cap.3

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Quando ritornarono alla torre, entrambi indossarono nuovamente dei comodi vestiti e una volta rientrato in camera di Buck, con suo grande piacere, Steve lo ritrovò con quella felpa grigia, seduto sul comodo divano. "Abbiamo ancora qualche ora, godiamocele" gli aveva detto pochi minuti prima, lasciandogli intendere che di lì a poco sarebbe tornato da lui. Si piazzò sul divano al suo fianco «hai mai provato ad accendere la tv?» gli chiese, afferrando il telecomando dal piccolo tavolo in vetro posto d'avanti a lui. Bucky annuì «Ci ho provato ma non ci ho mai capito molto» affermò scuotendo il capo, rassegnato. Steve rise silenzioso alle sue parole, accendendola velocemente «Neanch'io ci so fare» confessò a quel punto, cercando di ricordare quelle poche cose che Sam e Nat gli avevano spiegato «Ma forse riusciremo a guardare un film» affermò poi, osservando le varie icone che si presentarono sulla schermata. «Dio... l'ultimo film che ho visto è stato...» Bucky sembrò pensarci su per qualche secondo, gli occhi semi chiusi, le labbra di poco separate mentre cercava di ricordare ciò che, apparentemente, sembrava essere un ricordo annebbiato nella sua mente «Nel 43» sussurrò poi «Come...qual era il titolo» sussurrò nuovamente, più a se stesso che a Steve. Quest'ultimo lo osservò durante tutto quel processo, sorridendo a quelle ultime ed insicure parole «"Arcipelago in fiamme"» gli consegnò quell'informazione su di un piatto d'argento «il regista era Howard Hawks» o almeno così ricordava Steve, ma credeva di essere nel giusto visto che, essendo appassionato d'arte ai tempi, non si sarebbe di certo fatto sfuggire un nome simile. Bucky lo osservò stupito «Ero con te» ci mise poco per realizzare «È stato l'ultimo film che abbiamo visto insieme?» chiese, non più molto convinto delle sue memorie. Steve annuì, rassicurandolo «Pochi giorni dopo saresti dovuto partire, quindi si, è stato l'ultimo» confermò ulteriormente, riuscendo finalmente ad aprire la maledetta lista dei film sulla TV. Non ricordava per filo e per segno quella serata, sarebbe stato impossibile, ma ricordava che il film fosse stato più che piacevole da guardare. Era stato interessante e poi insomma, il cinema era ancora una novità in quegli anni, probabilmente gli sarebbe andato bene tutto. Ricordava che Buck avesse dato buca ad una ragazza quella sera, solamente perché gli aveva chiesto di andarci insieme. "Posso andarci da solo Buck, oppure possiamo andarci domani, non c'è bisogno di annullare il tuo appuntamento" gli aveva detto, visto che non aveva ancora comprato i biglietti, ma il maggiore non gli aveva dato corda, affermando che una serata in più col suo migliore amico prima di partire non gli avrebbe fatto altro che bene. Steve sorrise a quel ricordo, chiedendo al castano cosa volesse guardare mentre scorreva fra le copertine dei vari film. Buck fece spallucce «Ciò che vuoi» iniziò «Non ne conosco nemmeno uno, dovrò recuperare» disse semplicemente, cercando di osservare tutte le copertine di ogni singolo film che però, scorrevano fin troppo velocemente. Cadde poi il silenzio in quell'ampio spazio, le luci soffuse, Steve poté avvertire il castano muoversi al suo fianco, all'estremità opposta di quel divano a tre posti, sistemandosi meglio su di esso «Grazie per oggi, Steve» lo sentì parlare improvvisamente «Avevo bisogno di uscire di qui» precisò, osservandolo con la coda dell'occhio, un mezzo sorriso sulle labbra, quasi come se proprio quest'ultimo fosse una ricompensa, mostrandogli così la sua gratitudine. Una ricompensa che Steve accettò a braccia aperte, non avrebbe potuto fare altrimenti, imprimendo inconsapevolmente nella sua mente il modo in cui quelle labbra si incresparono, immagazzinando quell'immagine così da poterla richiamare al momento opportuno, una matita fra le mani e un foglio davanti ai suoi occhi. «Non ringraziarmi Buck, farei di tutto per te» con un sorriso sulle labbra, quelle parole gli sfuggirono per sbaglio, ma non diede peso alla cosa, in fin dei conti era la verità, non c'era bisogno quindi di nasconderla. Tornò a concentrarsi sulla lista dei film, cercando di trovare qualcosa da guardare, qualcosa che attirasse la sua attenzione ma che andasse bene anche al suo migliore amico. Improvvisamente, notò qualcosa, un nome che gli era fin troppo familiare, un titolo che faceva parte della loro adolescenza. Cliccò sulla copertina di esso, aprendo così la scheda in cui veniva riportata la trama di proposito, osservando il castano con la coda dell'occhio. Un sorrisetto compiaciuto si aprì sulle sue labbra quando lo vide sgranare lievemente gli occhi chiari, la sua lungimiranza gli aveva permesso di vederci giusto ancora una volta. «Ci hanno fatto un film?» chiese stupito Bucky, osservando la copertina e leggendo per l'ennesima volta quella che sembrava essere la trama del suo romanzo preferito. Lo avevano letto nel 37, poco dopo la sua uscita, ed entrambi ne erano rimasti fulminati lo ammettevano e a Steve la cosa ai tempi piacque, visto che il suo migliore amico non era mai stato propriamente un lettore accanito. «A quanto pare» disse, osservandolo ed annuendo subito dopo, cliccando finalmente sul tasto "play" per avviarlo, intuendo che fosse quello giusto dato che aveva attirato l'attenzione di entrambi. Non parlarono poi molto durante il film, entrambi si concentrarono su di esso il più possibile, ritrovando in quelle poche ore la magia di quel romanzo d’altri tempi. Uno stregone, nani, elfi, un drago parlante che vegliava gelosamente sul suo tesoro, una terra da riconquistare e degli equilibri da ristabilire. Steve si chiese come avessero fatto a riportare magnificamente le atmosfere del romanzo su di uno schermo e dio, anche se non seguiva perfettamente gli avvenimenti di esso, quel film era incredibile lo ammetteva. Dall’espressione che potè notare sul viso del suo amico, intuì che la pensasse allo stesso modo, fin troppo concentrato su di esso, tanto che Steve si