Lo straniero

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Continuavo a stringermi in quel caldo scialle, nonostante il freddo fosse più pungente del solito. Quella sera non mi tradì. Camminai fino ad arrivare davanti al bosco, ai confini del paese. Avevo voglia di andarmene, anche affrontando i lupi, la notte, i barbari. Volevo il coraggio di mettere un piede in quella selva, per poi correre a perdifiato e non girarmi più.
Rimasi qualche minuto a contemplare il buio della foresta, cercando di far combaciare il mio respiro con quello degli alberi per trovare almeno un po' di pace.
Iniziai a pensare a come potesse essere successo: io, in quella città, così diversa da tutti e così sofferente per questo motivo. Mi aspettava un futuro come quello di mia madre? Avrei dovuto sposare un uomo che non amavo solo per poter fare figli e adempiere al mio "dovere di donna"?
Non poteva essere davvero quello il mio destino. Non poteva essere lì, in quel paese, la fine della mia storia.
Mi sarebbe piaciuto rimanere tutta la notte ad ammirare la calma del bosco notturno, a contemplare il buio di cui avrei voluto far parte, almeno per qualche ora, isolandomi da ogni altro essere che conoscevo.
«Allora è vero quello che dicono.»
La fiamma di una torcia mi arrivò talmente vicina da poterne sentire il calore sul viso. Mi girai di scatto e davanti a me vidi uno degli abituali clienti di mio padre.
«Buonasera anche a voi. Vorrei sapere cosa dicono di me e chi sta spargendo queste voci in giro.»
Lui indietreggiò, puntando la torcia verso di me come se fosse un'arma.
«Che sei una strega, ecco cosa.»
Sembrava che i miei demoni mi seguissero ovunque andassi.
Sospirai e mettendo le mani avanti cercai di calmarlo. I lunghi capelli biondi coprivano le mie spalle come una ragnatela, arrivarono fino ai gomiti quando mossi le braccia e l'uomo davanti a me storse la bocca in un'espressione di disgusto, quando notò che erano tanti e non raccolti. Anche questo era un valido motivo per ritenermi un'eretica. Con i miei compaesani era davvero difficile provare a ragionare.
«Sentite, è possibile che io sia diversa dalle altre ragazze, ma non una strega. Le streghe non esistono.»
Lui incalzò, avvicinandomi la torcia con fare minaccioso. «Certo che esistono e tu sei una di loro! Questa è la punizione che ti meriti. Il fuoco!»
Cercò di colpirmi con l'oggetto in fiamme, ma io prontamente mi spostai e iniziai a correre nell'unica via che conoscevo bene: quella di casa. L'uomo iniziò a urlare quando mi allontanai, richiamando l'attenzione di molte altre persone. Non potevo tornare dai miei, nonostante quello che continuavano a farmi non potevo mettere in pericolo anche loro, quella sera. Corsi a perdifiato, continuando a chiedermi perché i miei compaesani riversassero tutto il loro odio contro di me, perché credessero così fermamente che io fossi una sorta di fattucchiera che danzava nuda nel bosco assieme al diavolo.
Non potevo girare per le strade senza che nessuno posasse il suo sguardo inquisitorio su di me o senza che mi corressero dietro, come successe quella notte. Il terrore che scuoteva il mio corpo mi diede la forza necessaria per correre come non avrei mai immaginato di poter fare e riuscire ad arrivare in un punto abbastanza isolato, nella parte alta della città. Un lavatoio, che di sera fortunatamente era deserto. Tirai un sospiro di sollievo quando mi accorsi che nessuno mi stava seguendo, che avevo fatto perdere le mie tracce; uscii allo scoperto, sedendomi su una roccia nei dintorni della struttura. Non avrei potuto sopportare ancora tali minacce da parte di quelle persone, ma non avrei potuto dire niente ai miei genitori. Non che gli potessero dare ragione, certo, ma non credevo che fossero totalmente dalla mia parte. Non credevo che mi avrebbero protetta se, un giorno, mi avessero portata via con l'accusa di stregoneria. Forse sarebbero rimasti a guardare senza interferire. Sapere questo mi faceva male. Non mi ero mai sentita tanto sola come in quel momento.
Iniziai ad ammirare gli astri, lo facevo spesso quando ero triste e spaventata; guardare la volta celeste mi dava conforto e riuscivo a sentirmi accolta, accettata. Conoscevo bene molte costellazioni e anche alcune stelle, che sembravano cambiare in base alle stagioni. Altre era come se le stessi guardando per la prima volta. La sensazione che mi trasmetteva il cielo stellato era unica. Non solo riuscivo a rilassarmi, guardandolo, ma era come se mi sentissi accettata. Parte di qualcosa di più grande, un progetto che non prevedeva il marcire in un piccolo villaggio, circondata da bigotti o, ancora peggio, essere bruciata o impiccata da loro, in quanto additata come strega.
