Heartburn

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La pioggia cessò col passare della giornata e così anche il mio umore cattivo. Otto si era ripreso e mi aveva promesso che non avrebbe più nascosto i suoi segreti con me: decise di rivelare anche cosa accade dopo il suo incidente, il giorno della mostra del suo esperimento. Mi disse che, una volta evacuata la sala e i tutti i presenti (compresa io), sua moglie Rosie, aveva cercato di salvarlo, ma fu respinta. Dopodiché, ciò che diventò un magnete (il sole) fece sì che la finestra si ruppe e i frammenti di vetro, la trafissero con un colpo solo. Otto aveva cercato di avvicinarsi dopo le sue urla, invano, perché in quel momento il suo chip si fulminò. Spiderman era riuscito a staccare le spine collegate ai macchinari e a fermare l'espansione del tritio, dell'uccisione dei chirughi che cercarono di segare le braccia metalliche via dal suo corpo.
Mi raccontò che non riuscì nemmeno a dare una degna sepoltura alla moglie, perché il suo cadavere fu portato via dell'ambulanza prima che lui la vedesse per un'ultima volta, di come si incattivì e diventò la nemesi di Spiderman.. e di come siamo arrivati a questo punto. Gli promisi che saremmo riusciti a rintracciare il corpo della moglie in un modo o nell'altro e a seppellire il suo corpo, come aveva promesso tempo fa lei.

Il passato di Otto mi commosse. Permisi che le lacrime mi scivolarono sulle guance; Otto mi consolò, dicendo che non valeva piangere. Io continuai a pensare che non si meritava quello che aveva trascorso in questi mesi a dir poco traumatizzanti.

"Io ho bisogno di rifare il mio esperimento. Mi procurerò il mio tritio e farò in modo che questa volta non fallisca" promise a sé stesso. Decisi che fu meglio non contrastarlo, come in precedenza. E promisi, ancora, che se avesse bisogno di una mano, io ero lì per lui.

"Devo andare a lezione". Lanciando un'occhiata all'orologio mi accorsi che stavo per tardare al corso di biologia,
"se hai bisogno di comprare qualcosa, una volta terminato il corso, vado a prendertela io".
"Non scomodarti".
"Allora, faccio io per il pranzo?"
"Sì" Sorrise e si rimise in piedi in direzione della sua stanza.
"Okay, vado allora" Controllando che ci fosse tutto nella mia tracolla, con un paio di guanti senza dita, sciarpa calda e cappello e giubbino accennai un sorriso amichevole al mio partner e lui ricambiò. Chiudendomi la porta alle spalle, mi avviai all'università.

Non ne avevo idea,, ma per tutto il tragitto verso l'Uni mi sentì seguita. E non era una bella sensazione. Anche stare con le mie amiche non mi portò via quella sensazione. Forse ero diventata troppo paranoica, ma non mi piaceva quello che stavo sentendo dentro di me. Alla fine cercai di abituarmi a questa sensazione, e una volta concluso il corso di biologia e di scienze psichologiche mi diressi dritta al mini-market dietro l'angolo, con l'intenzione di comprare dei panini al prosciutto e mozzarella. Il problema fu che quel negozietto era collocato in una zona malconcia, non frequentatissima, e ci si poteva rrivare solo a piedi, auto o bus; una volta svoltato l'angolo, lì la luce non arrivava. Stavo per arrivare finalmente al mini-market, quando mi sentì stringere e tirare nella direzione opposta.

Tre ragazzi, dalle facce malvagie, mi spinsero verso un angolino lontano dalla strada e dalla luce. Nessuno dei tre sembrava avere buone intenzioni. Feci di tutto per liberarmi dalla loro presa: mi dimenai, cercai di provare delle tecniche di autodifesa, di stringere le palle di chi mi teneva stretto a sè, ma era chiaro che fossero più forti di me. Andai nel pancio, sapevo che nessuno mi avrebbe soccorsa. Gridare fu una mossa azzardata, perchè la mano di uno dei miei aggressori mi tappò la bocca, l'altro portò il mio corpo al muro e, il ragazzo libero da qualsiasi cosa, si affrettò ad abbassarsi i pantaloni.

Quello che avevo visto fin'ora nei film, ora stava diventando reale. Sgranai gli occhi, realizzando a che fine sarei andata incontro, ma continuai a combattere con tutte le mie forze. Uno dei ragazzi mi dimenò una sberla forte, ma questo non provocò in me una fine. 

Il ragazzo dai pantaloni abbassati fu tirato in alto da quello che mi parve un gancio e scaraventato contro il tetto dell'edificio alla mia destra. I restanti due lasciarono la mia presa e si voltarono per vedere la fine a cui il loro compagno era andato incontro, cominciando a scappare verso l'uscita del vicolo, per essere fermati da chi pensavo non avrei rivisto mai più.

"Meritate, se non altro, solo la morte". 

Un attuatore volò sul viso di uno dei ragazzi e gli fece battere la testa per terra, altri due attuatori strinsero il corpo del terzo ragazzo, mentre il quarto stava stringendo la testa con forza.

Portai una mano alla bocca ancora sotto shock e giurai a me stessa di non aprire gli occhi, finchè quella scena non fosse scomparsa dalla mia vista. Strinsi così forte gli occhi con la paura che fosse solo un brutto sogno e di volermi svegliare immediatamente. Un plop udibile dall'entrata del vicolo echeggiò tra le mura di mattoni rossi e aprì gli occhi: c'era sangue dapperttutto. Sull'asfalto in piccole chiazze, sulle mura a macchie, accanto ai corpi dei miei aggressori. A piccoli passi mi avvicinai ad Otto. Aveva il respiro affannato, stringeva i denti e le nocche, tanto da pensare che fossero diventate viola da sotto il tessuto guantato. Non riusciva a distogliere lo sguardo da me, e io da lui. Li aveva uccisi, aveva schiacciato loro le teste e lacerato gli organi. 

"Cara Mavi..."

Gli occhi mi si riempirono di lacrime e mi gettai fra le sue braccia. Le sue braccia umane mi spinsero verso il suo petto, mentre si sollevò da terra, cominciando a sorvolare con rapidità fra i palazzi, allontanandoci dalla scena del crimine.

"Voglio aiutarti" dissi, d'un tratto. Il dottore lanciò il suo sguardo su di me, confuso. 

"In cosa?"

"Il tuo reattore. Ti voglio sinceramente aiutare, Otto" confessai, con le lacrime ancora agli occhi e il naso colante. Otto mi sorrise calorosamente e mi disse di preparare le valigie.

"Dove andiamo?"

"Nel mio laboratorio. Non siamo al sicuro a casa tua.  Se hai intenzione e dico, per davvero, di offrirmi la tua collaborazione" fermò il suo discorso a metà, stringendo lasua  presa e rallentando di poco, ora senza staccare gli occhi da me, "devi sapere che stai per andare incontro a un rischio elevato. Non si torna più indietro". Ci riflettei per poco, la mia decisione era stata già presa. Allora perchè avevo un bruciore di stomaco quando me lo disse? Assunse uno sguardo di vera preoccupazione: mi stava dicendo che avrei corso dei pericoli, che la mia vita sarebbe cessata col minimo problema. Non era un gioco, glielo lessi negli occhi.

"Se significa fare in modo di ridarti la tua vita, allora sì. Sono con te".

"Fino alla fine?"

"Fino alla fine".



 A Strange Encounter- A Doc Ock story.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora