final chapter

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- 救恩.

entrò facendo più attenzione possibile alle fiamme che infuriavano vicino alle finestre e si diresse verso il ragazzo che, inerme, era sdraiato sul letto.
immobile
indifeso
statico
tranne per il petto che su e giù su e giù, lentamente, continuava a farlo respirare.

«yoongi! y-yoongi dio mio sono qui»

lo raggiunse, toccandogli il viso, le spalle, scuotendolo un poco, cercando di svegliarlo perchè non era pensabile che non lo facesse più.

notò avesse qualcosa tra le mani, ma non aveva il tempo di ragionare, solo per agire quindi ignorò la cosa e capì in fretta che non si sarebbe mosso.

lo prese quindi da sotto le braccia e cercò di tirarlo più velocemente possibile da lì, il panico che sentiva salire ad ogni secondo che passava lo distruggeva.

si bruciò pure con le fiamme che divampavano, prima di portarlo fuori, ma non gliene importò molto.
affatto.

tossì qualche volta e si richiuse la porta alle spalle con un tonfo e difficoltà.

se ne fregò dell'appartamento, del fuoco, di ogni cosa se non di quel ragazzo trasandato che tanto amava.

lo allontanò il più possibile dal luogo, dove sapeva presenti vie di fuga e se lo poggiò sulle gambe, spostandogli i capelli da viso, tremando così tanto da non saper dover guardare.

«yoongi»

bisbigliò piano, costernato, poi più forte e dopo fino quasi ad urlarlo.

non aveva segni di scottature indosso, solo...
era solo come svenuto.

come in coma.

che poteva fare?

un'ambulanza sarebbe stata troppo lenta ed avrebbe chiesto il motivo dell'incidente.

e lui lo sapeva fin troppo bene quel motivo.

lo avrebbero chiuso da qualche parte, lo avrebbero dato per depresso matto andato.

non voleva questo, non dopo che si era convinto a ricominciare, non proprio adesso.

lo abbracciò stretto a sé, inspirando il suo profumo che, cazzo, era sempre il solito.

con gli occhi lucidi e le mani che oscillavano, se lo strinse vicino come non mai, sentendo il suo battito cardiaco sul suo quasi come una preghiera.

«yoongi ti prego di aprire gli occhi, per favore»

si aggrappò ai suoi vestiti, alla sua schiena, i suoi capelli.
lo sfiorò come una porcellana ma lo strinse come un cuscino quando si è soli la sera.

non era possibile.

ce l'aveva fatta,
ce l'aveva quasi fatta.

«bastardo t-tu mi ascolti adesso»

gli parlò a tono alto, con le lacrime che correvano giù sulle guance.

quando ci erano scese?
non lo sapeva, non gli importava.

«apri gli occhi! mi hai detto di combattere migliaia di volte, mi hai detto che ne valeva la pena!»

la sua voce sapeva di tormento e strazio, di quel genere che nemmeno dubussy e chopin sapevano descrivere nelle loro composizioni.

«perché non mi ascolti, fai qualcosa!»

era così arrabbiato.
non con lui, nemmeno con il mondo, tantomeno con i suoi vecchi amici.

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