chiese se il castano stesse effettivamente respirando. Lo vide rannicchiarsi sul divano, tenendo le gambe il più possibile vicine al suo corpo, il mento poggiato sulle proprie ginocchia. Scoprirono in seguito che c’erano più film dedicati al celebre romanzo di Tolkien, che effettivamente lo scrittore non si fosse fermato lì e che avesse pubblicato altri tre romanzi. “Possiamo vederli tutti” gli aveva detto Steve, quando notò quella punta di entusiasmo mal celato sul volto del castano una volta aver scoperto la cosa e Bucky si era limitato ad annuire, stiracchiando lievemente le gambe toniche d’avanti a se. «Preparo qualcosa per cena» disse a quel punto, stiracchiandosi a sua volta, alzandosi dal divano subito dopo. «Steve» lo richiamò il castano, sporgendosi verso di lui ed afferrandogli il braccio con la mano in vibranio «hai già fatto troppo, lascia che ci pensi io» gli disse, alzandosi per fronteggiarlo. Steve gli sorrise, scuotendo il capo in segno di diniego «Non ci penso nemmeno» schioccò un paio di volte la lingua sotto al palato, enfatizzando così quel rifiuto. Bucky lo lasciò andare «tu rilassati, me ne occupo io» continuò poi il biondo, dirigendosi verso la cucina, lanciandogli un occhiata da sopra la spalla solo per assicurarsi che il castano non lo stesse seguendo, evitando così che insistesse su quel punto.
Si lasciò cadere nuovamente sul comodo divano, passandosi una mano nei capelli, arreso, sconfitto. Steve era cocciuto, dannatamente cocciuto, e lo era più o meno su tutto a dire il vero, partendo dalle cose più banali e stupide a quelle più pericolose e mortali. Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi con la sua mano in vibranio, solo per fargli capire che a volte era meglio lasciar perdere e mollare la presa piuttosto che rischiare tutto. L'aveva imparato a sue spese questo, soprattutto durante il 43, quando ancora lo chiamavano "sergente". Probabilmente era questo che voleva, che Steve si arrendesse con lui, che lasciasse perdere, che allentasse la presa semplicemente perché in fondo, senza rendersene conto, era conscio del fatto che non sarebbe riuscito ad allontanarsi da lui in quel momento. Sarebbe stato tutto più semplice se l'avesse fatto il biondo quindi, tranciando così un rapporto che probabilmente non avrebbe di certo giovato alla sua felicità. A quel punto si distese sul divano, sospirando pesantemente, coprendosi gli occhi col suo avambraccio e chiedendosi cosa avrebbe potuto fare in quel momento. Quando Steve lo chiamò per la cena però, apprese che in realtà non avrebbe potuto fare gran che, almeno non in quell’istante. Avrebbe dovuto godersi quelle giornate al suo fianco, come ai vecchi tempi, eppure quel terrore costante gli suggeriva di allontanarsi, che gli avrebbe fatto del male. Si alzò sbuffando dal divano, cercando di lasciare quei funesti pensieri su di esso, voleva sgombrare la sua mente, eppure non sapeva come avrebbe mai potuto raggiungere quell'obbiettivo quando due entità diverse risiedevano in essa. Qualche ora dopo, quando finalmente Steve si distese sul divano, dopo aver guardato con Bucky il secondo film della trilogia iniziata prima di cena, si ritrovò a sospirare. Il castano si era sicuramente sciolto in sua presenza eppure sapeva che avrebbe dovuto fare molto di più. Forse la mattina seguente avrebbe potuto chiedergli di allenarsi con lui in modo da tenerlo occupato per qualche ora e sarebbe stata un ottima occasione per conoscere meglio Sam. Ci pensò su per un po’, arrivando alla conclusione che probabilmente avrebbe dovuto farlo, in fondo un po di allenamento non faceva mai male a nessuno. Osservò la porta del bagno, lì dove bucky si era chiuso pochi minuti prima, non sapeva se il castano avrebbe effettivamente accettato di allenarsi con lui, il fatto che fosse terrorizzato all’idea di fare del male a qualcuno l’avrebbe sicuramente bloccato ma forse Steve sarebbe riuscito a convincerlo. Probabilmente era l’unico in grado di tenergli testa, capace di fermarlo, quindi non c’era alcun pericolo. Si sentì male quando realizzò quali pensieri stesse formulando, lo stomaco attanagliato da fitte dolorose, ma capì che quest’ultimi, probabilmente, avrebbe dovuto metterli in gioco per rassicurare il castano. Anche perché in fin dei conti era vero, poteva tener testa alla sua forza e ne avevano avuto la prova qualche anno prima, nonostante il suo arrendersi alla fine, lasciandosi cadere per la seconda volta in vita sua in delle acque gelide. Quel giorno sapeva che da qualche parte, in quegli occhi altrettanto gelidi, c’era il suo Bucky. “Ti salverò o morirò per farlo e se questo implica proprio morire per mano tua, allora mi sta bene, buck” aveva pensato prima di lasciar cadere il proprio scudo nelle acque torbide che scorrevano veloci sotto ai loro piedi, a forse qualche centinaia di metri di distanza. Era sicuro che fosse stato proprio bucky a trascinarlo fuori da quel fiume, eppure non aveva mai portato a galla l’accaduto, non era del tutto certo che il castano ricordasse la cosa. Aspettò che uscisse dal bagno solamente per controllare che si addormentasse, così come aveva fatto la notte precedete e quando finalmente lo vide uscire soffiando via i capelli dal proprio viso, si sistemò meglio sul divano. Gli augurò la buonanotte subito dopo averlo visto rannicchiarsi al di sotto della trapunta, proteggendosi così dal freddo, ricevendo una flebile risposta, quasi come se avesse paura di trafiggere l'atmosfera calma che aleggiava in quella stanza. Steve si ritrovò a sorridere involontariamente osservando il soffitto, la luce opaca della luna filtrava attraverso la larga finestra, illuminando così il letto sul quale riposava il suo amico. L'idea di ritornare a Brooklyn ora sembrava essere abbastanza allettante, la curiosità gli divorava le interiora eppure qualcosa scalpitava nella sua mente. C'era da ammettere che il castano fosse ancora mentalmente instabile, così come lo erano le sue emozioni, non sapeva se quel ritorno alla loro città natale avrebbe provocato qualcosa in lui e un po' lo preoccupava, rassicurato subito dopo dal fatto che almeno sarebbero stati insieme e che quindi avrebbe potuto fare qualcosa. Lanciò un ultimo sguardo al castano, sentendo il suo respiro appesantirsi minuto dopo minuto, fin quando non cadde addormentato, cullato proprio dal respiro profondo e calmo del suo migliore amico. Qualche ora dopo, quando la luna era ancora alta e i suoi muscoli si erano finalmente arresi a quel sonno ristoratore, venne svegliato da un forte rumore. I suoi sensi si risvegliarono immediatamente, sbarrando gli occhi e tirandosi a sedere sul divano. Il suo cuore iniziò una folle galoppata verso mete sconosciute, facendo così rimbombare quel continuo tamburellare nei suoi timpani, non permettendogli di riuscire a concentrarsi con facilità. Osservò la camera per qualche secondo, cercando di mettere a fuoco ogni angolo alla ricerca della causa di quel forte suono fra le ombre, ma quando finalmente si concentrò sul letto, ci mise poco a realizzare che esso fosse vuoto. La trapunta giaceva in gran parte sul pavimento lucido e freddo, così come il morbido cuscino, come se Bucky si fosse precipitato fuori da quel letto velocemente, senza nemmeno curarsi di non lasciar cadere al suolo le lenzuola pulite. Si alzò così dal divano, senza nemmeno permettere ai suoi muscoli di risvegliarsi da quel piacevole torpore, dirigendosi a piedi nudi verso il letto, alzando ciò che giaceva al suolo e riponendolo meglio che potè sul materasso. Si stropicciò gli occhi, bucky non era nemmeno nella spaziosa cucina, constatò, l'unico posto plausibile era il bagno o, nelle peggiori delle ipotesi, era uscito da quella sorta di appartamento. La cosa gli provocò una fitta allo stomaco, il castano probabilmente non conosceva l'intera torre, ogni piano e a quella consapevolezza, l'idea che stesse scappando nuovamente via da lui iniziò a danzargli nella mente, un fantasma capace di essere elegante e leggiadro tanto quanto letale. «Bucky» lo chiamò piano, iniziando ad avanzare lentamente verso il bagno, gli occhi ormai completamente abituati al buio. E se fosse davvero andato via? Impossibile, tentò di rassicurarsi, avrebbe almeno preso qualcosa da lì, qualche indumento, i suoi guanti in pelle, un cappello...Ad un occhiata superficiale, gli sembrava essere tutto perfettamente in ordine, tralasciando il suo letto. Ci aveva messo qualche anno per scovarlo la prima volta e in realtà l'aveva trovato praticamente per puro caso, quando dopo mesi e mesi di ricerche aiutato da Sam, si era arreso all'idea di averlo perso nuovamente e di non poterlo avere nella sua vita. Stava per chiamarlo di nuovo, quando improvvisamente, a pochi metri dal bagno, sentì un suono gutturale provenire proprio dall'altra parte della porta. «Dio...» sussurrò fra sé e sé, passandosi una mano sulla fronte, i nervi finalmente poterono calmarsi, l'ansia e la paura che torturavano le sue fasce muscolari si estinsero del tutto, lasciando spazio alla semplice preoccupazione. «Bucky» chiamò nuovamente il suo nome, il tono fermo, dirigendosi alla porta per poi aprirla con sicurezza, realizzando immediatamente cosa stesse succedendo. Con un paio di veloci falcate attraversò quei pochi metri quadri che costituivano il bagno, raggiungendo così il castano, quest'ultimo giaceva in ginocchio sul pavimento, le mani strette al bordo del wc, chino su di esso. Respirava affannosamente, probabilmente aveva appena dato di stomaco, i capelli coprivano il suo viso, impedendo a Steve di osservarlo. «Hey hey» sussurrò, poggiandogli una mano sulla spalla solo per fargli sapere che fosse lì, come per avvisarlo in caso non l'avesse sentito «va tutto bene Buck» lo rassicurò quando sembrò avere un altro conato, inginocchiandosi velocemente al suo fianco. Insinuò le mani nei suoi capelli, tirandoli via dal viso stanco ed arrossato del suo amico, rivelando così quegli occhi circondati dalle occhiaie, lucidi come li aveva visti la mattina precedente. Poggiò l'altra mano sulla sua schiena, come per invitarlo a liberarsi del tutto, ma fortunatamente sembrò essersi fermato, restando in quella posizione solo per riprendersi dalla cosa. «Ci sei?» sussurrò dopo qualche minuto, sorridendogli dolcemente, iniziando a carezzargli impercettibilmente il capo con la punta delle dita, lì dove tratteneva i suoi capelli in modo da non farli ricadere sul suo viso. Il castano chiuse le labbra, allentando la presa che aveva sul water per poi annuire debolmente. Quando sembrò che stesse per alzarsi, il biondo lasciò andare i suoi capelli, osservandolo mentre con lentezza, poggiava la schiena contro la parete opposta. Aveva il respiro pesante e quando portò le sue mani davanti agli occhi impauriti, terrorizzati quasi, esaminandole con cura, capì che la causa di tutto quello fossero i suoi incubi, o meglio, i suoi ricordi. «Guardami» disse allora, cercando di distrarlo dalle sue stesse mani che osservava con insistenza. Il tono era sicuro, non avrebbe ammesso obiezioni, eppure estremamente lezioso, così come lo erano state le sue carezze fatte per rassicurarlo «Il tuo nome è James Buchanan Barnes, nato a Brooklyn il 10 marzo del 1917» gli afferrò le mani, stringendole fra le sue «Sei il mio migliore amico e sei qui con me, al sicuro, lontano da chi può farti del male, lontano da chi può controllarti» o almeno così credeva Steve e in quell'istante giurò dinanzi a Dio che avrebbe spezzato la schiena a chiunque si fosse avvicinato a lui per arrecargli dolore, Hydra e non. Lo sguardo del castano balzò dalle loro mani al viso di Steve innumerevoli volte, carpendo le sue parole ed assimilandole lentamente. Quando finalmente sembrò convincersi del fatto che andasse tutto bene, il respiro ritornò più o meno calmo e le sue spalle si rilassarono contro le piastrelle, sospirando subito dopo, come per eliminare dal suo corpo ciò che restava di quella insormontabile paura che quasi ogni notte era costretto a provare e ad affrontare. Strinse per un ultima volta le sue mani, sentendo le dita del castano chiudersi debolmente in risposta, prima di lasciarle andare «Aspetta qui» si alzò velocemente dal pavimento, correndo praticamente al frigo per rimediare un po' d'acqua. Quando gli porse il bicchiere pieno, piegandosi sulle ginocchia, gli occhi del castano vagarono sul suo viso per qualche secondo, prima di accettarlo con mano tremante, tanto che Steve pensò per una frazione di secondo di aiutarlo a prenderne un sorso. Si sedette davanti a lui, la situazione in effetti era simile a quella della mattina precedente, mentre lo osservava sorseggiare l'acqua fredda in modo da riprendersi almeno un minimo. «Scusami» un flebile sussurro scivolò via dalle labbra di Buck non appena allontanò il bicchiere in vetro da esse, poggiandolo poi sul pavimento «Non volevo svegliarti» i suoi occhi rimasero bassi, coperti ancora una volta dai suoi capelli. Steve sospirò, sorridendo anche se lo sguardo del suo amico non era concentrato sul suo viso, scuotendo il capo in segno di diniego «Non devi preoccuparti di questo» lo rassicurò, poggiandogli una mano sulla gamba, inclinandosi lievemente verso di lui «piuttosto» cercò di catturare quelle iridi grigiastre fra le sue, riuscendoci quasi immediatamente «Come stai ora?» gli chiese, avvicinandosi maggiormente al suo corpo solamente per cercare di osservarlo meglio. Per quanto si era rotolato nel letto, magari lamentato nel sonno, prima di finire in quello stato? Si incolpò per non averlo sentito, cavolo, avrebbe potuto svegliarlo, fermare quegli incubi, essere lì a consolarlo non appena avrebbe aperto gli occhi e magari appunto, evitargli una situazione così spiacevole. Bucky finalmente alzò il capo, permettendogli di guardarlo, passandosi distrattamente una mano sul viso, scostando di poco i suoi capelli «Sto bene» sussurrò, annuendo impercettibilmente, quasi come se stesse cercando di convincere non solo Steve, ma anche se stesso. Lo osservò titubante, alzando un sopracciglio e stringendo inconsciamente la gamba del suo migliore amico fra le dita, notando come nonostante tutto le sue cosce restassero toniche e asciutte. «Non hai di certo bisogno di me per capire che non stai affatto bene» iniziò, ammiccando più che altro alla situazione generale in cui si trovava. Gli sembrò quasi di aver fatto un balzo indietro nel tempo almeno di ottant’anni, a quando erano due semplici ragazzi e Bucky si ostinava a non raccontargli dei suoi problemi solo per mostrarsi forte nonostante tutto «So che non vuoi parlarne, lo capisco, ma almeno permettimi di aiutarti» la sua stessa voce si abbassò notevolmente, come se avesse appena decantato una grande confessione e volesse tenerla nascosta a tutti, forse perfino all’universo, rendendola un qualcosa che appartenesse solo a loro due. Sospirò piano, notando la mano in vibranio del castano serrarsi in un pugno «Se c’è qualcosa che posso fare, davvero, non esitare a chiedere». In quel momento, il petto del castano si strinse, realizzando che Steve non fosse cambiato, o almeno non del tutto. Per innumerevoli aspetti, infatti, restava lo stesso ragazzo dalle mani affusolate e doloranti per via delle sue ossa fragili, ma che impiegava le ore a sua disposizione per disegnare nonostante fosse consapevole dei crampi che lo avrebbero colto a fine giornata. Bucky in quel momento si sentì completamente perso, un fantasma che vagava abusivamente fra due epoche totalmente differenti, finendo per non sentirsi parte di nessuna delle due. Non sapeva minimamente a cosa o a chi aggrapparsi in quell'istante ma fortunatamente Steve era ancora lì con lui. Poté quindi concentrarsi sulla sua figura, rendendosi conto che la cosa in realtà non bastasse. Aveva bisogno di un appiglio, di un punto fermo da stringere, qualcosa che lo aiutasse a capire che tutto quello fosse vero e non uno strano sogno. Abbassò lo sguardo sulla mano che il biondo si ostinava a mantenere sulla sua coscia, il palmo in vibranio poggiava sul pavimento freddo, donandogli ulteriore supporto. Titubante, avvicinò la sua mano a quella di Steve, sfiorandone il dorso con la punta delle dita, acquisendo poi sicurezza quando si rese conto che la cosa non gli arrecasse alcun fastidio. La strinse quindi nella sua per qualche secondo, beandosi del suo calore. Poteva forse sembrare ridicolo in quel momento, disperato, impaurito, ma poco gli importava, voleva solo far sparire quell'orrende sensazione che, come il peggiore dei parassiti, attanagliava le sue budella. Steve, d'altro canto, si ritrovò a sorridere nel vederlo compiere quell'azione, stringendo compulsivamente la sua coscia fra le dita affusolate. Il viso contratto di Buck si distese nel momento in cui strinse la sua mano, le palpebre si chiusero lentamente, per una frazione di secondo, come a focalizzare tutti i suoi sensi lì dove la loro epidermide entrava in contatto, ritrovando così una sorta di equilibrio. Steve lo lasciò fare, senza mettergli alcuna fretta o pressione: il suo migliore amico era stressato di già, non voleva peggiorare la situazione e a dirla tutta, voleva godersi anche quei momenti con lui. Per troppo tempo quel posto al suo fianco era rimasto vacante e non aveva permesso a nessuno di occuparlo, custodendolo gelosamente, isolandosi in un certo qual modo, dato che non aveva lasciato a nessuno la possibilità di avvicinarsi tanto quanto lo aveva fatto Bucky. Ora che si erano finalmente ritrovati, quindi, era intenzionato a far tesoro di qualsiasi momento avrebbero passato assieme, ogni risata o respiro condiviso, ogni lacrima. Poco gli importava se ne sarebbe diventato nuovamente dipendente, in fin dei conti lo era già stato in passato e forse anche durante tutto quel tempo, non era mai riuscito a disintossicarsi del tutto. «Meglio?» gli chiese cautamente, quando finalmente lo vide riaprire gli occhi, le sue iridi brillarono, sfiorate dalla luce artificiale e fredda che regnava sovrana in quel bagno. Bucky annuì piano, stringendo per l'ennesima volta la sua mano prima di lasciarla andare del tutto «È colpa degli incubi, vero?» chiese, anche se ne era già convinto, la cosa in fin dei conti era abbastanza palese. Bucky annuì, abbassando lievemente lo sguardo, sentendosi assurdamente colpevole in quel momento, colpevole per aver trascinato nuovamente il suo migliore amico in quella situazione, colpevole semplicemente per non essere in grado di controllare la sua mente. Finalmente il respiro del castano si era calmato, notò Steve, gli occhi lucidi restarono tali, arrossati come la punta del naso e le sue labbra «Alziamoci da qui, coraggio» gli sorrise, incoraggiandolo. Afferrò il bicchiere ormai vuoto dal pavimento, alzandosi velocemente dalle fredde piastrelle, tendendo una mano al castano. Essa venne afferrata quasi immediatamente e ancora una volta, Steve lo attirò a sé, alzandolo sui suoi piedi. Sì assicuro che riuscisse a reggersi sulle proprie gambe prima di lasciar andare la presa sulla sua mano, uscendo dalla piccola stanza e dirigendosi a passo veloce in cucina, lì dove lasciò il bicchiere che, solo pochi minuti prima, aveva quasi fatto cadere al suolo per la fretta. Notò il suo amico seduto sul letto e con un lieve sorriso sulle labbra, lo raggiunse, poggiandogli una mano sulla spalla quando si sedette al suo fianco sul morbido materasso «Ti capita spesso di finire in questo modo?» chiese a quel punto. Temeva di essersi spinto forse un po' oltre con quella domanda, forse Buck non gli avrebbe dato risposta, forse avrebbe cercato di deviare il discorso verso altri avvenimenti, altri dettagli. Incredibilmente, però, il suo amico annuì impercettibilmente, un sospiro tremolante fuoriuscì dalle sue labbra schiuse, prima di accompagnare quel cenno d'assenso con un lieve "si". Steve si trovò a sospirare dispiaciuto, mentre pian piano, comprendeva la realtà dei fatti, realizzando improvvisamente che di sicuro, quella fosse una delle ragioni per cui Bucky stesse dimagrendo nonostante il siero, nonostante il suo essere un super soldato, esattamente come lui. La sua mano scivolò lungo il suo corpo, circondandogli le spalle col suo braccio, in modo da avvicinarlo a sé, coinvolgendolo in quel piccolo gesto nel tentativo di confortarlo, di trasmettergli un po' della forza e della fiducia che riponeva in lui. Era convinto che sarebbe stato meglio, ma Buck in quel momento era completamente distrutto, fisicamente quanto emotivamente, poteva vederlo ogni singolo giorno dalle sue iridi sfinite, i gesti forse un po' lenti e meccanici, come se ancora non avesse riacquistato il completo controllo di se stesso. L'ex sergente tenne il capo basso, le iridi probabilmente fisse sulle sue stesse mani abbandonate senza alcuna cura sulle cosce, i capelli fin troppo lunghi gli coprivano il viso, assumendo sfumature molto più chiare al di sotto della luce della luna color madreperla. Strinse i denti, sospirando rumorosamente prima di avvicinare il proprio viso al collo del suo amico, poggiandoci la fronte. I muscoli di Bucky si contrassero spontaneamente, poté vedere le dita in vibranio stringere lievemente la sua coscia, genuinamente sorpreso da quell'azione. «Ci sono volte in cui riesci a dormire senza problemi?» chiese Steve a quel punto, preoccupato dalla situazione, sperando in una risposta quantomeno positiva. Bucky ci pensò su per un po’, rilassando finalmente i propri muscoli. Era abituato a non dormire, il suo corpo lo era, la sua mente. Aveva dei vaghi ricordi, stralci di memorie di quando ancora portava quella maschera a coprirgli parte del volto, la stessa che gli procurava un fastidioso dolore sul ponte nasale. Ricordava di giornate intere passate a controllare quello che era il suo bersaglio, notti senza sonno trascorse nell’ombra, aspettando il momento opportuno per premere il grilletto. Per questo il suo corpo era abituato ad andare avanti senza alcun riposo e a dire il vero, lo aveva fatto spesso da quando era arrivato nella torre degli Avengers. Era bravo a resistere, a tenersi sveglio in qualche modo pur di non sopperire alla stanchezza, nel disperato tentativo di fuggire da quei cruenti ricordi che si presentavano sotto forma d’incubi, più vividi che mai. Aggrottò lievemente le sopracciglia, rabbrividendo quando il fiato di Steve si insinuò indisturbato al di sotto della felpa che indossava, scontrandosi con la sua pelle. Forse ci era riuscito qualche volta a dormire come si deve, senza alcun incubo, o forse era semplicemente troppo stanco per ricordare, in fondo non sempre si riesce a farlo, constatò. «Forse…» cominciò il castano, unendo le mani e torturandole l’un l’altra «Forse si, quando…quando sono davvero stanco» sussurrò, dubitando delle sue stesse parole «non lo so» terminò, scuotendo di poco il capo in segno di diniego. Steve chiuse gli occhi, strofinando cautamente la fronte sulla sua pelle come per aiutarsi a riflettere, rilassandosi nell'atmosfera calma che aveva ormai riempito la stanza. Buck rimase in silenzio, chiedendosi da quanto tempo il biondo fosse così...affettuoso. Forse non era il termine adatto quello, Steve in fin dei conti lo era sempre stato, anche se a modo suo ovviamente, eppure da ragazzi era sempre stato lui ad avvolgergli le spalle in quel modo, a cercare un minimo di contatto. «Allora dobbiamo provare a stancarti» Steve parlò improvvisamente, assonnato «Se ancora non sei pronto ad affrontare la cosa, possiamo almeno cercare dei modi per diminuire gli incubi, qualcosa che ti aiuti» alzò il capo dal collo di Buck, cercando il suo volto nell'ombra «volevo già chiederti di allenarti con me e Sam, quindi...che ne dici?» gli chiese, stringendogli la spalla in vibranio con la sua mano. Il castano lo osservò di sottecchi, con la coda dell'occhio, attraverso i capelli sottili che gli permettevano comunque di scorgere le linee affilate del suo viso, illuminato di sbieco da quella leggera luce «Non credo che sia una buona idea» disse semplicemente. Nonostante il suo volersi allontanare, Steve era il suo maledetto punto debole, lo era sempre stato a dirla tutta e non poteva fare nulla a riguardo. Non voleva deluderlo, non avrebbe mai voluto scorgere tristezza o dispiacere nelle sue iridi, lo aveva capito quando erano solamente dei bambini, quando ancora l'animo è puro e lontano da qualsiasi male esterno. Purtroppo aveva paura, era questa la realtà dei fatti, tutto lo spaventava, torturato dalla tachicardia in quelle notti prive di sonno, quando le paranoie riuscivano a spellarlo vivo, consumando i muscoli e la cartilagine, finendo per rosicchiare le sue ossa. «Potrei farvi del male, Steve» sussurrò poi, osservando quel pezzo di vibranio lavorato che ormai da anni costituiva il suo braccio «Non posso fidarmi di me stesso» sospirò sconfitto. Un angolo delle sottili labbra del biondo finì per arricciarsi inconsciamente, dato che aveva praticamente già immaginato quella conversazione solo poche ore precedenti e mentre un macigno prendeva posto sul suo diaframma, aprì bocca «Fidati di me, allora» sussurrò, spingendo finalmente il castano ad alzare il capo. Incatenò le proprie iridi nelle sue e si sorprese un po' nel trovare quell'espressione interrogativa sul suo volto «Te l'ho promesso, ricordi? Al central Park» disse semplicemente, mostrando il mignolo al castano in modo da rimandare a quel gesto probabilmente stupido ed immaturo per molte persone «Ti allenerai con me Buck, riesco a tenerti a bada e lo sai» a quelle parole, il suo amico sviò le proprie iridi, insicuro ed indeciso sul da farsi. Steve dovette nuovamente andare alla ricerca della sua attenzione, avvicinandolo a se «potremmo iniziare con un po' di corsa e se proprio non riesci, puoi sempre utilizzare i sacchi da boxe» lo informò, ridendo piano quando notò il suo sguardo interdetto nell'udire quelle ultime parole, come se non fosse capace di collegare il nome all'immagine dell'oggetto. «Puoi comunque stare tranquillo, ti sarò vicino in ogni caso» gli disse, scuotendolo lievemente come per incoraggiarlo. Sospirò «Puoi unirti a noi quando vuoi, senza fretta» disse poi, cercando di alleviare almeno un minimo quella pressione che era sicuro stesse torturando il suo amico. Bucky annuì piano, abbassando il capo e sospirando a sua volta, cercando di capire quale fosse la cosa giusta da fare. «Cerca di riposare ora» gli sussurrò Steve, alzando scherzosamente il cappuccio della sua felpa sul capo del castano, prima di rimettersi in piedi. Osservandolo in quelle condizioni, portò una mano dietro la sua nuca, cercando di reprimere l’insana voglia di buttarsi su di lui e di stringerlo a se fin quando non si fosse addormentato, tenendolo fermo e tranquillo in caso di terrori notturni. Il castano alzò il capo, in modo da incontrare il suo viso, alzando un sopracciglio con aria infastidita, un silenzioso ma sonoro "coglione" scritto in ogni millimetro del suo viso stanco. Steve si lasciò sfuggire una risata, insinuando una mano nei suoi capelli quando Buck abbassò finalmente il cappuccio dal suo capo, spostandoli delicatamente via dal suo viso, augurandogli la buonanotte. Quando entrambi si furono sistemati nuovamente al di sotto delle trapunte, il silenzio piombò di nuovo in quella specie di loft. Il castano non avrebbe voluto dormire, l'angoscia era troppa ma non aveva nemmeno voglia di restare sveglio, finendo per sentire la sua stessa pelle fin troppo stretta. Avrebbe potuto dirlo a Steve, sapeva che il biondo gli avrebbe tenuto compagnia ma quell'opzione per lui era totalmente fuori questione: gli stava già procurando abbastanza problemi, non si sarebbe azzardato a chiedergli una cosa simile. Si rotolò nel letto per una paio di minuti, passandosi una mano nei capelli a sua volta, inseguendo inconsciamente il fantasma delle dita longilinee di Steve che danzavano fra di essi, decidendo improvvisamente che forse non c'era ancora bisogno di tagliarli. Quando il sole fu alto fra le nuvole, Steve si svegliò nuovamente, sentendo vibrare il suo cellulare li nei paraggi. Si stiracchiò velocemente, alzandosi dal divano e trascinando la pesante trapunta con sé, sulle sue spalle, avvolta sul suo corpo. Ritrovò il suo cellulare sul tavolo, controllando poi l'ora, scorgendo sul display un nome: Sharon. Non erano nemmeno le otto del mattino, non aveva la forza e probabilmente nemmeno la voglia di fronteggiare la realtà dei fatti a quell'ora, quando ancora bramava un po' di riposo in più. Bloccò nuovamente il display del suo cellulare, sospirando silenziosamente. Erano passati giorni dall'ultima volta in cui aveva parlato con la ragazza: dopo una scusa ed un veloce saluto, l'aveva lasciata sull'uscio di casa sua con neanche l'ombra di un sorriso, ritornando poi velocemente alla torre in sella alla sua harley. Si voltò a controllare che bucky dormisse, trovandolo con il viso schiacciato sul morbido cuscino, le labbra lievemente schiuse e rossastre, la barba ora risultava essere un po' più che un leggero alone sulla sua pelle e un po' lo straniva, abituato com'era al suo viso perennemente pulito e privo di peluria. Si massaggiò le tempie, non avendo la minima idea di cosa dire alla bionda in quel momento. Quelle ultime settimane erano state un incubo, i diverbi fra lui ed alcuni del gruppo, numerose missioni, accordi con lo stato e la persona che a volte ancora definiva "sergente". In realtà era stato lui ciò che più lo aveva distrutto, quel muro che il castano aveva innalzato fra loro dopo aver sistemato le cose con gli altri ed impedito a Zemo di risvegliare il soldato d'inverno, lo aveva stupito e non poco. Certo, sapeva che non sarebbe stato immediatamente "rose e fiori" ma, non si aspettava che il castano lo avrebbe tenuto a distanza. Non aveva avuto tempo quindi di...pensare a ciò che era accaduto fra loro due, quel bacio che a dire il vero neanche ricordava così bene dato tutto ciò che era successo praticamente nell'arco di pochissime ore. In quell'istante però si ritrovò a sorridere, un sorriso amaro. Era nella stanza del suo migliore amico, quest'ultimo stava dormendo beatamente anche in sua presenza e ciò dimostrava che in effetti si fidasse di lui, che fosse a