𝐰𝐡𝐚𝐭 𝐢𝐟, e se?
levi ackerman x erwin smith
mini long story, alternative reality
• una notte tempestosa si rifletteva nelle iridi
di 𝐥𝐞𝐯𝐢 𝐚𝐜𝐤𝐞𝐫𝐦𝐚𝐧, ed 𝐞𝐫𝐰𝐢𝐧 𝐬𝐦𝐢𝐭𝐡 ne è rimasto
a tal punto incantato da volerlo afferrare pe...
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Crediti fanart: _ainejo_ su Instagram
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Anno 834 Liberio, Marley
Fuori il cielo era in burrasca, esattamente come tredici anni addietro. La tormenta perseguiva dal crepuscolo, e i battenti delle finestra non cessavano di vibrare. Quel rumore frastornato pareva accumularsi, man mano sempre di più, nella testa di Levi. Credeva che di lì a breve, se la pioggia non l'avesse fatto prima di lui, sarebbe balzato in piedi e avrebbe buttato giù la finestra a pugni finché le nocche delle mani non gli si fossero distrutte. Poi si sarebbe gettato di sotto. Si sarebbe lasciato andare, avrebbe percepito il telo dell'oscurità avvolgersi intorno al suo corpo temprato, ma che una volta schiantato al suolo - sempre se esso sarebbe giunto - avrebbe assunto il putrido aspetto di carne pallida. Le ossa sarebbero sporte al di sotto della cute macchiata di sangue, il suo cervello si sarebbe sparso per terra e l'acqua l'avrebbe spazzato via. Se Levi fosse morto, sarebbe stato come se non fosse mai esistito. Non aveva lasciato alcuna traccia nel mondo in cui viveva, nessuno si sarebbe ricordato dei suoi sguardi torvi o l'avrebbe rimpianto come lui aveva fatto con sua madre, Isabel e Furlan. Nessuno avrebbe pianto istericamente nel cuore della notte perché sentiva la mancanza del suo tocco, del suo calore umano e vivo, delle sue battute sarcastiche che non facevano altro se non offendere. Di ciò si era convinto. Il ragazzo che lo scrutava dal basso in alto - Levi era disteso prono sul proprio letto, e stava leggendo un saggio di storia - si accorse di come le sue pupille erano fisse sul medesimo punto da ormai vari minuti; notò una strana scintilla permeargli quelle iridi che gli ricordavano tanto il chiaro della luna piena. Erwin schiuse gli occhi, travolto da una tiepida onda di calore, e gli si avvicinò. Si sedette a terra, le spalle larghe posate sulla montatura del giaciglio, e posò la testa accanto alle mani del corvino. Fu solo allora che egli si scosse e gli rivolse uno sguardo lacerante, che gli andò dritto nei meandri dell'animo. «Che cosa c'è, Levi?» Domandò a voce bassa, roca. Levi sgranò gli occhi, guardandolo con disprezzo «Ugh, niente. Stammi lontano, maniaco.» Si rigirò nel letto e gli mostrò la schiena coperta da un maglioncino nero, il volto verso il muro niveo. In quel modo oscurava con il proprio corpo le pagine del libro, poiché la candela che illuminava la stanza si trovava sul comodino del letto opposto al suo, ma poco gli importava. «Ti va del tè?» Chiese ancora Erwin, non affatto offeso «Sai, dagli archivi di mio padre ho scoperto che oggi è il tuo compleanno. Perché non me l'hai mai detto?» Comprese da solo la risposta: perché non vi era nulla che valesse la pena festeggiare «Comunque sia, sono andato in un negozio di tè e ho comprato la tua varietà preferita. La Darjeeling.» Uno strano brivido percorse Levi dalla nuca fino allo stomaco. Erano delle foglie molto pregiate provenienti da oriente e costavano un occhio della testa. Aveva avuto modo di saggiarne l'aroma solo in occasione di un paio di met gala a cui l'aveva portato Erwin, come accompagnatore. Ormai anche lui indossava la fascia rossa ed era più facile venir accettato in giro, soprattutto se al fianco del compagno biondo. Non capì perché si fosse scomodato tanto solo per un'occasione tanto obliabile come il suo compleanno. «Voglio solo un po' di dannato silenzio.» Ribatté, quindi, in tono secco. Erwin sospirò: in situazioni normali, Levi non avrebbe mai rifiutato un'ottima tazza di tè. «Ti ricordi... quando hai detto che tra noi non ci sarebbero più stati segreti, Levi? Io credevo che fosse una promessa. Quindi perché adesso ti stai contraddicendo?» Le pupille del ragazzo si ridussero a fessure, e la linea dura degli occhi si arrotondò in una smorfia incredula. Roteò di nuovo verso Erwin, e quel suo sguardo, tanto espressivo, lo fece sorprendere non di poco. Poi, il tono con cui sputò le parole, fu un duro colpo alla coscienza del biondo. «Che farai, dopo aver ereditato il colossale? Ti rimarranno solo tredici anni di vita. Pensi di riuscire a cambiare il mondo in così poco tempo? Credi davvero che sarai in grado di distruggere i demoni dell'isola e liberare noi eldiani dalla maledizione che ci persegue?» I loro volti erano tanto vicini che sentivano, sulle labbra umide, i respiri dell'altro «Ascoltami: non ho alcuna intenzione di doverti fare da badante sul campo di battaglia ancor più di adesso. Rinuncia al colossale. Hai tanti parenti, chiunque altro potrà prendere il tuo posto, e tu e tuo padre non perderete in nessun caso il titolo di marleani onorari. Va bene?» Erwin fissava con veemenza la sua bocca che si muoveva. Il suono della sua voce gli arrivava come una melodia ovattata all'udito, e l'unica cosa a cui riusciva a pensare era la morbidezza dei ciuffi corvini di Levi. Fin da quando si erano conosciuti era sempre stato lui a tagliarglieli, a lavarglieli, ma non aveva mai osato allungare una mano, in momenti come quello, quand'erano da soli, e passarla tra le ciocche che gli coprivano la fronte. Immaginò il colore candido della pelle celata lì dietro, pensò che dovesse riflettere come marmo la luce pallida notturna. «No.» Rispose, solenne, distogliendo lo sguardo. Fissò le gambe del proprio letto, davanti a sé «Non posso e non voglio farlo. È fin da prima che io potessi parlare che pianificavano di farmi ereditare il gigante colossale. Sapendo questo, per tutta la mia vita fino ad ora ho fatto di tutto per avvicinarmi il più possibile a tale obiettivo. Hai ragione: forse non cambierò mai il mondo, nel tempo che mi rimane, ma almeno potrò essere la scintilla di cambiamento, la svolta decisiva, e poi starà a qualcun altro con i miei stessi ideali portarli avanti. Sono disposto a sacrificarmi per il bene di migliaia di altre persone, e di coloro che nasceranno senza sapere perché sono definiti demoni. Voglio che nessun altro debba passare quello che hai passato tu, o Isabel, o Furlan. Io che ho la fortuna di poter agire in concreto, ho il dovere di farlo.» «Ehy ehy ehy, aspetta, Erwin.» Levi si mise a sedere e guardò il compagno dall'alto in basso, alzò una mano per impedirgli fisicamente di intervenire «Se vuoi continuare a usare queste nobili scuse... giuro che ti chiudo in una cella segreta sotterranea e ti lascio lì a marcire. Così non potrai fare nulla, annegherai addirittura nel tuo stesso piscio...» Il biondo ridacchiò sommessamente «Quello sarebbe un bel problema...» coprì la battuta con un finto colpo di tosse. Gli zigomi si velarono di rosso. Levi pensò che fosse perché in quella piccola camera che condividevano, stava iniziando a fare caldo, per via di tutte quelle insolite chiacchiere. Abbassò la testa, scrutandosi i palmi aperti delle mani. Quante vite aveva tolto, con quelle stesse dita che ora gli tremavano. Serrò la mandibola e si sentì irradiato di una fiammata ardente. «Il tuo sogno... è davvero più importante della tua stessa vita?» Era il loro sogno. Il sogno che Erwin gli aveva trasmesso. Quest'ultimo rispose, con voce greve. «Sì.» «Più importante... della nostra promessa?» Trascorse un istante di silenzio. «Sì.» La voce di Levi si incrinò, divenne un bisbiglio «Più importante di me?» Erwin tentennò, ma non disse nulla. Posò i gomiti sulle ginocchia piegate e fissò il vuoto, gli occhi lucidi. Vi si rifletteva la fioca luce della candela. Ormai quasi tutta la cera s'era sciolta nel portacandele e a breve sarebbero rimasti celati nell'ombra. Il corvino, non ottenendo una risposta, si distese sul proprio letto, portandosi un braccio sulla fronte. «Ho capito.» Erwin sollevò un sopracciglio, sorpreso, e provò una profonda tristezza. Era il primo a violare quella promessa, ma davvero non riusciva... era come se le parole gli si fossero bloccate in gola, e ogni altro pensiero era soltanto marginale. Si addolorava giorno e notte, contava le settimane che gli rimanevano, con la consapevolezza che il tempo perduto non gli sarebbe mai stato restituito, che una volta giunto al limite, non avrebbe mai più avuto la possibilità di confessarglielo. "Non esiste cosa al mondo più importante di te." Socchiuse le labbra per dirlo. Uscì solo aria. Si rese conto che era un codardo, in fin dei conti. Il peggiore di tutti. Quando si alzò, soffiò sulla candela e anch'egli si accomodò nel proprio materasso. Adesso che era così lontano da Levi, tanto fisicamente quanto mentalmente, sentiva freddo. Temeva di averlo ferito. Sapeva che Levi non voleva trovarsi solo un'altra volta, sapeva di essere l'unica persona cara a rimanergli. Ma che altro poteva fare? Credeva fermamente a tutto ciò che aveva detto e non aveva intenzione di tornare sui propri passi, anche se ciò significava sacrificare ogni cosa di sé stesso per il bene futuro degli eldiani, e anche quello di Levi, che ci sarebbe stato per vederlo. S'immaginò la vita del corvino dopo la sua morte. Una bella donna, una famiglia, dei bambini adorabili. Il lontano ricordo di lui come enorme rimpianto nel cuore.