Americano

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Mercoledì 22 settembre, equinozio d'autunno

Incredibile ma vero, per le otto e un quarto ero già fuori di casa. Mi aspettava una giornata piena di impegni e il fatto di riuscire ad arrivare puntuale al primo appuntamento in programma mi stava mettendo di buonumore. La mia meta in quel momento era una sola: il bar che non avevo frequentato per l'ultimo anno e che mi era mancato quasi più della cucina di mia madre.

A pochi metri dall'entrata del locale tirai fuori il mio cellulare per controllare le notifiche, ma appena lo presi in mano un brivido mi pervase tutto il corpo e una scossa venne rilasciata dalle mie dita al contatto con l'apparecchio elettronico. Strano.

Aprendola porta del bar controllai l'orario sullo schermo prima di salutare il proprietario: otto e trentuno.

Con un sorriso soddisfatto ordinai il mio solito americano, ma poco prima di ritirare la bevanda il mio sguardo cadde sulla vetrinetta e sul vassoio vuoto al suo interno: il cartellino recitava brownies e non potei che ripensare per un attimo al sorriso che fece la prima volta che gli lasciai l'ultimo brownie.

Uscito dal bar controllai l'orologio e notai che mancavano pochi minuti alle nove, avevo giusto il tempo per tornare a casa, prendere la macchina e andare all'aeroporto per l'appuntamento prefissato da quasi un mese ormai.

Devo dire che la possibilità di una situazione simile non mi era neanche passata per la mente qualche mese prima: io che andavo in aeroporto per ospitare a casa mia un ragazzo conosciuto durante un'estate che si sarebbe fermato per partecipare al mio stesso matrimonio.

Giunto a destinazione parcheggiai l'auto davanti all'uscita degli arrivi e, appoggiandomi al veicolo, mi misi a cercare con lo sguardo quel viso tanto familiare. Non si fece attendere molto. Dopo un paio di minuti un gruppo di ragazzi e ragazze uscì venendo verso il parcheggio e, dietro a tutti, vidi spuntare un ciuffo arancione e subito dopo un sorriso caldo circondato da due fossette. Devo ammettere che mi era proprio mancato.

Mi alzai e iniziai a sventolare le mani in alto, giusto per fare un po'di scena:–Chan! Stavo pensando di lasciarti qua e tornare a casa visto che non ti vedevo arrivare.

–Ah quindi mi avresti lasciato a piedi, eh?– ironizzò lui in risposta dandomi una pacca sulla spalla, –dai andiamo che ci aspetta un bel pezzettino in macchina.

Durante il tragitto parlammo di quello che avevamo fatto da quando ci eravamo visti l'ultima volta e, se prima pensavo che sarebbe stato in un certo senso imbarazzante, riuscii a sentirmi in pace con me stesso. Quello era il suo effetto su di me, e lo è tutt'ora: quando ho bisogno di rilassarmi dopo una lite o di semplicemente stare in silenzio dopo una giornata stressante vado da lui, che sa sempre come accogliermi.

Arrivati a destinazione fermai l'auto per poi dirigermi, seguito da Chan, dentro al negozio di abiti da sposo dove il nostro amico si stava sistemando il papillon davanti allo specchio.

–Chi l'avrebbe mai detto che Han Jisung si sarebbe sposato in così poco tempo?– dissi spuntando dietro di lui e appoggiandogli le mani sulle spalle. Subito parve quasi spaventato, ma poi il suo sguardo si riempì di allegria al mettere a fuoco i nostri volti altrettanto gioiosi.

–Beh di sposarmi ci speravo, ma di certo non pensavo che l'altra persona sarebbe stata proprio lui– accennò poi un sospiro sognante, mantenendo il suo sorriso radioso. Chan sembrò concordare con quella sua affermazione: –In effetti, come avete fatto tu e Minho a tornare insieme? Ero rimasto a tu che lo lasciavi bruscamente dopo un improbabile tradimento.

–In realtà è grazie a questo qua– Jisung allungò un braccio intorno alle mie spalle, per poi continuare: –verso la fine dell'estate io decisi di sbloccarmi da New York e andare verso la West Coast come lui. Così incontrai Minho in un paesino sperduto nel Kansas dove mi raccontò di un ragazzo incontrato qualche settimana prima. Lui gli aveva parlato di aver vissuto con un bellissimo e simpaticissimo giovane a New York che non aveva superato il suo ex. A lui ero tornato in mente io e mi era venuto a cercare. E beh, ora siamo qua.

Concluse con una calda risata mentre cambiava la giacca azzurra provandone una gessata. –Beh, di sicuro non ti ha detto la verità: io non ti ho mai descritto con quegli aggettivi.

E tra risate, qualche aneddoto fin troppo strano e una decina di cravatte diverse, uscimmo tutti e tre dal negozio per pranzare insieme.

Nel pomeriggio io e Chan riprendemmo la macchina per raggiungere invece l'altro sposo per aiutarlo a finire di organizzare la festa. Il motivo per cui se ne dovesse occupare da solo è per me ancora un mistero, ma tra i nostri amici si vociferava di una scommessa per strada ubriaco.

Arrivati davanti al suo appartamento bussammo alla porta e poco dopo Minho ci aprì la porta tenendo un'agenda in mano e una matita in bocca.

–Ma che bella sorpresa! Però attualmente sono molto indaffarato quindi ciao.

Il suo sorriso di gentilezza sparì verso la fine della frase e fece per chiudere la porta, ma prontamente misi un piede avanti e la bloccai: –Siamo qua per darti una mano, idiota.

–Allora che ci fate ancora lì? Sbrigatevi ad entrare che ho dei compiti adatti a voi.


Rincorrerti per l'ultima voltaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora