Thoughts

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Jimin's pov

《È normale che perda sangue?!》

《Rilassati Minnie, si è normale. Tra due ore puoi levare la pellicola e pulirlo.》

L'avevo fatto. L'avevo fatto. Preso dalla pazzia l'avevo fatto. Certo era stato un dolore maledetto ma ero infinitamente soddisfatto.
Il mio costato adesso riportava la scritta nevermind, un po' il sunto della mia filosofia di vita.

Avevo pianto come un bambino, non era stato molto intelligente iniziare con un punto così delicato come prima volta. Jungkook aveva tentato in ogni modo possibile di rassicurarmi, ricordandomi che avevo deciso autonomamente di sottopormi a ciò mentre minacciavo Jay di denuncia.

Dopo essere passati a mangiare qualcosa al volo, decidemmo di appostarci lungo la fine della solita stradina sterrata. Quel luogo era decisamente diverso alla luce del sole, meno magico rispetto alla cognizione notturna che la mia memoria aveva di esso.

Jungkook si stese per primo tra i fasci d'erba fresca, facendo segno di accucciarmi a lui. E come ogni volta, la serenità prese a diramarsi all'interno dell'intero mio essere. Una sensazione per cui non esiste concretamente una definizione, e cercare di descriverla a parole vorrebbe solo dire infangarla.

Quella leggerezza di trovarsi nel posto giusto, quasi predestinato, senza nessun peso addosso, senonché delle possenti braccia che fungono da riparo.

《Jungkook.》 Lo chiamai, mettendomi a gambe incrociate di lato al suo corpo sdraiato. 《Sono successe molte cose negli ultimi tempi, e molte sono le cose che avrei voluto chiederti, ma non trovavo momento adatto per le risposte che avrei dovuto ascoltare.》

《Chiedimi ciò che vuoi piccolo mochi.》

Ero sicuro di essere arrossito. Una cosa bella di quel ragazzone era che il suo charm non mancava mai di fare effetto, come fosse la prima volta, ogni singola volta.

《Quando siamo scomparsi, come avete fatto a trovarci?》

Lo vidi confuso per qualche secondo preciso, a causa della domanda inaspettata. Pensava che non avrei mai più voluto parlare di tutto ciò, ed aveva ragione, ma una delle mie croci più fastidiose era la curiosità senzafondo.

《Sei pronto ad un lungo racconto strappalacrime e irritante?》

Annuii con voga, desideroso finalmente di conoscere l'andamento dei fatti dall'altro lato.

《Bene. Da dove vuoi che cominci? Fammi pensare...Ah la serata alla Stigma. Quella maledetta serata...non hai idea di quanti santi, religioni e lingue io abbia profanato quella notte. Ero pronto ad uccidere, non lo nascondo. Il solo pensiero di premere un grilletto o una lama contro le tempie di un altro essere umano mi ha sempre dato i brividi, dato che ho avuto la possibilità di farlo svariate volte. Ho sempre rifiutato. Ma quella notte...la mia testa si era riempita solamente del desiderio contorto di strappare pezzo per pezzo, la pelle dell'uomo che ti stava portando via da me sotto i miei occhi. Avessi avuto una qualsiasi arma tra le mani, l'avrei fatto. Per te l'avrei fatto. Avrei dovuto scontare anni in prigione? Accuse di omicidio? Avrei incassato tutto a testa alta. Non hai la minima idea di quanto possa aver odiato quell'espressione che feci, prima di separarci. La sognavo ogni notte. Ogni singolo minuto in cui la mia mente era addormentata sembrava quasi ossessionata dal mostrare quell'immagine. I capelli arruffati, gli occhi completamente rossi, le labbra spaccate a sangue dalla paura...non reggevo tutto ciò. Avere il tuo profumo sul cuscino e non te accanto, quasi come fossi un fantasma, penso sia stata la maledizione peggiore. Quante volte mi sono svegliato nel cuore della notte sconvolto, sudato, traumatizzato dal sentire così vividamente il tuo tocco ed accorgermi che fosse solo una mera giocata della mia immaginazione.
Quella notte Chanyeol lasciò Baekhyun al sicuro, per poi portare me, Tae e Sehun a raccogliere Jongin. Stava passando lo stesso. La follia. Non scherzo dicendo che in quel momento eravamo impazziti. La situazione era talmente surreale da sembrare tutto un'allucinazione. Il mio corpo è talmente abituato al tuo che potevo ancora chiaramente percepirlo addosso; mi sentivo pazzo. Jongin era distrutto, incazzato, ma soprattutto armato. Sehun si beccò una pallottola dal suo migliore amico nel tentativo di calmarlo. Ma non ci riuscì prima di uscirne ferito.
Quella notte ebbi per la prima volta paura di Taehyung. Mio fratello, la mia anima gemella, la mia parte complementare, il mio migliore amico. Ebbi paura del suo silenzio. Non parlò né dopo un'ora, né dopo due, tre, quattro, cinque, otto, dieci. Non parlò per un giorno intero. Poi per due. Ed il terzo finalmente, una volta seduti ad un triste tavolo della centrale in compagnia di Yugyeom, disse qualcosa. La sua voce mi fece gelare il sangue nelle vene. Quello non era il mio Tae. Un demone. Se pensavo di aver udito i suoi più bassi toni mi sbagliavo, quella voce proveniva dal più profondo girone dell'inferno, e bramava di uccidere al più presto.
Ebbi paura, ma da un lato lo compatii. Aveva faticato più per ottenere il cuore di Yoongi, che per qualsiasi altra cosa in vita sua. E chiunque aveva osato toccare ciò aveva già un cappio al collo.
Quel giorno Yugyeom avviò le ricerche. Non ufficiali ovviamente. Eravamo due proprietari di una discoteca con movimenti loschi, le teste di due clan ed un gangster. Fortunatamente il mio amico ci diede ovviamente appoggio. Ma ogni singolo minuto, o secondo che passava, quel limbo diventava sempre più scuro. Non riuscivo a pensare lucidamente, non riuscivo proprio a pensare. Il tuo viso mi tormentava, le tue lacrime. Dov'eri? Dove cazzo era il mio ragazzo? Il mio mochi? Il mio amore? Piansi. Tutta la notte. Fino all'alba. Tae mi era rimasto vicino, in silenzio, impaziente. Il tempo era poco per recuperarvi, più passava, più aumentava il rischio che l'irriparabile vi potesse essere successo. E per la prima volta, ebbi paura per Taehyung. Mi giurò, su tutta una serie di elementi che avevano reso la sua vita felice, che se quando vi avremmo ritrovati, perché sarebbe ovviamente successo, avrebbe dovuto tenere tra le braccia un corpo senza vita, se ne sarebbe andato con lui. Provai la più nera, infima, straziante delle paure. Se avessimo perso voi, avremmo perso tutto, avremmo perso noi.
Man mano che le ricerche continuavano, i primi risultati concreti non tardarono ad arrivare. Il colpevole della situazione era stato avvistato in diverse zone, doveva solo essere localizzato il nascondiglio. Le ore passavano e Sehun cominciava a perdere la testa. Parlava da solo in qualche momento, camminando avanti e indietro come un forsennato, poi si incazzava, iniziando a tirare pugni ad ogni superficie trovassero le sue mani. Prontamente, la ferita causata dalla pallottola sanguinava ad ogni colpo. Si malediceva, lanciandosi addosso le peggio macumbe, per non essere stato in grado di proteggere il suo piccoletto addirittura in casa loro.
Facevo viaggi dalla centrale a casa ogni singola ora. Parevo matto, lo ero. Mi strusciavo sulle lenzuola intrise del tuo dolce profumo, ed il secondo dopo minacciavo gli uomini di Yugyeom che se non avessero scovato il posto dov'eri segregato entro quella notte li avrei fatti fuori con le mie mani.
Così fu. Sapevamo dove andare. E lo facemmo nell'esatto istante in cui ci venne comunicato. Al lancio dell'allarme, gangster dei Kim, gangster degli Oh e poliziotti di Gyeom, stavano già sfrecciano verso quella maledetta villa. Non scorderò mai la sensazione che provai una volta sceso dalla macchina, a destinazione. Sentivo fossi lì, dovevi essere lì. Nel giro di pochi secondi si scatenò l'inferno. Spari, spari, spari, spari, spari, spari, spari, spari. Sangue. Sangue a mai finire. In quel momento la mia pietà nei confronti umani era pienamente prosciugata. Chiunque provasse a sbarrarmi la strada veniva atterrato ancor prima che riuscisse nell'intento di fermarmi. Mi ritrovai solo, a sparare come un matto. Sembrava veramente una realtà parallela. Ero davvero io? Mi trovavo realmente lì? Finché smisi di pormi domande, e caddi a terra. Vidi il volto dell'uomo sopra di me spegnersi, per poi rotolare via. E fu lì, che tornai finalmente alla realtà. Alla mia realtà. Ti vidi. Dopo un lasso di tempo infinito. Il viso scavato dalla preoccupazione. Hai continuato a ripetermi frasi che in un momento sentivo, nell'altro no. Una scarica elettrica si diramò all'interno di tutto il mio corpo non appena presi la mia mano, non appena con questa toccai le tue labbra. Non penso di essermi mai sentito in colpa in vita mia come in quell'attimo. Una paura fottuta mi assalì tutta d'un colpo. Adesso ero io a starti lasciando. Percepivo il singolo passare di ogni secondo, cercando di imprimerlo quanto più possibile nella mia memoria. Sarebbe stata l'ultima volta che mi era concesso farlo, dopo tutto. Il dolore della ferita non era niente in confronto all'averti davanti, faccia a faccia dopo giorni infernali, ed essere inerme, da non poterti nemmeno salutare propriamente. Non era la prima volta che avevo paura di me stesso, ma quella volta ne fui terrorizzato. Non mi avresti perdonato. Non mi sarei perdonato. Non potevo andarmene. Ma le palpebre in quell'istante erano così pesanti che le chiusi un attimo, solo uno. Quando le riaprii il tuo viso non c'era. Mi impanicai ma un atroce dolore all'altezza dell'anca mi impedii qualsiasi movimento. E finalmente dopo qualche minuto, potei sentire la tua voce, finalmente. Ma non eri sereno. Piangevi di nuovo, sbraitavi. Ti sentii allontanare, e ancora, la paura prese possesso del mio corpo, il quale stavolta reagì in modo diverso. Rischiando di morire, o forse ero già morto, mi alzai, ignorando il più grande dolore fisico che mai avessi provato. Ti afferrai con quanta più forza e ti baciai. Lì, paradiso. Il resto penso tu lo sappia già.》



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Non toccatemi mi sento emotiva.
Giu









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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 18, 2022 ⏰

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