7.

459 23 8
                                    

7.

LA NOTTE DELL'ULTIMO GIORNO DEL MESE


"Da quanto tempo siamo qui? Due, tre ore?"

Serkan continuava ad andare su e giù per il corridoio dell'ospedale, le mani chiuse nelle tasche dei pantaloni. Aveva allentato la cravatta perché ad un certo punto gli era sembrato di soffocare e anche se adesso non gli stringeva più sulla gola, gli sembrava ancora pesantissima sul petto.

"Siamo qui da quaranta minuti, Serkan."

Lui si voltò a guardare Engin. "Quaranta minuti?" domandò perplesso, "Impossibile che siano passati solo quaranta minuti. Mi sembra un'eternità da quando..."

Da quando la sua migliore amica era svenuta nel suo ufficio dopo averlo salvato da una manipolazione che andava ben oltre il suo controllo; da quando inerme e pallida come un lenzuolo era stata caricata su un'ambulanza che l'aveva portata in ospedale. Da quando lui aveva capito che il dimagrimento, i mal di testa, le assenze e i cerchi neri sotto gli occhi erano frutto di qualcosa di davvero molto grave e non di semplice stress come aveva ipotizzato.

"Vado a prendere qualcosa di caldo da bere" Ferit si alzò, puntò gli occhi su Serkan e sospirò. "Serkan, vai avanti e indietro da quando siamo arrivati, perché non ti siedi? Ti porterò una tazza di tè e..."

"Non voglio una tazza di tè, Ferit. E non mi voglio sedere" lo interruppe lui. "Voglio sapere cosa sta succedendo alla mia migliore amica, perché i paramedici l'hanno portata dietro quella porta" la indicò con un dito, "e non abbiamo saputo più nulla. Ha ripreso conoscenza? Ricorda cos'è successo? E cosa è successo davvero? Qualcuno di voi lo sa? Io credo che tutti voi lo sappiate ma nessuno vuole dirmi nulla."

"Serkan, devi calmarti, per favore" Eda poggiò la borsa su una sedia e gli si avvicinò. Il suo odore dolce bastò a calmare i nervi dell'architetto, solo un po'. La guardò negli occhi, quegli occhi castani che all'interno avevano tutto un mondo e sospirò sentendo i suoi riempirsi di lacrime.

Lacrime di paura per Sophia, lacrime di dispiacere per aver fatto passare a Eda mesi di inferno, per non averle concesso il beneficio del dubbio, per non aver provato neppure a ricordare. Gli tornò alla mente la sera che era andata da lui, il giorno del suo ritorno, stringendo in mano tutte le loro foto. Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire il suono della sua voce spezzata dal pianto mentre gli urlava di provare a ricordare, di aprire la porta e lasciarla entrare.

Guarda queste foto, guarda come eravamo felici, continuava ad urlargli. Ma lui non aveva voluto sentire ragioni: se quell'uomo nelle foto era stato davvero felice e innamorato lui non lo sapeva, non se lo ricordava e non gli interessava ricordarlo. Chiunque fosse il Serkan in quelle immagini, non esisteva più e a lui non interessava che esistesse.

Non sei nel mio passato né sarai nel mio futuro. Noi esistiamo solo ora, dentro questo ufficio, e solo come soci di questa holding, le aveva detto un giorno. Aveva guardato i suoi occhi tingersi di dolore e delusione. Si era pentito di averle detto quelle cose, si era pentito subito, ma le aveva dette e anche se le aveva chiesto scusa, sapeva che le sarebbero rimaste impresse nella mente per sempre.

"Mi dispiace" le disse, "mi dispiace davvero tanto, Eda. Per tutto."

Lei scosse il capo, deglutì a vuoto e distolse lo sguardo. "Non è il momento di parlare di questo. Ma so che ti dispiace e apprezzo le tue scuse."

Lo disse con il tono piatto di chi dice una cosa solo per cortesia, solo per dire, senza intenzione. L'ardore, o qualunque cosa fosse, che le aveva sentito nella voce per mesi da quando era tornato, non c'era più. Aveva lasciato il posto ad una indifferenza che traspariva in modo lampante, senza bisogno di scavare troppo per trovarla.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 12, 2021 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

The Last YearDove le storie prendono vita. Scoprilo ora