Cicatrici

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Cicatrici

Ciao Calum,

sono io, Lexie. Ora non so neppure se vorrai leggere questa lettera, e ti capirei se volessi buttarla in un cestino pur di non sapere nient'altro di me. Ti capirei, sul serio. Stronza ero e stronza resto, non sono mai cambiata. E ancora mi chiedo come tu mi abbia amato, una come me, perché io ancora non riesco a capacitarmi della fortuna che ho avuto di trovare te nella mia vita.

Ti prego, non odiarmi per quello che ho fatto, per favore.

Dovevo andarmene da Sydney, lo sai bene anche tu che la nostra città per me non è mai stata un bel posto in cui poter vivere una vita tranquilla, non con tutto quello che mi portavo dietro e che mi aveva resa la ragazza schiva e dura, stronza, che tu hai conosciuto e che è rimasta la stessa per tutti questi anni.

Scusami, Calum, scusami se non ti ho detto niente, scusami se sono la stronza di cui ti sei innamorato. La stronza che ti ama più di chiunque altro a questo schifo di mondo. Scusami se ti ho tagliato fuori da tutto e se ti ho lasciato senza una spiegazione. Una spiegazione che avevi e che hai tutt'ora il diritto di conoscere.

Ho avuto paura, Calum. Paura che lui potesse tornare e rovinare tutto ancora una volta, a me, a mia mamma, a tutte quelle poche persone che mi erano rimaste vicine. Soprattutto, avevo paura che potesse rovinare anche la tua, di vita. E questo non me lo sarei mai potuta perdonare, se fosse successo.

Quell'uomo ha già fatto troppi danni, con mia madre, con me. Ci ha rovinate, e tu questo lo sai bene.

Perché mi ricordo ancora il giorno in cui ci siamo incontrati, in quella vecchia fermata della metropolitana che nessuno conosceva, che prima era solo il mio posto, e che poi è diventato il nostro. Mi ricordo i tuoi passi che rimbombavano nell'androne delle scale e che poi si erano avvicinati a me. Mi ricordo i tuoi occhi scuri su di me, così sinceri e preoccupati. Mi ricordo come mi sono sentita quando ho afferrato la mano che mi porgevi per tirarmi su. Mi ricordo la sensazione di conforto che mi ha dato parlare con te di tutta quella merda che c'era a casa mia, la merda che avevo nella mia vita, che sentivo dentro.

E da lì mi ricordo ogni singola cosa che abbiamo passato insieme. Non potrei dimenticarmi niente di ciò che eravamo e che per me siamo tutt'ora.

I messaggi nel bel mezzo della notte che mi facevano sempre spuntare un sorriso.

Le chiamate che duravano ore, in cui ci infamavamo e poi ci dicevamo «Ti amo.».

Le volte in cui sei venuto da me per sorreggermi, per evitare che provassi più dolore di quanto già sentivo.

Le volte in cui sono stata io a venire da te, per scappare da quella casa in cui non potevo vivere.

I litigi, le lacrime, i nostri «Scusa.» sussurrati sulle labbra, quasi con paura di ferirci.

I nostri pomeriggi passati in quella fermata della metropolitana, male illuminata e silenziosa, a farci compagnia, senza dire niente, tendendoci per mano e sorreggendoci a vicenda.

La notte in cui per poco non ci siamo persi entrambi, a causa di quel mostro che aveva scoperto di te.

Il nostro primo bacio, proprio nel nostro posto, custode di tutti i nostri momenti più belli.

La nostra prima volta, a casa tua, d'inverno, sotto quel piumone blu con sopra stampata la bandiera degli Stati Uniti. Il posto dove vivo da quelli che ormai sono tre mesi e venti giorni, a New York, da dove ti sto scrivendo adesso, con il cuore in mano e con le lacrime agli occhi, dandomi della stupida.

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