Nuvole a testa in giù

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Natale, Natale, Natale.
Andavano (quasi) tutti pazzi per il Natale, ma Simone non capiva bene che cosa ci fosse di così tanto entusiasmante in quella giornata: a lui era sempre sembrato solo l'ennesimo giorno in cui la gente - per chissà quale assurdo motivo - si sente quasi in obbligo di mostrarsi felice, quando poi alla fine si tratta di una specie di domenica con qualche regalo da scartare.

Simone non odiava il Natale, ma nemmeno lo amava, per lo più lasciava che scorresse come un qualunque altro giorno dell'anno, cercando di tenersi impegnato in una maniera qualunque per non annoiarsi troppo. Quell'anno, però, la noia proprio non voleva andarsene, e quel benedetto giorno non accennava a passare, per permettergli finalmente di tornare alla sua - confortante, sebbene non proprio entusiasmante - quotidianità. Leggere? No. Guardare un film? No. Ascoltare musica? No. Ogni possibile intrattenimento gli sembrava mortalmente noioso in quella giornata mortalmente noiosa.

Nella villa deserta il silenzio regnava sovrano, suo padre era andato chissà dove con Anita a mettere in pratica le sue doti da ammaliatore, e sua nonna era in un teatro del centro per un concerto di Natale. Simone era totalmente solo in casa, steso sul letto nella sua stanza buia, pregando che quel giorno passasse in fretta e cercando disperatamente un modo per impiegare quel tempo libero di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

La cosa assurda del Natale - pensava Simone - è che tutti in qualche modo sentono il "bisogno" di trascorrerlo in famiglia, ma spesso a casa si finisce comunque per sentirsi imprigionati (come nel suo caso) ed in generale si passa il tempo chiedendosi quanto più ci si sarebbe divertiti fuori da quelle quattro mura. Poi, nel caso di Simone, non c'era nemmeno una vera famiglia con cui trascorrerlo, quindi lui si sentiva fregato due volte.

Sospirò profondamente portando le mani dietro la testa e fissando intensamente il soffitto, e si ritrovò a pensare a tante cose contemporaneamente, ma che alla fine convergevano tutte in un unico mondo: la sua classe, suo padre. Pensando a quanto suo padre fosse un genitore sui generis si mise a pensare alle famiglie dei suoi amici, rendendosi conto che ognuna era strana a modo suo, bizzarra per qualche motivo; e, pensandoci, si sentì meno solo, meno strano.

Tante cose erano cambiate da quando suo padre era tornato a tempo pieno nella sua vita, ed erano cambiate sia fuori che dentro di lui. In quei mesi Simone aveva capito tante cose di se stesso, aveva imparato a capirsi, ad accettarsi, e allo stesso modo e allo stesso tempo aveva imparato a capire e ad accettare gli altri semplicemente per quello che erano, senza avere la pretesa che fossero esattamente come lui li avrebbe voluti o li aveva immaginati. Persino i rapporti con i suoi compagni di classe, i suoi amici, erano cambiati: Simone era diventato più tollerante, più gentile, meno spaventato; e aveva imparato che se ti mostri agli altri per quello che sei davvero - sofferenze e fragilità incluse - gli altri ripagheranno il valore di quella sincerità con altrettanta sincerità, donando un pezzo autentico di loro stessi. Simone non si nascondeva più, né da se stesso né da chi lo circondava: aveva aperto la porta ed era entrata la luce.

Manuel.

Manuel assomigliava terribilmente a qualcosa che aveva a che fare con la luce. Fin dal primo momento Simone si era sentito come se una forza sconosciuta lo attirasse verso Manuel, anche contro la sua volontà, anche se inizialmente aveva provato con tutte le sue forze a mantenere le distanze e ad evitare di farsi coinvolgere nel casino infinito che era la sua vita, ma non ce l'aveva fatta. A posteriori, Simone aveva capito che mai e poi mai avrebbe potuto evitare di rispondere a quella sorta di richiamo che sentiva provenire da Manuel, proprio perché - appunto - Manuel era luce, e dalla luce non si può mai sfuggire troppo a lungo.

Manuel.

Manuel era tutto ciò che di più lontano da Simone potesse esistere: erano due punti che giacevano alle estremità opposte del diametro di una circonferenza, eppure, nel corso di quell'anno abbondante che avevano trascorso insieme, avevano talmente tanto imparato a contare l'uno sull'altro che erano quasi diventati una cosa sola, arrivando a mettere insieme anche tutti gli altri punti di quella circonferenza di cui loro stessi facevano parte, riuscendo a chiudere il cerchio e dando compimento alla figura geometrica perfetta per eccellenza. Nessun inizio e nessuna fine, nessun prima e nessun dopo, solo un tutto eterno e costante, del quale entrambi facevano equamente parte alla stessa maniera, e che gli aveva permesso di creare un luogo sicuro in cui entrambi sapevano di poter tornare sempre, nonostante tutto e tutti, qualunque cosa succedesse.

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