Luke sta provando la nuova canzone. Lo vedo da dietro lo spesso vetro dello studio di registrazione, mentre tiene le cuffie con entrambe le mani e prova ad intonare i versi che ha scritti sotto il suo naso.
Detesto quel brano, è privo di armonia così come di un senso. Avevamo creato l’etichetta discografica per poter produrre la musica che volevamo, ed eravamo ugualmente finiti per sottostare alle richieste commerciali che il marketing ci imponeva.
Guardo i volti degli altri, come per cercare una conferma ai miei pensieri, e li trovo ugualmente perplessi. Sembra una di quelle canzoni che mettono negli ascensori per ingannare l’attesa, se non fosse per le centinaia e centinaia di fan che ci idolatrano pur non sapendo nulla di noi probabilmente saremo di nuovo in Australia, a cercare di mettere insieme i pezzi per costruirci una nuova vita che nulla ha a che fare con la musica.
Quando Luke intona l’ultima nota nessuno applaude neanche più, stringo la mascella e mi alzo dalla poltroncina in cui ero sprofondato qualche minuto prima. “Non è troppo male” dice Michael cercando di spezzare quel silenzio opprimente, quel silenzio pieno di pensieri che nessuno voleva interrompere.
Alzo lo sguardo e lo osservo impassibile, so che non la pensa così, ci conosciamo da tempo ormai, a lui piacciono i Green Day, quella è la musica che avrebbe voluto fare sin dall’inizio, non questa merda.
“Vado a prendere un po’ d’aria e faccio un salto da Carl per pranzo” dico afferrando chiavi e cellulare dal ripiano vicino la porta. “Vengo anche io” mi segue Ashton, ed insieme usciamo da quello studio che ci ha visto trasformare in un’altro insulso prodotto commerciale.
Una volta fuori dall’edificio mi guardo intorno, attento a controllare che non ci fossero fan o paparazzi lì intorno prima di sfilare una sigaretta dal pacchetto. Chiariamoci, non sono un fumatore, ma con il tour alle porte ed un album ancora da finire il fumo era una delle poche cose che riuscisse davvero a farmi star tranquillo. “Sai che ti odio quando fumi” dice Ashton e gli faccio spallucce in rimando. Ho sempre detestato le persone che fumano, come abbia fatto a diventare uno di loro mi sfugge il più delle volte, così come mi sfugge come abbia fatto ad entrare nel vortice della musica per ragazzine, ma più ci penso più mi viene il mal di testa.
Qualche volta penso a come sarebbe la mia vita fuori da quella routine, da quel mondo fatto di egocentrismo e competizione, a come sarebbe stato se avessi continuato con il calcio, magari invece che sulle riviste di musica sarei finito su FIFA o PES. Butto fuori il fumo a quel pensiero, non credo mi sarebbe piaciuto fare il calciatore, non messo a confronto con il brivido dell’esibizione live davanti a migliaia di persone.
“Non vedo l’ora di prendermi un dannato kebab” Ashton interrompe i miei pensieri, sfornando un’altra delle sue risate. Come faccia ad essere sempre sorridente me lo chiedo spesso, è contagioso, capace di metterti di buon umore in così poco tempo. Sarebbe bello credo, essere capaci di migliorare la giornata di qualcuno con un sorriso.
Rido in rimando, gettando il mozzicone di sigaretta in terra e cominciando a camminare in direzione del bar di Carl.
E’ quando stiamo per attraversare la strada che un taxi sfreccia a pochi centimetri da noi, facendoci sobbalzare. “Guarda dove vai!” gli grido, ma questo continua indisturbato la sua corsa senza degnarci di uno sguardo. Gli autisti a Los Angeles sono sempre stati dannatamente maleducati. “Lo rincorrerei se non fosse per il kebab che mi sta chiamando” dice Ashton legandosi i capelli biondi un po’ troppo lunghi dietro la nuca, continuando la sua passeggiata indisturbata verso il piccolo bar.
L’unica pecca di quel posto è che, andandoci spesso, le fan non perdono l’occasione per intrufolarvisi ‘casualmente’ e tentare di agganciare bottone. Per carità, sono loro che ci permettono di vivere tutto questo, di oziare dalla mattina alla sera e di poterci godere luoghi che - probabilmente - non avremo mai visto restando in Australia, eppure qualche volta vorrei solamente starmene per conto mio, con il mio panino a tre piani e nessuno che mi scatta una foto a due tavoli di distanza.
Entriamo e ci sediamo al tavolo vicino la grande finestra, che affaccia su una piccola stradina colorata che sbuca su una delle tante spiagge della città; non serve fare cenno a Carl di essere arrivati, sa che siamo là e sa cosa avremo ordinato.
Appoggio la schiena sullo schienale della sedia quando sento un picchiettio all’altezza della spalla sinistra, quindi mi volto e tolgo gli occhiali da sole. “Ciao, sono Sophie, posso -ehm, posso chiederti una foto?” piuttosto bassina, con un paio di chili di troppo, le sorrido intenerito dal tremolio della sua voce e delle guance appena colorate di rosso. Quattro anni e ancora non riesco ad abituarmi alle reazioni delle ragazze quando mi vedono per strada.
“Certo Sophie!” mi alzo e poggio gli occhiali da sole sul tavolo, lei da il telefono ad Ashton che ci scatta la foto, poi facciamo a cambio. “Volevo solo dirvi che vi adoro, e che è grazie a voi se sono quello che sono oggi, grazie per tutto quello che fate” parlava velocemente, accatastando le parole l’una sull’altra e senza prender fiato neppure una volta, mentre sia io che Ash la guardiamo divertiti da quel suo modo di comportarsi.
“Grazie a te che ci supporti” risponde Ashton “Sopporti vorrai dire” non so da dove mi sia uscita questa pessima battuta, ma sono comunque capace di strappare un sorriso a Sophie, il che è gratificante. E’ sempre piacevole sapere di riuscire a far ridere le persone.
Un ultimo abbraccio e poi se ne va, nello stesso momento in cui arrivano il kebab e l’hamburger al nostro tavolo.

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brood ⊗ calum hood
Fanfictionbrood \ˈbrüd\ noun: sexy femalee, hottie. dove due ragazzi con pessime abitudini imparano a liberarsi delle proprie maschere