Sbatto ansiosamente i piedi sul pavimento mente ripenso a quello che è appena successo. Tate non può averlo fatto davvero, se è uno stupidissimo incubo desidero svegliarmi all'istante.
Sono nella mia cella e sto pensando ad un modo per trovare Tate e dirgliene quattro. Non può fare così, non può picchiare Daniel e pensare di passarla liscia. Gli chiederò cosa cavolo non va in lui. Perché è sicuro che c'è qualcosa in lui di assolutamente malato.
Soffoco un urlo di rabbia nel cuscino e chiudo gli occhi mentre cerco di calmarmi. Era per questo che Daniel mi evitava?
Per quanto egoista possa sembrare io ho bisogno di lui, ho bisogno di un amico con cui parlare, con cui continuare a vivere. Anche se questa non è vita.
Ma la cosa che peggio non riesco a sopportare è il fatto che Tate riesce a rendermi questa "vita" tale da essere vissuta.
Sbatto le palpebre e quando sento la presenza di qualcuno alle mie spalle mi giro.
Mi manca il fiato quando lo vedo e cerco di reprimere il desiderio di stringerlo, la rabbia supera quel desiderio e un secondo dopo sto camminando infuriata verso di lui.
-Perché lo hai fatto?- urlo colpendolo sull'addome, ripetutamente.
Lui non si sposta di un millimetro e non dice nulla per difendersi dalle mia accuse. Sembra divertito dalla mia reazione e questo non fa altro che aumentare la mia rabbia.
-Perché non ti fai male!- borbotto colpendolo più forte che potevo.
Tate ride e mi prende delicatamente i polsi posandoli dietro la sua schiena; adesso lo sto praticamente abbracciando.
Sibilo un urlo che viene smorzato dalla sua mano sulla mia bocca.
-Non urlare, nessuno deve sapere che sono qui- dice a bassa voce avvicinando pericolosamente le sue labbra.
Come ha fatto ad entrare nella mia cella? Annuisco debolmente e dopo qualche sguardo fiducioso da parte sua mi lascia andare.
-Come hai fatto ad entrare?- dico in un sussurro.
Tate mi mostra un mazzo di chiavi e sorride trionfante. Io annuisco ma stranamente non mi sento più tranquilla.
La rabbia che avevo qualche minuto fa sembra essersi dissolta del tutto e cerco di riaverla ripensando al volto di Daniel, ma non sembra tornare.
Mi siedo sul letto e lo guardo mentre si appoggia al muro di fronte a me. È come al solito bellissimo; indossa un pantalone nero e la stessa maglietta che indossano tutti in pazienti. I capelli biondi gli incorniciano il viso pallido e gli occhi neri sono scavati da due occhiaie violacee.
-Tate... Voglio sapere perché hai picchiato Daniel-
Lui non mi guarda, infatti il suo sguardo è rivolto al muro dietro di me. Dietro la sua maschera di indifferenza riesco a scorgere la paura, la rabbia ed altre emozioni che non mostra mai.
-Ho perso il controllo- dice e dalla sua voce non riesco a capire il suo stato d'animo.
-Non puoi nemmeno immaginare cosa stava pensando in quel momento, i pensieri che faceva pensando a te, al tuo corpo- la sua voce è netta, fissa un punto indefinito dietro di me e quando mi guarda vedo finalmente la rabbia che sente dentro.
Non capisco quello che sta dicendo e non so cosa rispondere.
-Mi dispiace- la sua voce è rotta, mi si spezza il cuore mentre vedo il suo volto cedere per qualche secondo.
Subito dopo, sul suo viso appare di nuovo quello sguardo di indifferenza che tanto odio.
-Tu... Tu riuscivi a sentire quello che pensava?- chiedo, insicura.
Lui mi guarda per un momento che sembra infinito, si avvicina a piccoli passi verso il letto ed ogni volta che è più vicino sento il mio corpo andare in fiamme. Ho completamente perso la ragione, qui di fronte a lui. Tutte quelle parole che avevo intenzione di dire adesso mi sembrano così insignificanti.
Appoggia le ginocchia sul letto ed è di fronte a me, fisso le sue labbra che in quel momento sembrano talmente allettanti.
-Io riesco a sentire i pensieri di chiunque in questo posto- sussurra -Ma non i tuoi-
Resto ferma, immobile al mio posto. Terribilmente pietrificata di fronte a Tate, che sembra sorprendermi ogni giorno che passa.
Avrei dovuto sentirmi impaurita dalle sue parole, in realtà mi sentivo sollevata che almeno ero riuscita a sapere un suo piccolo segreto. Uno dei tanti segreti che giravano intorno a Tate.
-Bhe, questo è rassicurante- sorrido e ascolto la risata di Tate insieme alla mia.
Il suono più bello che avessi mai sentito.
-Non per me- mi guarda profondamente. -Chi lo sa cosa ti passa in quella testa- ride e mi tocca la guancia.
Sento le sue dita gelate accarezzarmi il profilo degli zigomi e delle labbra. Sto letteralmente morendo sotto il suo tocco e ho dimenticato tutto quello che era importante sapere su di lui. Aveva picchiato Daniel e lo aveva allontanato da me.
Mi ritraggo dal suo tocco e Tate sembra esserci rimasto male.
-Questo non è un buon motivo per aver picchiato Daniel. Io ci tengo a lui, è molto importante per me.- balbetto stringendo gli occhi.
Tate serra la mascella e si alza dal letto, sento l'aria farsi gelata improvvisamente e il calore che il corpo di Tate emana sembra essere scomparso.
-Non puoi dire questo, davanti a me- dice e la sua voce sembra sul punto di scoppiare.
Mi ritraggo maggiormente e alzo il volto incontrando il suo.
-Voglio che tu la smetta di fare così! Come se tutto ti appartenesse! Come se io ti appartenessi.- grido scacciando i demoni che mi infestano.
-Sta zitta!- urla girando in torno.
Sembra maledettamente frustato e io mi sento cadere in buco nero in balia a tutte queste emozioni diverse.
-Tu mi appartieni, ma non nel modo in cui dovresti!- sta ancora urlando e la maschera di indifferenza è stata rimpiazzata da una in balia alla rabbia.
Mi alzo e sono di fronte a lui.
-No, Tate io non ti appartengo. Smettila di pensarlo- Continuo ad urlare e sento le lacrime formarsi agli angoli dei miei occhi.
Le mie urla vengono fermate dalle sue labbra sulle mie.
Tata mi bacia, avvicinando le sue labbra con desiderio travolgente. Accadde come accade che il sole sorge, che un fiore sboccia, che la pioggia scende dal cielo, che i vivi smettono di respirare. Naturalmente, inevitabilmente. Le sue labbra sono tenaci e sento il suo corpo avvampare di calore. I nostri nasi si toccano e Tate apre la bocca per assaporare ancora di più il nostro bacio. Gli sfioro i capelli, ripercorrendo il sentiero che le sue dita seguono quando è arrabbiato. Il bacio è maledettamente esitante, come se entrambi aspettassimo questo momento dalla prima volta che i nostri sguardi si erano incrociati. Sembrava che io aspettassi quel bacio come se fossi nata solo per questo. Succhia avidamente le mie labbra e il calore della sua lingua mi frastorna di piacere.
Finiamo entrambi sul letto, io sotto il suo corpo e lui sul mio che freme di piacere sotto la punta delle sue dita su di me.
Mi bacia come se gli appartenessi, come se fossi una parte di lui perduta da tanto tempo che alla fine riusciva a riavere.
Perché io gli appartengo.
È inutile quanto tempo passo a impormi il contrario, ormai Tate mi è entrato fin sotto le ossa.
Non so cosa nasconde e quanto terrificante è, io resto con lui perché fra tutti gli incubi che ho avuto lui è l'unica luce che mi sia mai capitata.
Le sue mani indugiano sui miei fianchi e i suoi denti mi mordono il collo, uccidendomi dentro.
Infine mi guarda e i suoi occhi sembrano così innocenti e in pace con se stessi.
Si appoggia al mio torace e mi accarezza come se fossi la cosa più preziosa del mondo. Le sue dita percorrono i punti che aveva baciato precedentemente e sento i brividi accarezzarmi la schiena.
-Non andartene da me- supplica e mi bacia ancora una volta.
Annuisco e afferro i suoi capelli fra le mie dita. Si stacca dall'unione delle nostre labbra e io mi lamento silenziosamente.
-Promettilo. Prometti che non mi lascerai- chiede e i suoi occhi sono colmi di intesa.
-Lo prometto- sussurro.
Io non lo lascio e non lo farò mai, il solo pensiero che lui possa farlo, però, mi distrugge dentro. Cerco le sue labbra e quando le trovo mi costringo a pensare che forse anche lui non lo farà.
Ci apparteniamo, nel modo in cui dovremmo.
STAI LEGGENDO
Storm.
FanfictionThe guy without a soul. "Ed in quel momento realizzo finalmente dove sono; mi hanno mandata in un manicomio, insieme ad altri pazzi come me. Perché non accettare la pazzia, significa già esserlo." In un ospedale psichiatrico del 1960, Arianne, accu...