La figlia del Troll

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LA FIGLIA DEL TROLL

C'era una volta, tanto tempo fa, una vecchia e malmessa baracca nelle profondità di un bosco assai fitto. Lì abitava un grasso e spaventoso Troll bavoso. Questo essere era fra i più orridi della sua specie, con lunghe zanne e un muso sporgente; dalla pelle verde e maculata. Potrà sembrare incredibile, ma egli aveva una figlioletta che era metà troll e metà umana, e nonostante fosse sua figlia, il Troll non provava alcun affetto nei suoi confronti, e anzi, la trattava malissimo. La povera sventurata era costretta a dormire fuori casa in una cuccetta per cani, e proprio come un cucciolo, aveva un collare con una lunga catena che la teneva prigioniera. Poiché il Troll le dava poco o quasi niente da mangiare, ella era deperita e gracile, con le guance scavate e pallide. L'unico abito che possedeva era stato ricavato da un sacco di patate, pungeva e le prudeva. Il Troll non le aveva neppure dato un nome, così ella era per tutti Senzanome. La vita della povera bimba era difficile e triste. Non poteva andare a giocare con gli altri bambini, né poteva esplorare il bosco attorno a sé, perché il Troll la teneva perennemente segregata. Di tanto in tanto, il Troll si allontanava da casa per andare a caccia o a fare legna, e quelli erano gli unici momenti di pace in cui Senzanome poteva sorridere un po', e ascoltare il canto degli uccellini che venivano a trovarla per consolarla dalla sua miseria. Però, se qualcosa andava storto, se il Troll non riusciva a catturare qualche animale da cuocere, o se la pioggia infracidava il legno, lui tornava torvo in volto e picchiava Senzanome con un bastone, e giù, giù, di bastonate, che quasi ammazzavano la bimba.

In una notte fredda, in cui il vento emetteva il verso dei fantasmi che scivolano nell'aria, Senzanome cercava di ripararsi al meglio dentro la sua cuccetta, quando udì una voce chiamare: «C'è qualcuno?».

Tirò fuori la testolina per vedere chi fosse. Il Troll aveva appeso diverse lanterne sul recito intorno alla baracca, cosicché, dopo avere bevuto con i suoi amici, potesse facilmente ritrovare la strada di casa; allora, nonostante fosse buio, Senzanome vide un bambino avvicinarsi. Egli si era perduto nel bosco e la luce delle lanterne l'aveva attratto.

«Ciao», salutò il bambino. «Cosa fai in quella cuccetta?»

Senzanome era talmente imbarazzata che all'inizio non riuscì a spiccicare parola; poi, balbettando disse: «Vattene da qui, questa è la casa di un Troll, non puoi restare!».

«Ma ho freddo e sono stanco» pianse il bambino.

«Va bene, nasconditi nella mia cuccetta» rispose Senzanome.

Di ritorno a casa, il Troll guardò con aria minacciosa la figlioletta, chiedendosi se picchiarla o meno, perché alcune battute dei suoi amici non gli erano piaciute. Decise che era troppo stanco che era meglio andare a dormire, ma poi, un odore stuzzicò le sue narici.

«Il mio naso sente un odore,

sulla lingua è sapore

di mirtilli e di more» disse il Troll.

«È il vento che porta questo odore» parlò Senzanome.

«Zitta! Ti sbagli, è qui vicino...molto vicino...»

Con la forza di entrambe le braccia sollevò in alto la cuccetta e scoprì in questo modo il bambino. «Ah-ah!» esultò.

«No!» gridò Senzanome.

Il bimbo tentò di scappare ma il Troll fu più lesto, lo afferrò per il tallone e lo ingoiò tutto interò. Senzanome si coprì gli occhi e pianse forte.

«Tu, parassita, volevi ingannarmi!» urlò il Troll.

Prese il bastone e menò con ferocia la povera bambina.

Fiabe mai scritteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora