Olocausto, né tantomeno le ha dimenticate. Da testimone, non può che parlare della sua vita, ma ogni volta che riapre i cassetti della memoria e descrive accuratamente quegli anni, rievoca l'altra lei, la ragazzina scheletrita e sola dei campi di concentramento. La ragazzina che qualche volta, senza volere, compì atti che dopo anni diventarono rimorsi. I ricordi la tormentano e le provocano ancora dolori lancinanti all'anima. Liliana non riesce più a misurarsi con le tribolazioni, per questo ritiene giusto che sia giunta l'ora di ritirarsi da questi lunghi anni di testimonianza, grazie ai quali ogni volta ci ha portato con sé in un viaggio straziante attraverso il tempo, che ci ha sensibilizzati e ci ha regalato preziose lezioni di vita nate dal suo dolore.
Liliana Segre si presenta come una donna "viva per caso", pertanto non vuol trascorrere gli anni di vecchiaia che le restano a rivivere quei tempi, ma desidera godersi la famiglia che è riuscita a ricostruirsi e dedicarsi a se stessa. A distanza di decenni, infatti, non cerca più di reprimere quella povera creatura smarrita, ma vuol provare ad accoglierla in sé, proprio come se fosse "nonna di se stessa".
Il suo incubo ebbe inizio alla tenera età di 8 anni, nel 1938, quando fu improvvisamente sradicata dalla sua infanzia di innocente bambina di una famiglia borghese di Milano. Come lei stessa ha raccontato, la sua storia iniziò a Premeno, a tavola con suo padre e i nonni paterni, in un sereno giorno di fine estate, e finì ad Auschwitz, in un inferno perenne. Quel giorno le fu detto che non poteva più tornare a scuola perché era stata espulsa e nessuno immaginava che quella terribile affermazione avrebbe segnato l'inizio del loro percorso verso il calvario. Per essere espulsi bisognava aver fatto qualcosa di grave e lei non capiva cosa avesse fatto di male. Suo padre le disse che c'erano delle nuove leggi, che le cose erano cambiate. Quel giorno scoprì di essere ebrea e dunque di essere "diversa" dagli altri. Scoprì che era stata proprio quella diversità a provocare la sua espulsione da scuola. Ad ottobre non rivide più né la sua classe né la sua maestra. Sembrava fosse stata dimenticata velocemente. Molti suoi compagni nemmeno si accorsero che il suo banco fosse vuoto e, a suo avviso, una delle cose più crudeli delle leggi razziali fasciste fu proprio quella di far sentire invisibili i bambini ebrei.
Cinque anni dopo, l'11 settembre 1943, iniziò la sua fuga. Prima partì con un fornitore della ditta tessile di suo padre che si offrì di aiutarli. Quando i tedeschi cominciarono a fare controlli sui documenti, fuggì di nuovo e andò a Castellanza, in provincia di Varese, a casa di un caro amico di suo padre. Purtroppo, non era al sicuro nemmeno lì e suo padre decise che dovevano andarsene dall'Italia, ma era già tardi. Insieme al suo tanto amato papà e a due cugini oltrepassarono il confine e andarono in Svizzera. Pensavano di esser salvi, ma furono rispediti senza pietà in Italia, perché una guardia di frontiera non credette al fatto che gli ebrei in Italia venissero perseguitati. Furono arrestati sotto gli occhi sghignazzanti delle guardie che, consegnandoli, li condannarono a morte. Aveva 13 anni quando lei e suo padre furono rinchiusi nel carcere di Varese, poi di Como e infine di San Vittore a Milano.
Il 30 gennaio 1944, Liliana partì dal terribile binario 21 della Stazione Centrale di Milano, dal binario che, come afferma nelle sue testimonianze, non è quello da cui si parte, ma quello da cui non si fa più ritorno. Il viaggio durò una settimana e fu terribile. Nessuno capiva cosa stesse accadendo, nei vagoni regnavano il silenzio, la paura e la disperazione. Una volta scesi dal treno, si ritrovarono catapultati in una distesa di neve anonima e gelida. Le uniche persone che li circondavano erano i prigionieri, i soldati, le guardie e i cani al guinzaglio. Le sembrava di stare in un film in cui il corso degli avvenimenti stava accelerando improvvisamente e non c'era nemmeno il tempo di comprendere gli eventi, tanta era la rapidità e la frenesia con cui si susseguivano. Liliana non sapeva che da quel momento non avrebbe più rivisto suo padre e sarebbe rimasta orfana. Fu destinata a lavorare in una fabbrica di munizioni, dove donne e ragazze come lei producevano bossoli per mitragliatrice e svolgere quel tipo di lavoro era una fortuna, perché non era esposta al freddo, ma era al coperto.

STAI LEGGENDO
Liliana Segre: siate la farfalla che vola sopra ai fili spinati
Ficción histórica"Un articolo bellissimo che ho letto, emozionandomi, tutto d'un fiato." - Federica Belli Paci, figlia di Liliana Segre