VII. Bivio

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Fortunatamente, oggi l'ora di latino non è presenze fra le mie lezioni.
Con affanno apro la porta dell'aula di matematica.
Cerco disperatamente gli occhi di Lucas, al momento il mio unico porto sicuro.
Lo scorgo fra la folla di studenti che prendono posto, a passo svelto lo raggiungo e senza che possa controbattere mi siedo al suo fianco.
Fa per alzarsi ma lo strattono dal braccio con una tale forza da farlo risedere.
«Okay okay, calma...» sospira corrucciato.
«Lucas, devo dirti una cosa.» bisbiglio per non far udire ad orecchie indiscrete.
I suoi occhi si illuminano.
«Vai Isa, sono pronto a sentire le tue scuse.» dice poi compiaciuto.
Lo guardo confusa.
«S-scuse?» balbetto un po'.
Il suo sguardo si spegne nuovamente.
«Non sei qui per chiedermi scusa vero?» sbuffa distaccando lo sguardo dal mio e osservando il professore di matematica entrare in aula.
«Ti sei dimenticata di venire alla festa di inaugurazione inizio anno con me. Ti ho atteso tutta la sera, non sei mai arrivata.» scandisce con tono freddo, stavolta guardandomi negli occhi deluso, amareggiato, sconfitto.
Apro bocca per parlare ma mi interrompe nuovamente.
«E per di più, sei stata a mia insaputa insieme a quel Romanov...» sbotta di nuovo.
«Lucas, se mi lasci spiegare.» farfuglio.
«Quale scusa ti inventerai ora Isabell? Tuo padre era ubriaco e Romanov l'ha trovato per strada?» borbotta visibilmente irritato.
Stavolta sono io a guardalo con distacco, sa che su mio padre non mi piace scherzare, sa che l'argomento "famiglia" puo ferirmi, ma difatti questo è il suo intento, ferire me perché io ho ferito lui.
«Lasciami parlare. Ero nel bosco e lui mi ha salvata non so nemmeno io da che cosa, so solo che c'era una camicia con del sangue nel bel mezzo del bosco e quella camicia era proprio del professor Darcy. Sono così confusa Lucas, ho bisogno del tuo aiuto.» farfuglio.
Lui ride prendendosi beffa di me, una risata nervosa, incredula.
Scuote ripetutamente il capo.
«Non posso crederci, hai portato lui nel bosco e non ci hai mai portato me, dicevi che era il tuo rifugio segreto...» abbassa lo sguardo affranto.
«Lucas, non hai minimamente ascoltato ciò che ti ho detto.» sbotto stizzita.
«Ti aspetti che io creda a queste cazzate? Forse hanno ragione gli altri quando ti chiamano pazza.» sbraita.
Perdo un battito e mi si stringe lo stomaco nell'udire queste parole fuoruscire dalla sua bocca, dalla bocca del mio migliore ed unico amico, del mio confidente, di colui di cui mi sono sempre fidata ciecamente.
Mi immobilizzo, mi pietrifico, mi congelo.
Sono abituata a sentirmi dire certe cose, ma da lui no, non lo accetto.
Senza aggiungere altro, mi alzo e vado via da qui, via da lui, dalle sue parole taglienti.
Ciò significa che anche questa, l'affronterò da sola.

Esco fuori dall'aula e prendo un sospiro.
Certe volte sembra che tutto stia per cadermi addosso, e ci impiego tutte le mie forze per mantenere il peso di questo infinito trambusto che mi attanaglia, lo faccio unicamente per lei, per mia madre Sandra, lei avrebbe voluto così, lei era così, non si faceva abbattere da nulla, si scalfiva, si graffiava, ma niente e nessuno la buttava giù, ci è riuscito solo quello che si suppone sia stato un arresto cardiaco.

La mia attenzione viene attirata dal ragazzo moro, dagli occhi ramati poggiato al muro difronte la mia aula.
Ci guardiamo per qualche secondo, mi scruta e fa per andarsene ma lo fermo.
«Athan? Athan Romanov giusto?» gli domando.
Si volta con un ghigno sul volto.
«Sì, esatto, sono proprio io.» afferma incrociando le braccia al petto, vedo i possenti muscoli contrarsi.
Mi avvicino e lo imito incrociando anch'io le braccia.
«Ieri c'eri tu nel bosco con me, ricordi?» gli domando confusa, bisognosa di risposte.
«No, non ricordo, forse mi hai confuso con qualcun altro...» borbotta facendo spallucce.
Scuoto ripetutamente la testa, no non sono pazza, io ricordo di essere stata in quel bosco, ricordo quegli scoiattoli, il fiore rosso, la camicia sporca di sangue, lui che mi afferra.
«Sai anche tu che non è così, che eravamo entrambi lì.» affermo decisa e stanca di passare per la folle della situazione.
«C'era anche qualcun altro, hai parlato di una "belva" chi era? Da cosa fuggivi?» continuo dando voce a tutti i miei interrogativi.
«La riposta già la sai.» sbotta.
La mia mente inizia a vagare nei più oscuri pensieri e meandri, qual è la risposta? È il professor Darcy? È da lui che scappava?
«Ascolta» afferma poi con tono deciso come per zittire i miei pensieri «Tieniti alla larga dal professor Darcy Dyer, un consiglio da amico.» dice mettendomi i brividi ed assottigliando gli occhi per poi guardare alle mie spalle. Mi volto anch'io, ma non vedo nessuno.
Mi rigiro nella sua direzione e il ragazzo dagli occhi ramati è sparito, non c'è più, si è dissolto nell'aria.

In the vampire's mouthDove le storie prendono vita. Scoprilo ora