Capitolo 1

41 2 0
                                    

«Tieni duro, stanno arrivando a darci una mano» le sussurrai tenendola ancora più stretta a me.

Non ero bravo a dare il giusto peso a chi avevo affianco. Per la maggior parte della mia adolescenza ho sempre vissuto in mezzo a tutto quel caos che si sentiva ogni volta che partecipavo a qualche manifestazione complottista che organizzava la mia scuola. Ero un tipo molto socievole, se vogliamo dirla tutta, ho sempre amato passare il mio tempo in compagnia delle persone che sapevano stare con me, fino a quando alla soglia dei miei ventinove anni, il continuo vociferare nella mia testa mi faceva completamente perdere il sonno ogni volta che cercavo di addormentarmi. Avevo il corpo a pezzi, dovuto dalla mia brillante idea di andare a fare un giro in canoa durante i giorni di riposo che mi ero preso dal lavoro. Una pila di fogli mi fissava in lontananza dal minuscolo tavolino che avevo comprato apposta per cercare di mantenere ordinato il mio appartamento, un compito che avevo fallito miseramente con l'intento di diventare un po' più organizzato. Non avevo ancora dato un occhiata a nessuno di tutti quei fascicoli che cercavo di archiviare giornalmente per evitare di sprecare le mie giornate seduto. Sentivo la voce nella mia testa del signor Ryan farneticare sul lavoro che non avevo ancora svolto, ma anziché alzarmi per darmi da fare, cercai nella tasca della mia giacca tutto ciò che riusciva a darmi maggior sollievo, le sigarette. Era un'abitudine pessima che non riuscivo a togliere, ma con il passare degli anni avevano iniziato a non recarmi nessun danno, sopratutto dopo tutto ciò che mi passava nella mente. Il sole stava lentamente salendo nel cielo, illuminando l'appartamento con una luce calda e invitante. Era un contrasto stridente con il mio stato d'animo cupo e inquieto. Accesi una sigaretta, guardando fuori dalla finestra. La città si stava svegliando, i rumori del traffico mattutino riempivano l'aria e la vita riprendeva il suo corso normale. Ma nulla di ciò che vedevo sembrava normale per me. Sentire il vuoto è una dannazione delle persone sole, un centro caotico dove il buio pervade persino l'anima. Il fumo sapeva di libertà, quell'enorme nuvola che si dissolveva nell'aria mi trasportava verso il sapore amaro di vivere nella pace. All'improvviso, sentii un rumore provenire dalla porta d'ingresso. Mi irrigidii, cercando di capire se fosse solo la mia immaginazione o se davvero qualcuno stava arrivando. "Forse è finalmente arrivata la nostra salvezza" pensai, mentre il cuore iniziava a battere più forte. La maniglia della porta si mosse lentamente e la porta si apri, rivelando l'ennesima delusione: era solo il vento che l'aveva spinta. Nessuno stava arrivando. Guardai la stanza vuota, il caos intorno a me sembrava rispecchiare perfettamente il mio stato d'animo. Sentii un'ondata di solitudine travolgermi. Mary non c'era, non era mai stata lì. Era solo un ricordo, una voce nella mia testa che mi faceva compagnia nei momenti di disperazione. Sospirai, gettando la sigaretta nel posacenere traboccante. