04. Bruises

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La mattina seguente riuscii a non vomitare l'anima per tutto lo schifo che avevo ingerito la sera prima. Dentro di me sapevo che, forse, era anche merito di Luke, ma ammettere che quel ragazzo mi avesse aiutata mi faceva venire l'orticaria.

A scuola non ero intenzionata, ancora più del solito, a spiccicare parola con qualcuno, a maggior ragione che Calum quella mattina non c'era. "Indigestione" aveva detto Ashton. Non mi stupiva, con tutte le schifezze che aveva mangiato la sera prima in camera nostra.

Chissà perché quel giorno, con il mal di testa che mi martellava e il sonno che mi incideva due occhiaie viola sotto agli occhi, Luke, entrando in classe si sedette vicino a me. Senza dire niente, prese posto e iniziò a smanettare con il suo telefono.

Io non avevo la minima voglia di parlare, ancora meno di litigare, ero uno straccio. Mi chiesi che cosa ci fosse realmente dietro quel ragazzo così strano, era amico di mio cugino in fondo, qualcosa avrebbero dovuto avere in comune. Ma come per Ashton non riuscivo a decifrare quello che gli passasse per la testa. Come quando giri i canali in televisione e ti ritrovi un film già iniziato i cui dialoghi non avevano un senso, perché ti eri perso tutta la parte precedente. Luke era il film già cominciato.

«Prego, per ieri sera» sospirò lui girandosi verso di me «L'aspetto non è dei migliori, ma almeno sei in piedi» concluse scrutandomi il volto

Avevo un aspetto orribile, questo lo sapevo, sentirmelo dire da uno stronzo come lui era tutt'altra faccenda. Ma ero talmente stanca, scocciata che «Bhe, grazie» biascicai posando poi la testa sul banco usando il mio stesso braccio come cuscino.

Non mi resi nemmeno conto di averlo ringraziato fino a che «Ma allora sai parlare anche senza insultare» proferì lui, alzando le sopracciglia e tirando fuori un mezzo sorriso

«Ne sei capace anche tu, a quanto vedo» con gli occhi ancora chiusi. Sentivo il suo sguardo addosso, è una sensazione strana, quando ti senti osservato. Sei come in bilico, non sai se girarti e osservare chi ti guarda o fare finta di niente.

Aprii gli occhi, per ritrovarmi i suoi azzurri, cristallini che mi guardavano «La rabbia è come il fiato, Shine. Se la trattieni troppo muori soffocato, se la butti troppo fuori rimani senza respiro»

Che cosa ne sapeva lui, della rabbia, di cosa provoca nelle persone. Quella rabbia che ti corrode dentro, che ti fa venire mal di stomaco, che ti fa chiudere la gola. Quella che ti fa irrigidire, che ti porta a diventare l'ombra di te stesso. E tu ci provi, a tenerla dentro, ma più la tieni più stai male. Però, quando la tiri fuori distruggi indistintamente tutto quello che hai intorno

«E tu cosa ne sai» abbassai la voce, il professore era entrato in classe e stava già iniziando a spiegare, incurante di fare l'appello

«Lo so. Ci somigliamo più di quanto credi» 

Io non credo proprio, gli avrei risposto. Un brivido mi percorse la schiena. Non gliela avrei data vinta.

La cosa che più mi lasciava senza fiato era la tranquillità con cui mi stava parlando in quel momento, una tranquillità che non faceva parte del Luke Hemmings con cui avevo avuto a che fare negli ultimi giorni. Cercavo di raccogliere le parole nel casino che era la mia testa dolorante, confusa da quei modi di fare così diversi e così distanti tra loro.

Sembrava soddisfatto dall'avermi lasciata senza parole e, quell'espressione sul suo viso, riportò indietro il Luke che era stato nei giorni passati

«Sembri psicopatico, cambi modi di fare, atteggiamenti ed espressioni nell'arco di qualche secondo. Cos'hai che non va» dissi alzando piano la testa dal banco

Fece spallucce e «Adattamento» rispose «In questo modo alcuni animali riesco a sopravvivere anche in habitat che non gli appartengono, si adattano e sopravvivono» concluse girando poi la testa e facendo finta di scrivere sui fogli davanti a lui quello che c'era scritto sulla lavagna

Whatever || Luke hemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora