Capitolo 4 - Rinascita

7 1 0
                                    

Una sensazione strana avvolse il corpo del ragazzo, sensazione profonda, quasi scomodamente penetrante nelle profondità dell'inconscio, dei fischi ripetitivi riecheggiavano da un orecchio all'altro, attraversando, continuamente, la sua mente. La vista era ancora nera, la concezione del mondo esterno era ancora ignota, ma sentiva che qualcuno gli stava vicino, una presenza calda e familiare. Le palpebre si stavano alzando, lentamente, d'altronde, non c'era fretta di tornare alla vita di prima, nonostante questa sia appena stata stravolta da un coma misterioso. Gli occhi erano completamente aperti, ma la vista doveva ancora abituarsi alla luce e al riflesso sulle mura bianco lucido, intanto, il ragazzo ebbe la sensazione del sangue che riprendeva a circolare dal torace lungo gli arti indolenziti e formicolanti. Il tatto si riattivava, iniziava a sentire la superficie su cui è disteso, morbida e asciutta. Il corpo era ancora percosso da leggeri spasmi e il conscio ripartì di colpo in quarta: "Aspe-!". Il ragazzo aveva alzato il torace e steso la mano, ancora dolente, in avanti quasi avesse cercato di afferrare qualcosa che gli stava sfuggendo. "...ttami" completò. La delusione e le vertigini lo fecero tornare disteso, buttandosi di peso sul lettino. Si portò la mano al viso, massaggiandosi gli occhi come appena svegliato da una lunga dormita, notò però una certa resistenza all'altezza del polso. Subito girò la mano e vide un tubo con un ago alla fine, il quale era conficcato nel suo palmo e tenuto saldo da quello che sembrava un pezzo di scotch. Jules fissò allora il soffitto. Piastrellato e bianco come quello di un bagno o di... UN OSPEDALE!? Che minchia ci faccio in un ospedale?! Si chiese nella sua testa, ancora ronzante dei mille moscerini dello stordimento. In cerca di risposte si voltò a sinistra e vide i confini della stanza in cui si trovava. Affianco a lui c'era un altro lettino, vuoto, l'attrezzatura attorno con tanto di elettrocardiogrammi ed elettrodi, poi la sua attenzione si spostò sulla porta, chiusa e metallica, di un colore grigio opaco e con una maniglia a spinta verde, la quale sembrava ai poveri occhi del ragazzo fluttuare. Guardò poi i bordi dell'uscio, notando delle strisce di plastica, dello stesso colore della porta, che si allungavano ad altezza di un metro, lungo i muri ai lati della porta e ad intervalli regolari coppie da quattro prese ai quali erano attaccati i macchinari. E così lo sguardo di Jules seguiva la plastica lungo il muro, dalla sinistra della stanza verso la destra, lentamente, in fondo è solo un pezzo di plastica. Allora arrivò al muro di fronte a lui, piastrellato come il soffitto con nessun mobile contro. La testa, e lo sguardo, si mosse ancora verso destra. C'era una finestra dalla quale entrava una luce non troppo forte, fuori il tempo era nuvoloso, si vedeva un palazzo di mattoni color grigio muffa, i piccioni che si posavano sui fili dell'alta tensione e la faccia di una ragazza che si mise tra i suoi occhi e la finestra, osservandolo da qualche centimetro di distanza dalla sua faccia. 

Il ragazzo indietreggiò di colpo con la schiena, diventando rossissimo in viso e fissandola con occhi spalancati, come se avesse appena visto un fantasma. Lui lanciò un leggero urletto in seguito allo spavento e lei raddrizzando la testa, tentò, con una mano davanti alla bocca, di sopprimere una risata. Jules allora con molta, ma molta, fatica parlò per primo: "D-d-da qua-quanto t-tempo sei là?". "Da esattamente..." la ragazza guardò l'orologio sul palmo. Questo aveva i laccetti di colore viola acceso e il quadrante del medesimo colore lateralmente. Poi completò: "...3 ore e 48 minuti".

Jules rimettendosi più o meno composto sul lettino, guardò meglio la ragazza. Essa sembrava poco più alta di un metro e cinquanta, pallida, con i fianchi magrissimi in contrasto con dei glutei abbastanza evidenti e il petto di terza taglia. Le iridi di un insolito viola acceso e i capelli del medesimo colore. Probabilmente se li è tinti pensava il ragazzo. Quest'ultimi erano raccolti lateralmente da due forcine con attaccate delle violette graziose. Indossava una felpa nera con la scritta "Demon on the street" in bianco, leggins lunghi dello stesso colore, con delle strisce bianche ai lati e delle sneackers che erano fuori dal suo campo visivo ma Saranno sicuramente nere anche quelle. In mano stringeva dei fiori di mimosa e due rose rosse. Appena il ragazzo vide il mazzo di fiori, lei si alzò avvicinandosi al comodino al lato del letto, prese il vaso di plastica bianco lucido e infilò delicatamente gli steli delle delicate pianticelle, stando attenta a non piegarli contro il bordo. Jules la continuava a fissare con sguardo perso, cercava strenuamente di ricordare chi era quella persona, se l'aveva già vista e soprattutto, perché era lì affianco a me in ospedale? Cioè, non è un mio parente o comunque non mi sembra di averla mai vista? Sarà una lontana cugina? Pensava confuso il ragazzo.

La ragazza lo guardò sorridendo, aggiustò un ultimo petalo di rosa e rispose al suo pensiero: "No, non sono una tua parente". Lui sconvolto le chiese allora: "E allora chi sei?!".

"Il mio nome e la mia esistenza non ti importano..." fece una breve pausa poi aggiunse con tono più basso, quasi sussurrando: "...per ora". Intanto la misteriosa ragazza si era sposta, camminando, fino alla porta anti-panico, in quel momento ne reggeva la maniglia. Il ragazzo continuava a non capire: "In che senso? Cioè mi sei stata accanto così tanto..." tempo.

Per Jules il tempo è stato schiacciato e allungato fino quasi all'estremo come una molla, il flusso degli eventi passati e la situazione presente si mescolavano in modo eterogeneo, dando al povero ragazzo una sensazione di completo abbandono allo scorrere degli eventi. Nella sua testa solo la confusione e lo sconforto, che come scienziati pazzi, mescolavano le soluzioni dei ricordi tra loro, senza badare alle misure e ai risultati. Prima era una piacevole un'escursione nella riserva naturale di Zenerd Ville con un amico e dopo era una tragica vicenda in cui lui perdeva conoscenza e finiva a terra con il braccio sanguinante sotto a un bracciale verde raccolto da terra un attimo prima. Il bracciale!? Esclamò nel suo interiore. Immediatamente il suo sguardo tornò al suo braccio destro... ed eccolo! L'arnese, matrice del suo dolore, color verde acqua che, in quel momento, aveva il quadrante triangolare che girava su sé stesso, velocissimo, tanto che ormai sembrava un unico disco color bianco, ma non emanava luce e il colore rimaneva opaco. Intanto la ragazza aveva aperto la porta ed era in procinto di uscire, quando notò che l'attenzione di Jules era tornata su di lei. Lui la fissava con gli occhi lucidi, pieni di emozioni, ma di una in particolare. Paura. Aveva lo sguardo terrorizzato, inconsapevole degli eventi accaduti e che stavano accadendo, inconsapevole delle sfide, delle trappole e dei pericoli del futuro e soprattutto inconsapevole di cosa sta pensando. Allora lei chiuse la porta, spostò i macchinari medici, su rotelle, che stavano alla sinistra del lettino del ragazzo, gli si avvicinò e dopo un secondo di esitazione, lo abbraccio di peso. 

Era una stretta calda e, stranamente, familiare, in quel momento l'istinto materno di lei e la completa desolazione del ragazzo, si univano in ramen di sensazioni, il calore d'affetto e di compassione compensava l'abbandono e la disperazione, come aceto e olio nell'agrodolce. Una fragranza che durò quanto bastava per placare ogni dubbio di Jules: "Sono a casa" si diceva tra sé e sé. "Non c'è bisogno di preoccuparsi". A quel punto il calore se ne andò, la ragazza si era alzata. Prima di aprire la porta e sparire come era apparsa gli disse con tono pacato: "Ci rivedremo quando avrai trovato il Nexus". E svanì dietro l'uscio. Dopo pochi secondi una folla di infermieri, capeggiata dai genitori del ragazzo, che tra l'emozione e la frenesia del momento gli si buttarono addosso abbracciandolo talmente stretto da quasi soffocarlo. La madre piangeva, inondando di lacrime la spalla e il collo del ragazzo e tra un singhiozzo e l'altro giurava di non lasciarlo mai più. Il padre anche lui visibilmente provato, accarezzava la schiena di lei dicendole di calmarsi e che era tutto apposto. Jules intanto non trovava spiegazione a tale gioia ed emozione, ma una cosa era certa pensava: "Sono a casa".


Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 12, 2022 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Jules e gli Orologi della ScienzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora