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Nuvole.
Quante nuvole ci sono nel cielo.
Un cielo rosa. Nuvole bianche.
Sono calmo. Mi sento in pace con me stesso.
Sono disteso. Sto facendo il morto sulla superficie dell’acqua.
Galleggio sull’acqua. Sono calmo.
“C’è un temporale fuori.”
Ogni tanto le onde sbattono sulla mia faccia. Ho la faccia bagnata. Acqua.
Se esco dall’acqua, non sarò più bagnato.
“Ah, un tuono. Era molto forte questo tuono.”
Nessun rumore.
In pace.
Sempre.
“Un altro tuono. Questo era più forte di quello di prima. Ho visto anche la luce del lampo.”
In pace.
Da piccolo avevo paura dei temporali. Non riuscivo a dormire per colpa dei tuoni. Avevo molta paura.
Non è più così. A quanto pare.
Stanno facendo effetto, allora.
In realtà ancora non sono completamente addormentato, ma posso sforzarmi. Devo solo smettere di pensare a quei rumori.
Sono in pace con me stesso. Sono in pace con me stesso.
-Cecil.
La faccia bagnata. Sento quasi freddo. L’acqua è fresca.
-Cecil, torna a riva. Ti stai allontanando. Io non posso entrare in acqua, torna qui.
Mi distraggo e riapro gli occhi. Non si sentono più rumori, solo la voce della persona che mi ha chiamato.
Alzo la schiena dalla superficie dell’acqua, mi guardo indietro. Eccolo, che mi aspetta a riva.
-Su Cecil, torna a riva- mi dice, senza scomporsi.
Dapprima sto fermo, guardo la riva. Guardo quell’essere.
Quella persona mi sta chiamando. è lontana da me, eppure sento la sua voce come se fosse a pochi centimetri da me. Nemmeno le onde fanno rumore.
Chi è? O meglio, cos’è?
Non mi importa. Non me n’è mai importato. Ho sempre chiamato quella “cosa”...
-Arrivo. Kai.
Mi alzo, metto i piedi sull’acqua e cammino.
Torno a riva. Kai mi sorride calorosamente.
-Visto qualcosa di bello lì?- mi domanda, sistemandomi i vestiti.
-Nulla- gli rispondo.
-Immaginato qualcosa?
-Nulla.
-Riposato?
-I tuoni.
-Hai paura?
-No.
-Hai paura?
-Mi hanno infastidito all’inizio, ma ora sono qui. Non ho paura.
-Capisco.
Un momento di silenzio. Mi siedo sulla sabbia, mentre Kai rimane in piedi.
-Questa spiaggia è molto bella- dice, mentre fissa il mare.
Annuisco.
-Sei mai stato in spiaggia? Anche se è una domanda retorica, altrimenti non saremmo qui. Questa spiaggia è molto specifica per essere una spiaggia immaginaria.
-Prima andavamo spesso, durante l’estate.
-Tu e la tua famiglia.
Annuisco nuovamente.
-Non ti piace quando c’è tanta gente in spiaggia.
-No. Soprattutto per i bambini. Sono fastidiosi e sanno solo piangere e urlare.
-Qui sarai solo.
-Grazie.
-Il temporale è finito.
-Bene.
Il cielo è sempre rosa. Le nuvole sempre bianche. Il mare è poco agitato.
-Domani devi lavorare?
-Domani è giovedì, vero?
-Sì.
-Il mio giorno libero, non devo lavorare.
-Uscirai?
-Dipende se devo farlo.
-E se non dovessi?
-Il solito, allora.
-Non fai niente di solito.
-Lo so.
-Non prendere le pillole.
-Non te lo posso assicurare.
-Non ti fanno bene.
-Perchè me lo dici tu? Non sei contento quando vengo?
-Non ti fanno bene.
-Non mi importa.
-Non ti fanno bene.
-Non mi voglio fare del bene.
Il cielo è sempre rosa. Le nuvole sempre bianche.
-Chissà se viene domani- sussurro a me stesso.
-April? Chissà- risponde Kai. Kai può sentire tutto.
Cielo.
Nuvole.
Silenzio.
Acqua.
Sabbia.
Bambini.
Famiglia.
Separazione.
Padre.
Chiesa.
Cielo nero.
No, cielo rosa. Il cielo era rosa, quindi deve essere rosa. Tutti i colori, non nero.
-Devi andare, Cecil.
-No.
-Non lo decido io, nemmeno tu. Il tuo cervello lo decide. Io sono solo un residente.
-No.
-Alla prossima, Cecil. Ti auguro una buona giornata.
-No.
-Al momento sono le undici di mattina. Tre.
-Non voglio.
-Due.
-Non voglio.
-Uno.
-Ma non ho mai avuto la possibilità di scegliere qui. Ci vediamo.

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Aprii gli occhi lentamente. Ero ancora mezzo addormentato.
Ero nella mia piccola stanza grigia, disordinata come sempre. Dei raggi di sole filtravano dalla finestra. Guardai la sveglia: erano le undici di mattina.
Strizzai gli occhi. Non avevo la forza di alzarmi. Alzarmi voleva dire affrontare una nuova giornata in quella realtà vuota a cui io non appartenevo più.
Alla fine mi alzai e mi diressi in cucina. Presi una barretta energetica dalla credenza. La mia colazione consisteva in quello e basta, talvolta accompagnato da qualche bevanda.
Era giovedì, il mio giorno libero. Non avevo lavoro arretrato, quindi potevo dedicarmi ad altro. Non che avessi molto altro da fare.
Aprii tutte le credenze e il frigo. A parte il sale, lo zucchero e qualche bottiglia d’acqua, erano vuoti.
Sospirai. Dovevo uscire per forza a fare la spesa. Purtroppo.
Presi carta e penna e iniziai a segnare tutta la roba che dovevo comprare. Dovevo comprare molta roba, dato che non volevo uscire per almeno due o tre settimane.
A che pro uscire, se nessuno mi voleva lì fuori? Mi hanno rifiutato tutti. Non appartengo più a questo mondo.
Alla lista della spesa avevo aggiunto anche altre cose. In quel momento non mi servivano, ma chissà, forse un giorno le avrei usate.
Mi preparai velocemente mettendo una felpa sui vestiti che già avevo addosso. Alzai il cappuccio e infilai tutti capelli al suo interno. Mi aggiustai alcuni ciuffi sulla fronte davanti allo specchio.
Mi prudevano i capelli. Da quanto non li lavavo? Da quanto non mi facevo una doccia? Non mi serviva, alla fine mi lavavo lo stesso, ma non avevo la forza necessaria per lavarmi i capelli.
Presi delle buste della spesa, le chiavi e il portafoglio. Ero pronto per uscire.
Feci un respiro profondo. Dovevo resistere. Non sarebbe durato molto.

On The Edge of An Ephemeral DreamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora