Prima della fine

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Quella sera a cena fui fugace.

Cercai di minimizzare il mio entusiasmo per il tirocinio imminente, ma quando Dora iniziò a pormi alcune domande sul mio incontro con Eden, lasciai che tutto il mio entusiasmo si palesasse intorno al tavolo al quale eravamo seduti.

L'aria che poggiava su di me era così famigliare ed accogliente, che mi sembrò per un attimo di avere accanto mio padre. Come se mi stessi rivolgendo a lui, iniziai a sviscerare ogni emozione positiva che mi invadeva da quel pomeriggio.

«Domani farò un salto nel negozietto in centro paese», affermai alzando una forchettata di pollo al curry, «Quello arancione, che fa ad angolo».

Dora deglutì il boccone che le rimaneva sul palato e poi mi rivolse un mezzo sorriso «Cosa ti serve, Maui?».

Avevo pensato che fosse opportuno acquistare un taccuino, dove avrei appuntato ogni istante del mio stage. E proprio in quel dolce negozio, nella vetrina minuscola, avevo avvistato il giorno precedente un quaderno di piccole dimensioni, rivestito in pelle color blu, con al centro una tartaruga marina stilizzata.

Avevo letto sul cartello che sarebbe stato possibile personalizzare gli oggetti di cancelleria, e mi sarebbe piaciuto far incidere il mio nome.

«Un taccuino...» dissi dopo essermi passata le labbra nel tovagliolo, «Ne ho adocchiato uno molto carino, e mi piacerebbe acquistarlo». Posai il tovagliolo accanto al piatto vuoto, soddisfatta e compiaciuta per quella deliziosa cena.

«Se ti va, possiamo andarci insieme» rispose Dora con voce materna, affabile come una donna che avrebbe voluto passare del tempo con il proprio figlio.

«Ma... certo. Molto volentieri», le risposi regalandole un sorriso.

Terminata la cena, aiutai Jonah a sparecchiare la tavola, mentre sua moglie rimaneva concentrata sul lavandino, strofinando le stoviglie con una spugna ormai usurata.

Soltanto dopo un buon caffè americano, mi recai nella mia stanza.

Tolsi dall'armadio il mio zaino color cobalto, e iniziai a riempirlo – ansiosamente - di oggetti che mi sembravano assolutamente necessari per il mio lavoro. Infilai una borraccia termica da 1 lt, un astuccio con qualche penna colorata, un piccolo beauty con all'interno fazzoletti, cerotti e assorbenti interni ed esterni- il ciclo, brutta bestia.

Infine, presi la valigetta viola che avevo riposto nel comodino, e la aprii controllando che ci fosse tutto il necessario per delle ottime fotografie.

Amavo immortalare il fascino intangibile di ogni particolarità con la quale Madre Natura aveva deciso di abbigliare il nostro pianeta – non importava quanto fosse ineccepibile l'inquadratura e il quantitativo di luce che perforava l'obiettivo; qualsiasi singolarità io avessi catturato, avrebbe racchiuso tutta l'emotività di quell'istante.

Chiudendo la cerniera zaino, il sorriso d'entusiasmo che avevo dipinto tra le fossette del viso, iniziò ad affievolirsi pigramente – e non a causa del sonno.

Plausibilmente, sommersa dall'esaltazione e dalla gioia esuberante, mi ero dimenticata uno scomodo dettaglio – tanto fastidioso e ostico come il mignolino che viene colpito incidentalmente sullo spigolo della porta.

Il mio compagno di tirocinio. O, cosa peggiore, tutor.

Eden mi aveva accennato che mi avrebbe affiancata a lui, oltre che per il senso morale e la vicinanza a quella bestia marina che aveva un'evidente necessità di essere salvato, per poter imparare da uno dei suoi lavoratori più esperti e competenti dell'attività.

Come danzano le ondeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora