Sotto il gazebo

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Uno, due, uno, due, buttava avanti i piedi saltando le righe delle mattonelle del marciapiede.

Parco Madri di Plaza de Mayo, dieci minuti da casa sua.

Lucrezia sarebbe venuta in bici.

Una giovane mamma con una carrozzina entrò nel parco e si mise a sedere su una panchina. Col piede spingeva avanti e indietro le ruote e intanto parlava al cellulare.

Le venne in mente una telefonata di sua madre con Giovanna, qualche sera prima. Aveva riconosciuto lo stesso tono risentito.

«Già, facile a dirsi. E ora chi se la prende una separata di mezza età con una figlia adolescente? Uguale a lui per di più, stessa testa nelle nuvole, sempre nel suo mondo. Che semina le cose ovunque. Che si perde dietro alla sua amica, ricca per giunta. Che ora ha nella testa qualche ragazzo, di sicuro».

Non sapeva che Norah la stesse ascoltando.

Oppure, se lo sapeva, non faceva differenza.

Giovanna era un'amica di vecchia data di sua madre Angela.

Subito dopo che suo padre era sparito veniva spesso a trovarla.

«Me lo ricordo quando mi diceva lascia perdere, li butti tutti in una baby sitter i soldi che guadagni, goditi la bambina! Accidenti a me che gli ho dato retta!»

«Macché, troverai qualcosa, lascia che il mercato si riprenda un attimo. Sei una donna giovane, ti presenti bene... vedrai!».

Le sentiva da camera sua, dopo cena, quando la mandavano a letto.

Riconosceva bene quella sensazione di peso alla bocca dello stomaco, ormai ci aveva fatto l'abitudine.

Si mise a sedere sulla loro panchina, quella un po' diroccata sotto il gazebo, circondata dai platani rossi e oro.

Ecco Lucrezia in sella alla sua bicicletta.

«Ti devi mettere quel vestito corto nero con lo scavo nella schiena: fa un bell'effetto con l'onda rossa dei tuoi capelli, visto da dietro. Poi col rosso di quei capelli che ci vuoi mettere?» Non era ancora scesa dalla bicicletta che la investì con un fiume di parole.

Non si accorgerà neppure che esisto.

Abbassò gli occhi e si guardò: il seno neanche spuntava sotto la maglia a righe, con uno scollo a barca. Laura portava almeno la terza.

Sentì senza ascoltare il chiacchiericcio di Lucrezia che le stava dicendo di andare alla festa di sabato perché ci sarebbe stato anche lui di sicuro e avrebbe potuto approfittarne per farsi notare e magari lui le avrebbe chiesto di uscire dopodiché era fatta.

Appollaiata sulla panchina, il mento appoggiato sulle ginocchia appuntite, certo che vederlo sabato...

«E che cavolo dovrei fare? E se non mi guarda neanche?»

«Scusa, ma che hai da perdere?» Lucrezia, la praticità, l'opposto di Norah.

«Tutt'al più non ti cerca, che t'importa?»

Norah si accarezzò una gamba, la fissò senza rispondere.

Non era così brava con le parole. Le risposte giuste le venivano sempre in mente dopo.

Sopra le loro teste la tettoia cadente del gazebo; in terra un letto di foglie cadute dai platani del parco tutto intorno.

Ne cadde una con dolcezza.

Va bene, hai vinto. Se va male è colpa tua.

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