I miei pensieri fluivano mentre mi stringevo sempre più nello scialle, confortandomi nel suo tessuto morbido, iniziando a sentire un tepore quasi piacevole. Fu in quel momento che il mio cuore sussultò.
«Non dovresti stare da sola, di notte, in un posto del genere.»
Mi girai di scatto e vidi lo straniero. Era dietro di me e i suoi occhi scuri sembravano ancora più profondi visti da vicino, le orecchie a punta erano anormali, ma poteva comunque trattarsi di un qualche tipo di malformazione.
«Avevo bisogno di aria fresca», tagliai, senza dargli troppe spiegazioni. Non volevo avere niente a che fare con un uomo che portava così tante menzogne a delle persone ignoranti.
Mi voltai dall'altro lato e lui, di tutta risposta, fece il giro per guardarmi in faccia.
«Posso sapere qual è il tuo nome?»
«Non vedo perché la cosa debba interessarvi.»
L'uomo si voltò verso il villaggio e, a quel punto abbassai lo sguardo
sulle sue mani: erano grandi con dita lunghe e affusolate. Anche le vene erano molto visibili e aveva delle unghie talmente lunghe da somigliare a quelle di un animale selvatico.
Deglutii.
«Ti ho vista stamattina tra la folla e mi sei sembrata una persona...» fece una pausa e si girò nuovamente verso di me, aspettando che lo guardassi negli occhi per continuare. «... Diversa.»
Rimasi stupita dalle sue parole. Davvero aveva notato quanto io fossi diversa da tutti gli altri perché non ero rimasta ipnotizzata dal suo discorso?
«Diversa dite? In che modo?» Alzò le spalle.
«Non credo di dovermi spiegare. Sembri molto intelligente, non è
necessario.» Si mise a sedere vicino a me, sullo stesso masso, e sembrò fare uno strano verso mentre mi annusava, quasi un grugnito. «Possiamo sciogliere le formalità, non c'è bisogno che tu mi dia del voi.»
Prontamente mi girai verso di lui e notai che eravamo davvero troppo vicini, così presi leggermente le distanze. Guardandolo attentamente, notai come i suoi occhi avevano l'iride molto più larga del normale, nera tanto da farla confondere con la pupilla. Sembrava essere un pozzo oscuro, senza fondo. Dall'apertura delle labbra, invece, si intravedevano degli incisivi anormalmente lunghi e appuntiti. Cercai di abbandonare ogni irrazionalità, di cui avevo la testa piena in quel momento, e continuai a parlargli, cercando di tenere la calma.
«Come posso abbandonare le formalità se non conosco neanche il vostro nome.»
Chinò il capo, come a imitare una sorta d'inchino: «Sariel Velothyr, onorato di conoscervi...»
«Clara. Clara Bianchi», gli porsi la mano e, invece di stringerla, lui fece il gesto di baciarla senza però toccarmi la pelle. Continuai il discorso, facendo finta di non essere impaurita. «Così vieni qui a dispensare menzogne ai più sempliciotti, eh Sariel?»
Una specie di ghigno comparse sulle sue labbra, insolitamente bianche. «Sei acuta, ma non sono menzogne, non del tutto.»
Cercai di sostenere lo sguardo e, prima che potessi controbattere sentii dei passi avvicinarsi alla nostra posizione.
Era lui, l'uomo che stava per scatenare l'ira dell'intera città contro di me.
«Ti ho trovata, finalmente», aveva gli occhi iniettati di sangue e digrignava i denti come un cane inferocito, però, appena vide Sariel alzarsi e andare verso di lui, sembrò calmarsi di colpo.
«C'è qualche problema?»
Iniziò a balbettare, come se fosse un bambino spaventato dopo aver compiuto una piccola malefatta.
«N-no, s-signore», mi indicò, il braccio tremava per la presenza dello straniero, oppure perché credeva di essere sotto un potente incantesimo fatto proprio da me. «Lei... lei è una strega!»
Sgranai gli occhi. Sariel rise.
«Venite, caro, vi accompagno a casa. Dovete essere molto stanco...» Si allontanarono insieme e io rimasi lì, in silenzio, ferma a pensare
a quale influenza avesse sulle persone più deboli. A come li avesse plagiati in poco più di una giornata e tremai all'idea di ciò che avrebbe potuto fare, manipolando in quel mondo le loro piccole menti.
Non riuscii a capacitarmi di come lui potesse essere così strano e inquietante fisicamente, ma allo stesso tempo riuscisse ad attrarmi mentalmente. Forse avevamo qualcosa in comune. Forse le nostre storie erano simili sebbene distanti.
Dovevo approfondire la sua conoscenza e capire perché mi sentissi in quel modo al suo cospetto. Sicuramente non era una brava persona, però non mi faceva sentire sola in quel paese. Finalmente avevo qualcuno con cui parlare, qualuno che non mi vedesse come una strega solo perché avevo una mente più aperta.

Velhot  Il Maestro delle animeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora