Capitolo 1. Parte 2: Tranduill

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Era da poco passato mezzodì e alla base dell'altopiano la grande moltitudine di carri, animali e individui procedeva con la consueta e snervante lentezza lungo la grande Strada Sacra; era normale in quel tratto, poiché era il punto di congiunzione con l'ampia via terrazzata, che conduceva verso la cima. Le aree che costeggiavano la grande Strada erano occupate dai torreggianti mausolei e monumenti funerari della secolare nobiltà di Laelith. Si trattava di grandi edifici, variabili per forma e tipologia, realizzati con materiali pregiati e finemente lavorati; questi si potevano presentare come strutture quadrate con facciate squisitamente elaborate o come tozze torri circolari decorate con teorie di metope con rilievi, rappresentanti delle glorie degli avi della famiglia che vi riposava all'interno. Sul fianco destro della ripida parete rocciosa, a relativa distanza dalla Strada, precipitava l'imponente Cascata degli Dei, le cui acque precipitavano dalla vetta, per confluire in un grande e profondo stagno, da cui iniziava il corso di un fiume di dimensioni non troppo modeste, chiamato Siris. Questo rivo era la prosecuzione del fiume cittadino, che a sua volta si originava dal grande lago, chiamato lo Stagno Primordiale, sulle cui sponde sorgeva il prosperoso porto della mistica Capitale. Tranduill sollevò leggermente lo sguardo da sotto il cappuccio del mantello di pesante stoffa, che teneva alzato per ripararsi dalla forte luce solare. Osservava la lunga coda e seguiva il suo lento procedere lungo tutto il percorso, che saliva verso la cima dell'altopiano; la strada era realizzata su terrazze inclinate ricavate nella roccia e i vari bracci erano collegati tra loro con ripidi tornanti. «La Salita della Redenzione» borbottò tra sé e sé. Tranduill era un elfo abbastanza giovane, probabilmente non aveva superato la metà del suo secondo secolo di vita; aveva una corporatura abbastanza esile, ma allo stesso modo tenace, sebbene non fosse di statura molto alta. Aveva due occhi color miele, sfuggenti sotto il cappuccio, che comunque lasciava vedere i lineamenti allungati e sottili, che caratterizzano la razza degli elfi. Indossava, sotto il mantello, una maglia di colore verde molto scuro, su cui portava un casacca di cuoio e dei pantaloni lunghi dello stesso verde, che portava infilati negli stivali. Sulle spalle era sistemata ordinatamente una piccola faretra marrone, cui faceva coppia un piccolo arco di legno dal colore molto chiaro. In una mano portava un nodoso bastone, che poggiava per terra mentre camminava, scandendo ritmicamente i suoi passi; questo era alto quasi quanto lui e sulla sommità era incastrato un iridescente cristallo. Mentre osservava il fianco roccioso, il suo sguardo fu attirato da alcuni movimenti in lontananza. Si trattava di piattaforme dotate di ringhiere, che salivano dalla base della parete e arrivavano sulla cima dell'altopiano, e viceversa. Alcune di queste, la maggior parte, erano legate a corde e catene, che garantivano la salita e la discesa tramite un elaborato sistema di contrappesi e carrucole; altre, invece, effettuavano il percorso autonomamente, probabilmente grazie all'ausilio di strane magie. «Sembrava strano che le rampe fossero l'unica via, mia cara Githra» borbottò l'elfo, rivolgendo lo sguardo verso il grosso felino che camminava a fianco «magari fossimo anche noi così privilegiati!» continuò sarcastico. Githra era una giovane tigre dalla folta pelliccia striata e dalle dimensioni non troppo pronunciate, non avendo ancora l'animale raggiunto la piena età adulta. Era diventata da qualche mese la compagna di Tranduill, la bestia che il giovane era riuscito a domare come ultima prova del suo seminario druidico. L'elfo, infatti, si recava a Laelith proprio per formalizzare la sua ammissione presso il Concilio di Frondargentea; Tranduill si sarebbe dovuto presentare al tempio della Quercia Dorata, sede mistica cui tutti i druidi di Abeil-Toril, in un modo o nell'altro facevano riferimento, i cui rappresentanti avrebbero ratificato la sua promozione. Il giovane druido non era affatto entusiasta del viaggio, né tantomeno di dover porre omaggi agli impomatati sacerdoti. Tranduill, infatti, non nutriva grande affinità con gli Dei, neanche con quelli legati al mondo naturale e non traeva i suoi poteri da essi come i religiosi; la sua fede era totalmente riposta unicamente nella Madre Terra stessa, che gli forniva le energie magiche con l'unico scopo di difendere e preservare l'ordine naturale delle cose. Questo era il suo Credo Druidico. Seguendo il lento scorrere della coda, l'elfo e la sua compagna proseguirono rassegnati immettendosi nella via terrazzata, iniziando la lunga e snervante scalata. L'avanzare era terribilmente lento. Ci volle più di un'ora per raggiungere solo la prima curva. Ogni genere di merci veniva trasportata su grandi e pesanti carri verso l'altopiano; da quella alimentare che riforniva le tavole delle taverne e dei grandi palazzi, alle materie prime come pietra, metalli e stoffe, destinate al produttivo quartiere artigianale della Capitale, alle merci preziose importate da luoghi lontanissimi. Oltre alle carovane mercantili era possibile distinguere chi per altro motivo si recava a Laelith. Una moltitudine di questi era costituita dai pellegrini che, per devozione religiosa, compivano il proprio viaggio presso uno dei Quattro Grandi Santuari. Accanto a questi, erano presenti grandi convogli, che trasportavano dignitari e nobili stranieri, i quali si recavano a Laelith per affari prettamente politici e soprattutto per ingraziarsi i Funzionari dell'Imperatore-Dio. Lo sguardo di Tranduill fu attirato, in particolare, da una splendida lettiga con i veli tirati, realizzata in legno finissimo, con intarsi di oro ed avorio; sulla sommità appuntita della sua copertura in tessuto beige si stagliava floscio lo stemma della lontana Neverwinter. «A quanto pare non basta essere ricchi per garantirsi l'accesso rapido» sussurrò divertito e rivolgendosi alla tigre «tutti devono dannarsi in questa salita...e solo per porgere dei maledetti ossequi a qualche nobile privo di personalità» continuò con sarcasmo crescente. La tigre dal canto suo emise un lieve miagolio annoiato, colpendo affettuosamente con la testa il ginocchio del suo amico. La lunga salita continuò con lo stesso lento procedere, superando a difficoltà ogni tornante. Era pomeriggio inoltrato quando Tranduil e Gitrha raggiunsero la sommità dell'altopiano. A qualche decina di metri da loro apparve immediatamente, gigantesco, l'avancorpo di pietra della grande Porta del Sole, ingresso meridionale di Laelith, con ai lati le torri e le alte mura di pietra nera della città. L'avancorpo, che si collegava con la porta retrostante, vero accesso alla Capitale, tramite un corridoio murato, era realizzato con giganteschi blocchi di pietra nera, squatrati finemente e allettati in modo regolare; ai lati di questo c'erano due grandi torri circolari, sulle quali garrivano al vento, tutte le sacre icone della mistica città. Al centro della struttura si apriva una grande porta voltata, i cui pesanti battenti erano spalancati ed in cui si riversava la grande moltitudine. L'agognata meta. Sollevato dal risultato raggiunto, ma ben consapevole che il suo ingresso a Laelith era ancora lontano, Tranduill si lasciò trasportare dal fluire di quel fiume di persone. Non molto dopo si trovava quasi all'ingresso; riusciva finalmente a scorgere le stazioni doganali, segnale che, l'attesa era ormai giunta al termine. Numerose guardie erano affaccendate ad ispezionare i carri e le merci, mentre altre si assicuravano delle identità e dei propositi dei visitatori. I Soldati della Guardia Ordinaria della Capitale, indossavano una divisa costituita da una casacca composta da una maglia ed un pantalone di colore blu scuro, con vistosi rigonfiamenti in corrispondenza delle spalle delle anche. Sul torace portavano una corazza d'acciaio lucidissimo, rinforzato sotto con strati di cuoio e stoffa. Portavano dietro le spalle un moschetto con la bocca leggermente allargata, una spada lunga alla cintura, e in mano brandivano una pesante alabarda. Uno solo era lo scopo delle guardie di turno alla frontiera. Riscuotere il giusto tributo. Quando il druido fu abbastanza vicino alle porte ed era indaffarato a cercare qualcosa sotto il suo pesante mantello, fu interrotto dal suono di una potente e roca voce proveniente da poco davanti a lui. «Non è possibile che debba pagare cinquanta monete d'argento solo per l'ingresso della mia bestia! È un furto bello e buono!» sbraitò la voce in un comune pronunciato con un fortissimo accento errato. Tranduill cercò di fare capolino con la testa per capire cosa accadesse, ma scorgendo davanti a sé solamente due guardie visibilmente irritate, battibeccare con lo sguardo rivolto verso il basso. «Ci mancava un maledetto nano tirchio!» borbottò l'elfo scrollandosi le spalle in senso di sconfitta. E ne aveva ben ragione; sapeva perfettamente che quelle guardie non avrebbero vinto facilmente quella tenzone economica. Nota a tutti è infatti la difficoltà con cui i nani si separano dalle cose preziose, specialmente se è senza un motivo che loro ritengano valido.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 08, 2022 ⏰

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