D'improvviso mi ritrovo dinanzi a due occhi castani tendenti al ramato che mi scrutano da capo a piedi, pietrificandomi sino alle punte dei miei capelli.
«Sei cieca?» sbotta.
«Cosa? No.» blatero tornado in me.
«Allora tieni gli occhi aperti o rischi di farti male.» mi sibila all'orecchio per poi superarmi.
«Aspetta! Chi sei tu?» gli domando, ma noncurante continua a darmi le spalle procedendo sui suoi passi.
«Che arrogante!» borbotto fra me e me.
La campanella suona facendomi sobbalzare.
Questo significava una sola cosa: l'ora di latino era giunta.
Ancora una volta la mia mente ricade nel passato, a qualche anno fa, quando anche mia madre era un'insegnante di latino in questa scuola.
C'erano tempi in cui era stimata ed apprezzata da tutti, finché quelle stesse persone che tanto la lodavano l'hanno definita pazza.
Lei sapeva parlare latino come se fosse la sua lingua madre e ci teneva che lo imparassi anch'io. Dopo la sua morte ho deciso di seguire il corso avanzato, anche se frequentato da pochissimi studenti.
Le librerie di casa mia straripano di libri in latino.
Voglio impararlo per capire e tradurre tutte quelle lettere chiuse nel cassetto della sua vecchia scrivania. E se ce ne fosse qualcun'altra per me?
Ansiosa di perdere la lezione corro verso l'aula cercando di non scontrarmi con gli studenti che vagheggiano per il corridoio.
Quando entro nell'aula vedo già tutti seduti ai propri posti. Non siamo molti, forse una decina.
Mi mordo la lingua quando scorgo anche la testa di Janine LittleMayer. Che seccatura, dovrò subire la sua presenza anche qui.
Prendo posto ad uno degli ultimi banchi, cosicché il bel professore non potesse vedermi.
«Buongiorno a tutti ragazzi.» la sua voce dura richiama la mia attenzione.
Mi manda un'occhiata. Ma cosa vuole?
Chiude la porta dietro di se e poi la sua figura imponente raggiunge la cattedra.
Tutte le ragazze del corso, compresa quella stupida di Janine, alla sua vista si raddrizzano sulla sedia e iniziano a toccarsi i capelli.
Alzo gli occhi al cielo disgustata.
«Bene.» si schiarisce la voce il professore.
«Io sono il Professor Darcy Dyer, e per chi non l'ha ancora capito, sarò il vostro professore di latino.» afferma, generando risatine dalla metà femminile della classe.
«Se preferite, possiamo darci del tu.» continua, al che d'impulso balzo in piedi.
Perché a me ha detto di dargli del voi o del lei?
Odio i favoreggiamenti, sopratutto quando sono privi di senso, come in questo caso.
Tutta la classe si gira verso la mia direzione.
Il Professor Darcy mi guarda con uno stupido ghigno stampato in volto.
«Cosa la turba Signorina Hortega?»
Deglutisco per poi aprir bocca pronta a parlare, ma in quell'esatto momento la porta dell'aula si spalanca, facendo spostare l'attenzione da me a quei due occhi ramati che ho incontrato poco fa in corridoio.
Mi pietrifico sul posto.
Il Professor Dyer contrae la mascella non appena i suoi chi si posano su quel ragazzo.
«È in ritardo signor Romanov, la lezione è già incominciata.» sbotta.
Il ragazzo non dice una parola e si incammina per prendere posto nella mia direzione.
Prego Dio che non si sieda vicino a me, ed invece eccolo qui, seduto proprio nel posto accanto al mio.
Lo guardo dall'alto mentre il suo sguardo rimane fisso nel vuoto.
Silenziosamente mi siedo e mi concedo qualche istante per scrutarlo.
I suoi cappelli scuri, come i suoi occhi, sono corti e ben ordinati, un solo ricciolo gli cade sulla fronte. La sua mascella è contratta, i suoi zigomi sono alti e il suo naso sembra quasi tagliente per quando sia perfettamente dritto.
Di scatto si gira nella mia direzione facendomi sobbalzare, al che subito distolgo lo sguardo.
Isabell sei fidanzata, cosa ti passa per la mente?
Scuoto la testa e decido di concentrarmi sulla lezione.
«Inimici tui pessimi possunt abscondere post amicos. Qualcuno è in grado di tradurre questa frase?» borbotta d'un tratto il professore.
La classe piomba nel silenzio più totale.
«I tuoi peggior nemici possono nascondersi dietro i tuoi amici. Ecco, la traduzione è questa Professor Darcy Dyer.» sbotta il ragazzo al mio fianco, pronunciando con tono marcato il nome del professore, quasi in segno di sfida.
I due si fulminano con lo sguardo.
Capisco che gli stia antipatico perché è arrivato tardi a lezione, ma guardarlo in quel modo mi sembra al quanto eccessivo.
«Haec omnia ineptias.» continua Romanov con tono provocatorio.
Svelta sfoglio il vocabolario per capire cos'ha appena detto: "Queste sono tutte sciocchezze."
Non capisco, se ritiene che siano sciocchezze, perché è qui?
«Revertere potes unde venit! Signor Romanov.» sbotta il Professor Darcy.
Spalanco gli occhi capendone il significato: "Può tornare da dove è venuto!"
L'ha cacciato dalla classe? Sono confusa, perché c'è quest'aria di sfida fra i due?
È quasi come se gli sguardi fra il Professor Darcy e Romanov si stessero sfidando a duello.
Lo sguardo dell'uno è immerso nello sguardo altro, entrambi hanno assunto un colore cupo e un'aria terrorizzante.
Nessuno batte ciglio, l'atmosfera è densa, gelida e la percepisco come se fosse acqua in cui mi sento annegare.
Senza spiegarmi il perché, inizio a sudare freddo e l'aria comincia a mancare, il tutto peggiora quando un forte fischio invade tagliente le mie orecchie, penetra in maniera assordante nei miei timpani e in men che non si dica pervade la mia mente.
È come se il cervello minacciasse di esplodere da un momento all'altro.
Dal dolore mi piego in due e porto le mani sul cranio, il rumore si fa sempre più forte, sempre più acuto dentro me.
Invano mi alzo dalla sedia cedendo per terra, perdendo i sensi e sprofondando nel buio.
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In the vampire's mouth
VampireMia cara Isabell, ricorda dette parole: Non sai mai da chi sei circondata. Non potrai mai sapere chi sono davvero le persone al tuo fianco, questo perché non potrai mai vedere a fondo la loro anima, il loro covo dei più oscuri segreti. Alcuni po...