Parte tre.

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La jeep era fuori. Matteo avrebbe voluto controllarla, ma un paio di minuti al sole potevano ustionare la pelle. Valutò d'indossare uno degli impermeabili dei predoni, ma emanavano un tale tanfo di sudore e sudiciume da fargli venire la nausea.
Il problema dei predoni era il fatto che spesso lavoravano in gruppi e il continuo ronzio che sentiva provenire da dentro l'auto era probabilmente un tracciante gps o radio che serviva agli altri per localizzarli.
«Adesso che si fa?» chiese Filippo.
«Non lo so. Se qualcuno li venisse a cercare troverebbe noi e sarebbe un problema».
Continuava a pensare a una possibile soluzione, ma per quanto si scervellasse, il suo sguardo continuava a cadere sulla pila di impermeabili buttata in angolo.

Cristo! Pensò mentre si dirigeva in quella direzione.
Il tanfo era ignobile, quei teli di plastica avrebbero potuto stare in piedi da soli tanto erano incrostati di sudiciume.
Ne prese uno e se lo buttò addosso. Un paio di fori in prossimità degli occhi gli permettevano di vedere qualcosa. E per fortuna, perché la puzza gli aveva messo fuorigioco il naso.
Uscì e sentì la temperatura aumentare. Aprì la portiera e saltò dentro l'abitacolo.
All'interno era bollente e si ritrovò ben presto a sudare copiosamente. Con quel caldo rischiava un collasso in pochi minuti. Provò a mettere in moto la jeep ma mancava la chiave.

La cercò ovunque senza trovarla.
Uscì di corsa e si tuffò all'ombra del palazzo, camminando rasente al muro ed entrando da una finestra rotta.
Dentro Filippo stava seduto su un vecchio comodino.
«Trovato qualcosa?»
«Non ci sono le chiavi»
«Devono averle nascoste quando sono entrati» disse Filippo.
«Probabile».
«Ora che si fa?»

Non potevano restare lì, questo era certo. Il palazzo si trovava in un punto isolato a circa un chilometro dalla città. Un posto relativamente tranquillo, ma ora potenzialmente pericoloso.
«Bisogna andare in città e nasconderci lì».
«Fuori c'è il sole» disse Filippo dubbioso.
«Ci copriremo con gli impermeabili».
«In città ci sono i mutati».
«Beh, in un certo senso lo siamo anche noi».
«Sì, ma quelli si mangiano le persone».

Ed era vero. La città era piena di creature mutate dall'inquinamento e dalle radiazioni. Alcune lo erano così tanto da non riuscire più a capire cosa fossero in origine. Ma Matteo avrebbe potuto individuarle prima che fosse troppo tardi e Filippo sarebbe stato in grado di gestire eventuali problemi. Quello che non avrebbero potuto fare, invece, era tenere testa a un gruppo di banditi organizzati e bene armati.
«Si va in città» disse, infine, Matteo.
Filippo afferrò due impermeabili e li usò per coprirsi. Il suo corpo oversize era duro e resistente come una quercia, ma non poteva nulla contro le ustioni solari. Entrambi erano pronti per attraversare il chilometro di sole, sterpaglie e imprecazioni che li separava dai primi edifici.

Uscirono allo scoperto e si misero a correre. L'andatura da tenere era sostenuta ma non esagerata, dovevano percorrere la strada velocemente ma senza sfinirsi. Arrivarono fino al canale che circondava la città. Un condotto di cemento profondo quattro metri e largo tre. Una specie di confine artificiale. Sul fondo alcune carcasse marcivano al sole, emanando un fetore degno dello schifo che vedevano. Filippo afferrò Matteo bloccandolo sotto l'ascella come si farebbe con una baguette e spiccò un balzo. I potenti muscoli delle gambe lo spinsero ben oltre il fossato, facendoli atterrare sani e salvi. Continuarono la corsa fino al primo edificio. Entrarono passando dalla porta aperta e si ritrovarono in un grosso atrio con una scala che saliva verso l'alto.

Finalmente Matteo si tolse l'impermeabile e respirò l'aria pulita. Rabbrividì un secondo dopo, quando sentì un'alitata sulla nuca.
Si girò e si ritrovò davanti al muso di un cane. Era grande abbastanza da staccargli la testa in un solo morso, il corpo era cresciuto in modo diseguale: le zampe posteriori, grosse e muscolose, sorreggevano l'intero peso della creatura che si bilanciava con la coda. Mentre la parte anteriore era rattrappita, nella disgustosa parodia di un cane T-Rex. La creatura aprì la bocca per assaggiarlo, ma Filippo fu più veloce colpendolo con un pugno. L'impatto fu simile a quello di un tronco d'albero che colpisce un sacco da box.

Il cane-tirannosauro venne sbalzato via e andò a sbattere contro al muro, si rialzò in piedi guaendo e corse fuori dal palazzo.
«Ma non avevi detto di riuscire a localizzarli?!» chiese Filippo.
«È colpa della puzza che fa sto coso, riuscivo solo a non vomitare lì sotto!» rispose Matteo, calciando via l'impermeabile.
In quel momento, però, alle sue orecchie sensibili arrivò il rumore di diverse automobili in movimento. Non c'erano dubbi sulla loro origine.
«Stanno arrivando» disse.

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