suo agio avendolo nei paraggi nonostante fosse stato proprio lui ad imporre quella lontananza nelle settimane precedenti. Sorrise quindi all'ironia della vita: quando un problema, almeno in parte, sembrava essere risolto, ecco che ne sbucava subito un altro, appesantendogli la mente più di quanto già non lo fosse. Decise quindi di non pensarci in quel momento, abbandonando il suo cellulare sul tavolo e dirigendosi verso il letto del castano. Di sfuggita, notò la scrivania ormai vuota e si chiese dove Buck avesse riposto quella specie di diario, in quale cassetto, improvvisamente incuriosito dal contenuto di esso. Lo aveva già sfogliato una volta ed aveva fatto più che male, eppure avrebbe voluto leggere i suoi primi ricordi, scoprire cosa e chi avesse preso posto fra quelle piccole pagine, quali particolari avvenimenti fosse riuscito a rimettere assieme nonostante i pochi stralci a sua disposizione. Chiuse le tapparelle il più silenziosamente possibile, evitando cosi che la luce potesse dare fastidio al suo amico ancora assopito, anche se essendo in pieno autunno, la maggior parte delle volte il sole era coperto da un fitto strato di nuvole grigiastre. Rabbrividì lievemente quando tolse dalle sue spalle la trapunta che fino a quel momento si era ostinato a portare, coprendo il castano anche con essa come aveva fatto la mattina precedente, realizzando che probabilmente quel gesto sarebbe diventato velocemente un abitudine. Si soffermò per qualche secondo sul viso del suo amico, stringendosi nelle spalle e sorridendo piano quando lo vide strofinare inconsciamente il naso sul cuscino bianco. Allungò una mano verso di lui, non resistendo all'impeto di voler sfiorare quel viso tanto conosciuto, ma che allo stesso tempo risultava essere così diverso da come lo ricordava. Spostò via i capelli lunghi ed arruffati, lasciando totalmente scoperto il suo volto e quelle labbra imbronciate dal sonno non fecero altro che allargare il suo sorriso, facendogli dimenticare per una manciata di secondi i messaggi che aveva ricevuto poco prima. Sfiorò il suo collo con i polpastrelli, sentendo la sua pelle calda contro la propria, lasciandosi sfuggire una risata quando lo vide rabbrividire a causa di quell'inaspettato tocco. Lo osservò corrugare lievemente la fronte, infastidito, aprendo poi lentamente gli occhi, risvegliandosi da quel sonno profondo e cercando per qualche secondo la sua figura. «Steve?» le sue labbra si mossero praticamente per inerzia, cosi come le sue palpebre, la voce ridotta quasi ad un sussurro, la bocca chiaramente secca ed impastata dal sonno «che ore sono?» chiese quando sembrò riuscire ad inquadrare la situazione, umettandosi le labbra. Steve sospirò, dispiaciuto per averlo svegliato «le otto del mattino» sussurrò, trattenendo uno sbadiglio. Vide le gambe del castano stiracchiarsi al di sotto delle trapunte, alzando lievemente il viso dal suo cuscino «Buck» sussurrò il suo nome, piegandosi sulle ginocchia e applicando una leggera pressione con la mano che ancora riposava sul suo collo, sfiorando la mandibola e la guancia con la punta delle dita «stanotte sei stato male, riposa ancora un po', che ne dici?» gli sorrise apprensivo. Il castano in realtà non sembrò capirci molto, si limitò infatti ad osservarlo per qualche secondo, gli occhi praticamente quasi chiusi e privo delle facoltà d'intendere e di volere. Cedette semplicemente a quella minima pressione, come se fosse troppo per lui da contrastare, poggiando nuovamente il capo sul cuscino e chiudendo gli occhi, sistemandosi al di sotto delle trapunte. Steve lasciò un ultima carezza sulla sua pelle, prima di rimettersi in piedi, osservandolo stringere fra le dita l'orlo della manica della sua felpa grigia, stringendosi in essa. Sbadigliando nuovamente, afferrò il suo cellulare e ritornò in camera sua, dove avrebbe potuto darsi una rinfrescata ed infilarsi in una delle solite tute che indossava per allenarsi. Quando entrò in camera, inviò un messaggio a Sam, chiedendogli se per lui fosse un problema se Buck si unisse a loro in caso decidesse di allenarsi. Ovviamente i suoi occhi non poterono fare a meno di ricadere sui messaggi che gli aveva inviato Sharon poco prima e quasi non si lasciò sfuggire un verso annoiato, un rantolo di dolore a dire il vero, quando si rese conto che gli aveva chiesto di vedersi. Aveva tutte le ragioni per volerlo, probabilmente avrebbe voluto chiedergli cosa diamine stesse succedendo e perché fosse praticamente sparito per giorni interi, eppure non voleva ancora vederla. Non sapeva nemmeno cosa avrebbe potuto dirle in realtà, era successo tutto troppo velocemente, così tanto che Steve si era ritrovato a realizzare che quella situazione fosse troppo per lui. Fin da subito aveva provato attrazione per la ragazza e quando finalmente avevano iniziato a vedersi gli era sembrato andasse tutto bene. Eppure l'interesse era andato a scemare, troppi pensieri per la testa, troppi impegni e preoccupazioni, così tanti che alla fine aveva finito per esserne sopraffatto. In oltre, i giorni antecedenti a quella notte in cui Buck era praticamente crollato fra le sue braccia, il comportamento del suo amico l'aveva decisamente spinto al limite, non avendo la minima idea di cosa fare esattamente, privandolo del sonno. Il fatto che la ragazza fosse strettamente legata a Peggy poi, non faceva altro che influire sulla cosa. Era strano, gli dava una sottospecie di nostalgia, qualcosa di amaro che persisteva sulla punta della lingua ogni qual volta pronunciasse il suo nome. Peggy ormai non era altro che un ricordo, un bellissimo ricordo a dire il vero, una storia mai scritta, un fiore che purtroppo non aveva avuto la possibilità di sbocciare. Spesso l'idea che si vedesse con Sharon solamente per aggrapparsi a quell'ultimo frammento che ancora gli restava di Peggy gli aveva sfiorato la mente, ma ora ne era praticamente quasi certo. Aveva fatto la stessa ed identica cosa anche quando credeva di non avere più il suo migliore amico, aggrappandosi a quell’unica foto che gli restava, la stessa che ancora custodiva con gelosia in camera sua. Ovviamente erano situazioni diverse, eppure la sensazione era esattamente la stessa: il nodo in gola, lo stomaco sottosopra, un peso sulle spalle che gli rendeva difficile anche respirare. Sospirò pesantemente, iniziando finalmente a prepararsi. Non ci mise poi molto e quando raccattò il cellulare dal tavolo per dirigersi nuovamente in camera del castano, notò un messaggio da parte di Sam. Un semplice "nessun problema, cap" eppure non poté fare a meno di sorridere come un idiota. Wilson sembrava essere l'unico, tralasciando Nat ovviamente, che accettasse Bucky. Era stato l'unico che in quegli anni lo aveva cercato al suo fianco, senza mai dubitare di lui nemmeno una volta, tirandolo su di morale quando l'ennesima traccia si rivelava essere solamente un buco nell'acqua. Era cauto in sua presenza, lo aveva notato, eppure non gli aveva mai nemmeno suggerito di fare attenzione con lui da quando era ritornato ad essere il bucky che conosceva, fidandosi cecamente di lui e del suo parere. Tornò in camera del castano con l’intenzione di preparare la colazione anche quel giorno, trovandolo ancora arricciato sul letto come il mattino precedente, le trapunte praticamente fin sopra la testa. Dopo avergli lasciato un ultima occhiata, iniziò a preparare il caffè per entrambi, cercando di non fare troppo rumore: non erano nemmeno le nove del mattino in quel momento e per la piega che aveva preso quella notte, voleva che il suo amico riposasse ancora un pò prima della colazione. Sapeva che se non l’avesse preparata lui, probabilmente Buck l’avrebbe semplicemente saltata, come forse aveva fatto con la maggior parte dei pasti in quel periodo. Sperò vivamente di riuscire a combinare qualcosa con lui, sapeva che sarebbe stato impossibile farlo ritornare come prima: tutti quegli anni con l’hydra avevano influito sulla sua persona ma non gli importava realmente, lui era pur sempre Bucky, il suo sergente, la sua spalla, il suo migliore amico. Assorto nei suoi pensieri, poggiò entrambi i palmi sul ripiano della cucina, aspettando che il caffè fosse pronto, sentendo improvvisamente un peso sulla sua schiena. Sorrise «Buongiorno» sussurrò, voltando lievemente il viso e guardando bucky con la coda dell'occhio, la fronte poggiata sulla sua spalla. Quando erano ragazzi lo faceva spesso, ricordò, anche se prima del siero era molto più basso, quindi Buck era praticamente costretto a piegarsi sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza. Ricevette un verso stanco in risposta «tutto bene?» chiese a quel punto il biondo, mentre il profumo del caffè iniziava finalmente a riempire quello spazio. Buck ci penso sù per un po', non si era riaddormentato subito e a dire il vero si era svegliato un altro paio di volte nell'arco di quelle ore, ma fortunatamente non era stato male e in quel momento il suo stomaco sembrava semplicemente esigere cibo. Si limitò quindi ad annuire, rabbrividendo al leggero freddo che avvertì contro la sua pelle bollente, l'unica fonte di calore davanti a sè, contro la sua fronte. «Siediti pure, preparo anche la colazione» a quelle parole Buck sembrò svegliarsi del tutto, alzando il viso dalla spalla del biondo «Steve, ti prego, non...» venne interrotto prontamente. «Dolce o salato?» gli chiese di botto, versando il caffè finalmente pronto in due tazze. Bucky aggrottò le sopracciglia, inclinando lievemente il viso da un lato quando il biondo si voltò, porgendogli la sua tazza. «Dolce o salato» ripeté Steve, prendendo un sorso del suo caffe, osservandolo mentre gli sfilava via la tazza dalle sue mani. Il castano alzò gli occhi al cielo, sbuffando alla vista di quel ghigno divertito «Dolce» rispose, voltandogli le spalle e dirigendosi verso il divano «Non potrai fare questo ogni giorno, lo sai vero?» chiese retorico, sentendo lo sguardo del biondo sulle sue spalle. Steve sospirò, sorridendo subito dopo nel vederlo stringersi nella sua felpa in cerca di calore «Preparo i pancake» lo informò. Ignorò di proposito quella domanda, conscio del fatto che se non l'avesse fatto, avrebbe dovuto fargli capire che lui non era cieco e che si era reso conto dei chili in meno. Ne avrebbero parlato sicuramente, ma quello non era di certo il momento adatto. "Tutto a suo tempo" pensò, osservandolo mente prendeva posto sul divano, affondando con la schiena nel cuscino sul quale aveva dormito per tutta la notte. Calò poi il silenzio nella spaziosa stanza, spezzato solamente dai suoni che provenivano dalla cucina, lì dove Steve maneggiava con alcuni utensili nel tentativo di preparare dei pancake perfetti. Bucky portò le ginocchia al petto, arricciandosi su se stesso sul divano, tentando di non disperdere il suo calore corporeo, trattenendolo fra la sua pelle e i vestiti caldi e spessi che gli aveva dato il biondo. Pensò alla proposta che gli aveva fatto quella notte, sorseggiando il suo caffè e convenne con se stesso che forse non fosse poi così male come idea. Voleva allontanarsi da Steve, disperatamente, ma quella situazione lo stava distruggendo. Non poteva mettere un punto a tutto quello ma forse poteva almeno provare a migliorare la cosa, ingannando il suo stesso subconscio come il suo amico gli aveva suggerito. Non sapeva se avrebbe avuto abbastanza coraggio o...fiducia in se stesso per allenarsi nel combattimento, ma avrebbe almeno potuto correre, trovando in quel modo anche un pretesto per uscire un po' da quella torre, quelle quattro mura che ormai lo ospitavano da fin troppo tempo. «Steve» lo chiamò piano, puntando lo sguardo sulla tazza ormai quasi vuota. Il biondo si voltò leggermente, rivolgendogli un semplice "mh?" per fargli sapere che fosse in ascolto, spingendolo così a continuare. «Posso allenarmi con te?» chiese a quel punto, la voce insicura, assonnata, alzando lentamente lo sguardo, giusto in tempo per vedere quel mezzo sorriso nascere sulle labbra del suo migliore amico.

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