Confidenze come coltelli

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Seduta, davanti al mare, ripenso a quanto siano fugaci i desideri di noi esseri umani. Ho desiderato così tanto averti qui assieme al frastuono delle onde che s'infrangono ripetutamente sugli scogli che adesso non m'importa più. E non m'importa più della linea all'orizzonte, quella che disegni con l'indice a mezz'aria come fossi ancora il ragazzino di un paio d'anni fa. Non m'importa più del cielo che ti si è incastonato negli occhi e che mi avvolge ogni volta che mi guardi. Non m'importa più di questa spiaggia, dei drink che avrei voluto trangugiare al bar del lido con i capelli sporchi di salsedine assieme ai tuoi amici, i miei amici, i nostri amici, ma che importa, in fondo sono sempre stata sola. Ero io il numero primo. Anche a non saperlo ero soltanto io. Tu lo sapevi, lo sapevi come la più grande delle mie vergogne da custodire sapientemente e da rifilarmi sotto l'aspetto di una lama tagliente alla prima discussione opportuna. "Non è colpa mia se hai scelto di non imboccare alcun percorso. Se non hai fatto tutto quello che avresti voluto. Se non hai visto tutto quello che sognavi di vedere sin da bambina. L'arte, la natura, la vita", hai detto una volta. La vita. Non avevo visto la vita. Per quasi un ventennio sono stata spettatrice delle vite altrui, costretta all'inettitudine dalle circostanze che si erano susseguite. Tu lo sapevi ed hai soltanto aggiunto benzina al fuoco che mi logorava dentro, quella notte, al telefono. Ti avevo chiesto di tornare per una gita nel bosco ché sarebbe stato divertente, che non c'ero mai stata io, non le avevo mica viste quelle distese erbose così fitte. Con una sola frase hai avuto la capacità di spezzarmi. Eppure guardati, sei tornato qui per molto meno, senza il bisogno di organizzare alcuna gita. Spezzarmi e ricompormi, perché di questo sei capace. Ed io allora non posso far altro che odiarti, odiarti a perdifiato mentre vedo i pezzi di me disparsi sul pavimento e amarti con la stessa intensità mentre cerchi di disinnescare la bomba che è già esplosa con quell'espressione così pacata in volto da prenderti a calci e da baciarti l'attimo seguente. Odi et amo, solo adesso capisco il tormento di Catullo.
Quando Lidia non ha risposto alla mia lettera d'invito ho capito che anche lei aveva smesso di essere un numero primo. E che ero rimasta soltanto io. Magari sei tornata in Sicilia dove fioriscono le arance, chissà com'è bella la tua pelle abbronzata adesso e quanti spasimanti avrai a correrti dietro la lunga chioma, penso.

In realtà ti ho portata qui anche per un altro motivo. Il mare calma. Il mare cura

Quindi vorresti curare i miei traumi e questi lividi con l'acqua di mare?

Vorrei che possa esserti da cura per quello che sto per dirti

Ed io davvero non so cosa pensare, non sono pronta a ricominciare tutto da capo, a rientrare nel vortice di quelle tue parole ogni volta che devi parlarmi, che devi annunciarmi una tua imminente partenza, un convegno, un campo di ricerca, perché è di questo che si tratta, no? Ed io sento già il cuore fuggire dalla cassa toracica, incapace di trovare un ristoro.

Ricordi il giornale che leggevi in ospedale?

Non ho mai finito di leggerlo

Perché la foga dei tuoi pensieri te lo ha impedito ed abbiamo discusso, lo ricordo

Dicevi che c'erano delle notizie che non avrei dovuto leggere, non in quel modo

Non in quel modo, esatto. Ecco perché siamo qui

Ma non spettava neanche a te darmele, hai detto

Lo so. Ma tutti hanno insistito affinché fossi proprio io. Perché in fondo non saresti mai salita sulla macchina di qualcun'altro, lasciandoti trascinare fin qui

Tutti si fidano di te. E' sempre stato così. Siamo cresciuti insieme, in fondo

E tu?

Anch'io, anch'io. Altrimenti non sarei qui e non saresti il custode delle mie peggiori confidenze, quelle che più e più volte mi hai ritorto contro. Perché questo significa fidarsi di qualcuno. Fornirgli il materiale necessario per accoltellarti con le tue stesse parole e correre il rischio che lo faccia davvero

La telefonata. Non l'hai ancora dimenticata?

Non l'ho mai mandata giù, a dire il vero. Eppure ti ho perdonato, ho perdonato l'impeto di quelle tue parole, ho perdonato il momento, le circostanze...Ho perdonato e ho continuato a rispondere a tutte le tue telefonate successive anche se faceva male da morirci ed avrei voluto scaraventare il cellulare al suono della tua voce. Ma poi...Sapevo che subito dopo lo avrei ripreso e ti avrei telefonato nuovamente solo per sentire te ed il tuo ego che sputava veleno. Ché non m'importava del male che mi avresti fatto ancora perché mi rendeva viva. Lo capisci che non se ne esce, da storie così?

Non ne siamo mai usciti, infatti

E la tua voce è quasi un sussurro mentre il tuo volto è sempre più vicino al mio ed io non riesco a decifrare le tue mosse, le tue mani a tenermi il volto, il respiro spezzato da quelle che sembrano lacrime e stento quasi a credere che uno come te possa piangere - piangere davvero, intendo - perché un razionalista come te non piange mai, al massimo fa piangere le sentimentaliste come me. E allora piangi Diego, piangi sul mio volto, sulle mie labbra ora che ho anche le tue addosso e proprio non le ricordavo così morbide, dovrai perdonarmi, ma proprio non lo ricordavo e questi tuoi capelli rasati sulla nuca che ti stringo forte che mi mandano in subbuglio le viscere al solo tatto, neanche questi li ricordavo così, e allora quand'è che sei diventato così, amore mio?

QualcosaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora