Prologo

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« What art thou Faustus, but a man condemned to die? »

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« What art thou Faustus, but a man condemned to die? »

~ Chi sei tu Faustus, se non un uomo condannato alla morte? ~

Londra, 1589.

Londra pulsava come un cuore. Fu questa la prima sensazione che Julian ebbe della città.

Fuori dalla carrozza la cacofonia di rumori e voci era aumentata a dismisura: si sentivano il richiamo dei negozianti, le urla dei bambini, gli insulti dei passanti e la musica.

Il Conte John Ravensward non aveva fatto caso al cambiamento di atmosfera, ma Julian lo aveva avvertito forte e chiaro e si era sporto verso il finestrino per gettare un'occhiata al nuovo mondo che sentiva respirare.

I suoni divennero forme e colori sgargianti, divennero fango, scampoli di pelle chiara e ceste di frutta matura. Gli occhi di Julian cercarono di cogliere tutto, ogni briciolo di quella vita che aveva solo immaginato e che assaggiava in quel momento per la prima volta.

La carrozza procedeva lenta nella sua corsa verso Buckingham Palace, perché il traffico mattutino era denso, qualcosa che nella provincia inglese si sarebbe faticato a credere. Quello era tutto un altro mondo.

Ad un certo punto, un'orda di giovani si riversò sulla strada, investendo letteralmente la loro carrozza, che si arrestò con una piccola scossa.

«Cosa diamine succede?», gridò John Ravensward, il padre di Julian, picchiando con il suo bastone da passeggio sul soffitto della loro vettura.

Fuori dalla carrozza correvano e schiamazzavano uomini in costume, alcuni abbigliati come donne, il volto bianco dalle guance rosate. Lasciavano volantini agli astanti e li inchiodavano dove trovavano una superficie libera. Una delle superfici più allettanti fu la carrozza dei Ravensward, a giudicare dal rumore di martello che la scosse appena prima che questa ricominciasse a muoversi.

«Bestie» commentò il padre, ma Julian era estasiato. Un amante del teatro come lui vide in quell'attacco di giubilo e arte una sorpresa più che gradita.

Quello sarebbe stato il momento più alto della giornata, o almeno così credeva. Non era certo di cosa lo avrebbe aspettato a palazzo.

Smontato dalla propria vettura a seguito del Conte suo padre, Julian si premurò di recuperare il volantino che avevano affisso sulla carrozza. Lo lesse mentre camminavano verso Buckingham Palace, cieco a tutto ciò che lo circondava per amore della nobile arte della parola.

Si fermò alle spalle del padre, in attesa che fossero guidati alle loro stanze, per prepararsi ad incontrare la regina.

Non si era reso conto che qualcuno lo aveva affiancato, almeno fin quando la locandina non gli venne strappata dalle mani.

Il ragazzo alzò lo sguardo chiaro, un poco oltraggiato.

«L'Ebreo di Malta di Christopher Marlowe» recitò una voce calda, baritonale. «Pare una bella opera... andrete a teatro a vederla?»

Il giovane che lo aveva affiancato era elegantemente vestito, ma non riccamente. I capelli erano biondi, lunghi e indomiti: non aveva di certo l'aspetto di un conte. Eppure lo ammantava un'aura di regalità e mistero che stuzzicò la curiosità di Julian.

«Teatro?» tuonò John Ravensward, lanciando uno sguardo di biasimo ai due giovani. «Non permetterei mai alla mia prole di mettere piede in quelle bettole di perdizione e vergogna», concluse il proprio monologo non richiesto.

Lo sconosciuto accanto a Julian non parve toccato dalle opinioni del Conte, si limitò a sorridergli con saccenza malcelata, per poi chinare il capo in segno di saluto, una riverenza che parve totalmente priva di rispetto.

Con una smorfia di rimprovero, John Ravensward si allontanò, intimando anche al figlio di seguirlo.

Prima che Julian potesse farlo, il giovane irriverente gli sfiorò la spalla, per trattenerlo un attimo in più. «I genitori sanno essere difficili, non accettano l'arte come possiamo fare noi. Generazione ottusa, la loro», commentò, senza trattenere le critiche. «Se deciderete di venire a teatro... chiedete di me.»

«Di voi?»

«Di me. Christopher. Christopher Marlowe». E, detto questo, il drammaturgo gli diede le spalle, riprendendo la via e lasciando Julian alla propria.

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