Capitolo 1

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JULIAN

«Perché l'oblio, Signor Ravensward?» chiese Anne, facendo seguire alle sue parole lo schiocco di un tappo di champagne

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«Perché l'oblio, Signor Ravensward?» chiese Anne, facendo seguire alle sue parole lo schiocco di un tappo di champagne.

Oblivion. Oblio.

Erano giorni, ormai, che Julian gustava e rigustava quella parola sulla punta della lingua. Era una parola che aveva un peso inesprimibile sul suo cuore, ma che ora assumeva tutto un altro significato, pronta a divenire il nome del suo teatro.

Non rispose immediatamente alla domanda della cameriera, ma si prese il suo tempo, sfiorando il labbro inferiore con il dito indice. La sua testa mollemente abbandonata sul dorso della mano, il gomito posato sul bracciolo della poltrona posta nella tribuna d'onore, lo sguardo sulla compagnia teatrale impegnata a provare sullo sfarzoso palco.

«Perché l'oblio...» ripeté Julian, senza portare gli occhi sulla giovane. Non ancora.

«Sì... mi chiedevo perché vi foste rifatto ad un nome che richiama il concetto di oblio. È una cosa singolare» spiegò la donna, rivelando uno spiccato senso critico, che non poteva non stuzzicare l'attenzione di Julian.

L'uomo, però, era distratto. Era distratto dalla propria euforia, dall'aspettativa... e dai battiti del cuore di Anne, che spingevano il sangue a riempirle le arterie, in un turbinio sonoro ed ipnotizzante.

Chissà che sapore aveva il suo sangue. Ognuno aveva un sapore diverso: dolce, salato, aspro, amaro; la varietà dei sentori poteva quasi essere paragonata al vino. Champagne, amarognolo e frizzante; Barolo, vino italiano scuro e corposo; Cabernet, bianco o rosso, con una punta di dolcezza; il Moscato, dolce come il miele... l'odore del sangue della cameriera pareva avere un sentore dolciastro, probabilmente con un retrogusto aspro.

«Signore? Vi ho forse offeso con la mia domanda? Non volevo...» provò ad aggiungere Anne, chiaramente preoccupata, se non mortificata. Julian sollevò una mano a fermare il fiume di parole che sarebbero certamente seguite e, finalmente, portò gli occhi sulla donna dai corti capelli neri.

Lo sguardo dell'uomo era terribilmente penetrante, soprattutto quando la fame gli prosciugava i tratti e lo rendeva meno umano e florido alla vista.

Era tentato di assaggiarla, di far scendere i canini appuntiti, che avrebbero reso la sua bellezza principesca a dir poco selvaggia. Avrebbe approfondito lo sguardo, ipnotizzando con la sua forza mentale la giovane, l'avrebbe fatta inginocchiare al suo cospetto e poi avrebbe passato la lingua sul suo collo abbronzato, appena prima di morderlo con decisione, i gemiti della ragazza a risuonargli nelle orecchie.

«Io...» provò ancora a dire Anne, ma il sorriso freddo e cortese di Julian parve zittirla. Probabilmente, anche senza l'utilizzo della compulsione, la giovane schiava di sangue non si sarebbe fatta pregare troppo per concedersi al suo morso.

«La vostra domanda è arguta, e mi piacciono le persone argute» proruppe Julian, con voce vellutata. Il suo pareva un tentativo di adulazione, ma era piuttosto chiaro che non lo era. Non stava tentando di sedurla, il suo tono di voce era altero, accademico. «Ho scelto il nome 'Oblivion' per il teatro perché, semplicemente, credo che il concetto di oblio sia terrificante» spiegò, osservando i tratti della giovane mutare un poco nello stupore. Solo un uomo totalmente consapevole di sé stesso e del proprio valore poteva ammettere una delle proprie più grandi paure con quella leggerezza d'animo. La paura di dimenticare e di essere dimenticato.

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