Continua la ricerca.
Strano come sia così decisa a trovare qualcosa o qualcuno, non sapendo neanche di cosa si tratti.
Eppure io continuo, e credo la mia determinazione sarà l'ultima ad essere annegata dalla tristezza.
Inizio a credere che la vita sia un flashback continuo.
Le giornate si ripetono senza uno scopo ben preciso.
Sto cominciando a capire cosa significa sopravvivere. Sopravvivere perché di certo questo non lo si può chiamare vivere, anzi, trovo tutto questo un lieve abbandonarsi alla monotonia di tutti i giorni.
Oggi mi sono svegliata con una strana sensazione, una specie di luce si era accesa dentro di me, forse è azzardato chiamarla "macchia di felicità", ma io è proprio così che la definirei.
Un piccolo puntino bianco in quel mare di nero, in mezzo a tutta quella tristezza che sembrava essere intangibile.
Appena ho aperto gli occhi ho notato qualcosa di strano.
L'immensa distesa di vuoto sulla quale ero stabile, sulla quale dormivo, camminavo, era diversa quest' oggi.
Appariva lucida, come se qualcuno ci avesse passato un bel po' di cera.
Ma la cosa strana è stata che, per accorgermi della lucidità, ho visto dei riflessi, il che vuol dire che c'è stata, anche per pochi attimi, anche se lontana, una luce.
La cosa mi ha fatto sentire come mai prima, la mia speranza era tornata.
Oramai sono da così tanto tempo qui che per me l'assenza di novità, l'insensato, è normalità. Qui è tutto così normale e assurdo allo stesso tempo.
Mi sono alzata di soprassalto, presa da quella macchiolina di felicità che sembrava essersi fatta strada fra la tristezza.
Ho iniziato a camminare, come al solito, senza meta, nel vuoto.
Il mio passo però era diverso: più delicato, meno frenetico, ma più deciso.
Mentre procedevo con la mia consueta passeggiata, se così la si può chiamare, ho urtato contro qualcosa, piombando precipitosamente sulla distesa di nero sottostante.
Avendo le mani avanti sono riuscita a non sbattere di faccia.
Mi sentivo fragile ma allo stesso tempo sovrastata dalla voglia di sapere cosa fosse stato a provocare la caduta.
Mi sono girata iniziando a toccare il "pavimento" freneticamente, quasi come ricordo facessi quando mi cadevano i ganci degli orecchini sotto il letto.
Niente. Assolutamente nulla, come sempre.
Non c'era l'ombra dell'ipotetico oggetto che avrebbe potuto farmi inciampare.
So benissimo che qui le ombre non esistono, essendo in assenza di luce, ma insomma, si fa per dire.Ero delusa, potevo aver trovato qualcosa, o magari ciò che mi serviva per uscire da qui, una chiave, o qualcosa che mi avrebbe aiutato, o anche semplicemente qualcosa.
Ma niente.La macchia stava cedendo, il nero era troppo potente.
Io ci credevo, ci credevo davvero in lei.
Perché solitamente ciò che è in maggioranza fa da sfondo.
Ma stavolta ha fatto la forza.
Ho cominciato a gattonare avanti, debole.
Nel mio avanzare in mezzo a quella monotona superficie liscia, il polpastrello del mio dito indice destro ha avuto il piacere di incontrare un piccolo tratto di diversità.
Ruvido, linee ruvide.
Come dei graffi fatti con una chiave.
Ce ne erano tante.Sembrava una scritta, un messaggio.
Ho intrapreso a seguire ogni singola linea con le dita.
Ho imparato a leggere tramite il tatto da quando mi trovo qui, avendo un bracciale con una targhetta con delle lettere incise sopra.
Come fossi cieca, sì. In fondo non c'è molta differenza tra l'esser ciechi e trovarsi in un posto privo di luce."Oblivion".
Questo era ciò che c'era scritto.
Credo fosse il nome di questo posto.
Ho notato che sotto quella enorme scritta, ce n'era un'altra più piccola, che ora non ho alcuna voglia di "leggere". Sono stanca, è stata una giornata strana per me, piena, per la prima volta.
Sapere il nome di questo posto non cambia nulla.
Tante novità inutili oggi, ma le cose accadono per un motivo, quindi credo siano sempre utili in qualche ambito.
Chissà, forse sono segnali, segnali che qualcosa sta cambiando.
Questo luogo ora è meno ignoto, ma più misterioso.
Spero fortemente cambi qualcosa, non ne posso più di questo buio.