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L'esplosione gli fece capire che Eren si era trasformato... gli fece capire che qualcosa era andato storto.
Maledizione! Non dovevamo lasciarci scappare il Titano Femmina!
Quel mostro maledetto aveva richiamato gli altri giganti e si era fatto divorare da loro, pur di non essere preso vivo dalla Legione Esplorativa... Un vero casino.
"Levi" lo chiamò il comandante Erwin "vai a controllare che è successo"
"Ci puoi scommettere" gli rispose il moro, e mirando al ramo di un albero poco distante, si congedò dal superiore.
Vide il sangue sugli alberi, e una brutta sensazione si fece strada in lui: quelli delle retrovie erano già stati uccisi; a rigor di logica, quel sangue sarebbe dovuto essere di...
No, si ripeté, non possono essersi fatti ammazzare da un gigante...
Già una volta lui aveva perduto qualcuno a causa dei giganti... Semplicemente, la sua mente non voleva nemmeno contemplare l'eventualità che fosse successo di nuovo.
Superò il cadavere di Gunther, rimasto appeso a un albero.
Andò avanti.
Sdraiato supino, la bocca spalancata in un grido senza voce, il cadavere di Eldo sembrava chiedergli un aiuto che non era più in grado di dargli.
Proseguì.
Oulo, in una pozza di sangue, sembrava dormire, dormiva un sonno eterno.
Continuò a volare, e atterrò su di un ramo.
Sotto di lui, gli occhi morti di Petra, la schiena e il collo spezzati, lo guardavano.
Fu troppo. Levi volle urlare, liberare quell'umanità che aveva represso per anni, ma doveva portare a termine il suo compito... E continuò a muoversi nel cielo finché non vide il vapore di un corpo di titano in decomposizione. Sperò che si trattasse del Titano Femmina. Pregò ogni divinità che conosceva affinché fosse così.
Anche se la morte non è una punizione sufficiente per quella puttana... constatò poi.
Il corpo del gigante era a terra, la faccia contro il suolo. Non si trattava il Titano Femmina... Era...
Eren!
Improvvisamente, Levi si sentì inquieto: abbandonando ogni forma di prudenza, scese a terra e si approssimò all'enorme cadavere. Il vapore che fuoriusciva da esso era bollente, e gli fece lacrimare gli occhi. Camminò fino a trovarsi sulla nuca del Titano, e lì lo vide: il corpo ricoperto di sangue e piccole ustioni causate dalla temperatura troppo elevata, gli occhi aperti ma privi di vita. Senza sapere perché, Levi ebbe l'impressione che il mondo gli stesse crollando addosso... Trattenendo a forza un ringhio di rabbia, il Capitano sguainò le spade, e recise i lembi di carne bollente che legavano il moccioso. Se lo strinse al petto e saltò lontano da quella matassa di carne ormai priva di utilità. Una volta che furono lontani dal corpo del gigante, Levi voltò il ragazzo in modo da poterlo guardare in viso. Non l'avesse mai fatto: quegli occhi di smeraldo erano sempre stati pieni di una vitalità che Levi difficilmente aveva trovato altrove, e vederli così spenti fu un vero shock... perchè si era innamorato di quegli occhi... e del ragazzo a cui essi appartenevano...
Si diede del demente non appena quel pensiero gli attraversò la mente, ma allo stesso tempo ne riconobbe l'autenticità, pur non sapendo quando e come fosse arrivato.
Gli passarono davanti agli occhi tante immagini di lui ed Eren, a partire da quando lo aveva visto incatenato nella cella in attesa del processo dove poi era stato picchiato da lui stesso, fino al mese che avevano trascorso fianco a fianco come Capitano e soldato: si ricordò del dolore al petto che aveva provato vedendolo ferito e sconvolto dentro al pozzo, e del rossore sulle gote del moccioso la prima volta che lui aveva cercato di confortarlo; gli tornò in mente la morbidezza delle sue mani un giorno in cui l'aveva medicato... il calore ed il profumo della giacca che Eren gli aveva poggiato sulle spalle la notte in cui si era addormento sul tavolo aspettando i resoconti di Hanji sui titani...
"Non mi lasciare" la sua bocca si mosse da sola a pronunciare quella frase smielata che per nulla si addiceva al suo carattere, ma non ebbe modo di fermarla, e si ritrovò ad accarezzare la frangia castana di Eren, mentre due perle d'acqua gli si formavano agli angoli degli occhi.

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Il caldo era troppo, gli dava fastidio, gli bruciava la pelle... Doveva uscire da lì, questo lo sapeva, ma era troppo stanco per riuscire a muoversi, e il calore del corpo del gigante lo avvolse, guidandolo lentamente in un sonno quasi del tutto dissimile dalla morte...
Con quel briciolo di coscienza che gli era rimasta, Eren percepì l'aria fresca del pomeriggio pungergli improvvisamente la pelle ustionata, come se gli fossero stati gettati addosso tanti piccoli spilli, però... pochi istanti dopo si sentì circondare da un nuovo calore, non opprimente come quello del suo corpo di Titano, bensì incredibilmente piacevole... e accompagnato da un odore di pulito... Eren conosceva quell'odore. C'era soltanto una persona che lo possedeva
Levi, credette di aver detto. In realtà lo pensò soltanto.
Erano le braccia del Capitano che lo circondavano, era il calore del suo corpo che lo avvolgeva e il suo profumo che lentamente lo risvegliava... Eren voleva vederlo, voleva annegare negli occhi grigi dell'uomo di cui era innamorato...
"L..." mosse le labbra cercando di articolare quell'unica parola che per lui rappresentava un mondo intero.
"L... Le... Levi..."
Sentendosi chiamare, l'altro chinò lo sguardo sul corpo che teneva tra le braccia.
"Capitano Levi..." lo chiamò ancora Eren, e i suoi occhi ripresero vitalità; aveva un sorriso stanco sul volto.
Le lacrime trattenute fino a quel momento negli occhi del diretto interessato premettero più che mai per venire liberate, ma il moro le ricacciò indietro, come aveva fatto innumerevoli volte fin da bambino.
"Sei un vero idiota, Jaeger: finirai nei guai quando torneremo dentro le Mura" disse invece, e l'altro non ebbe la forza di ribattere. Era davvero morto di stanchezza.
Levi lo prese in braccio come se fosse stato una principessa, una mano sotto le sue cosce e l'altra a reggergli la schiena, e si avviò verso l'avamposto militare della Legione, che non distava molto da lì.
Eren, le mani e l'orecchio premuti contro il petto del suo superiore, si addormentò quasi subito, cullato da quel battito regolare.

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