Epilogo

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«Chi sei tu?» chiese il Bruco.

«Io...ora come ora non saprei signore, al massimo potrei dirle chi ero quando mi sono alzata stamattina, ma da allora c'è stata una tale baraonda di cambiamenti...» rispose Alice.

Sentì la propria voce risuonare densa nel silenzio della sera. L'aria era così sottile che a Norah sembrò che le sue parole restassero lì sospese, come aspettando di essere raccolte da qualcuno dei presenti. Le pareva che tutti potessero sentire anche i tonfi sordi e ravvicinati del suo cuore.

Aveva negli occhi il blu del copricapo di cartapesta del Bruco. La luce le impediva di vedere il pubblico e soprattutto sua madre, presente in prima fila con Giovanna. Meglio: sotto lo sguardo di sua madre il suo stomaco diventava duro come un pugno chiuso. Sua madre: la Regina di Cuori.

Ora Norah era lì, in scena: indossava un vestito azzurro sfioccato in vita, con un colletto bianco che le scendeva sul petto. Davanti a lei Marco con un mantello blu, seduto su uno sgabello alto, appoggiato indolente su un gomito, aveva un copricapo di cartapesta, un grande bruco arrotolato su se stesso con in bocca il narghilè.

La luce rosata del tramonto illuminava lo specchio calmo del lago che faceva da cornice davanti al pubblico, seduto in un'area del parco della villa dove ogni anno si tenevano le rappresentazioni teatrali delle scuole della cittadina.

Intorno, da sfondo, il verde scuro del fogliame di tigli e lecci che punteggiava il prato, di un verde più chiaro, dava l'idea di un'infinità di macchie di diverse dimensioni che finissero per dissolversi nell'azzurro dell'acqua del lago.

«Che vuoi dire? Spiegati!» disse il Bruco, severo.

«Spiacente, ma non posso spiegar-mi perché io... vede... non sono più io!» rispose Alice.

«Sentiamo, come vorresti essere?» replicò il Bruco con la sua voce un po' biascicata.

Lei proprio non lo sapeva come avrebbe voluto essere e neppure chi era, pensò mentre sentì le sue parole fluide attraversare l'aria.

Quello stesso pomeriggio prima dello spettacolo, quando era arrivata, si era fermata a fissare il suo nome sulla locandina. Norah? Lei non la conosceva, davvero. Vagava, come Alice tra i centimetri. Anche lei era alla ricerca del passaggio per entrare nel giardino meraviglioso. Per raggiungere la sua casa.

Faceva caldo quel giorno di metà giugno, l'estate stava per esplodere. Era arrivata un po' in anticipo e non c'era ancora nessuno. Si era seduta sul prato e aveva aperto il copione per un'ultima occhiata, ma poi si era messa ad ascoltare due uccelli che dalle fronde sopra di lei erano immersi in un chiama e rispondi. Li sentiva ma non li vedeva, nascosti dai rami frondosi. Incredibile, si era detta. La sua casa sul platano nel giro di pochi mesi sembrava essere arrivata da lei.

Le era venuta in mente l'ultima prova fatta a scuola, la generale. Il cortile interno era illuminato da un sole ancora freddo anche se la primavera era già avanzata. Il grande platano era ricoperto da minuscole foglie verdi, che sembravano bollicine pronte a esplodere in tutte le direzioni. Era stata una delle prime giornate di sole in quel maggio piovoso e freddo che faceva dimenticare che era primavera, se non fosse stato per i profumi ma soprattutto per la luce.

Ora le sembrava che tutta quella luce che cresceva ogni giorno le fosse entrata dentro come l'acqua con cui si annaffia una pianta. Un brivido di piacere la attraversò.

Eccolo. Un po' arretrato a sinistra apparve sulla scena il tronco di cartapesta dove si sarebbe seduto il Gatto del Cheshire. Il Bruco era scomparso.

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