Mi chiedo se fra cinque, dieci o vent'anni il mio modo incerto di pormi con il mondo cambierà.
Ho sempre trovato facile nascondere la sensazione di irrequietezza che si cela dietro i miei gesti sicuri.
Ho sempre pensato che mostrarsi sicuri di sé e delle proprie idee sia fondamentale, ma ci sono volte in cui tutto crolla e vorrei soffocare tra i miei sbagli.
Vorrei potermi aggrappare a tutte le mie insicurezze e affondare con loro, vorrei nascondermi nei meandri più tetri di me stessa e stringere la mano ai miei traumi.
Poi mi fermo e penso che forse basterebbe avere coraggio.
Avere il coraggio di accettare ed accogliere i demoni che, alla volte, vengono a bussare alla mia porta.
Avere il coraggio di ammettere che, in fin dei conti, non sono mai stata realmente stabile e soddisfatta e forse non lo sarò mai.
Avere il coraggio di accettare il mio essere così traballante, così indecisa, così tremendamente confusa.
L'accettazione, secondo la psicologia, si basa sulla consapevolezza che uno scopo, un obbiettivo o una situazione sono irrimediabilmente compromessi e non possono essere perseguiti.
E alla fine io ne sono consapevole. Sono consapevole di vivere come se la marea mi stesse trasportando ed io inerme mi lascio cullare.
La fase dell'accettazione, in realtà, dovrebbe svilupparsi, diventando ciò che ti sprona a reinventarti, a metterti in gioco e a rischiare ancora.
Ma io rimango sempre ferma.
Ferma a pensare che, in fin dei conti, a me va bene che il mondo vada avanti mentre io rimango a guardare.
E forse tutto ciò mi fa un po' paura.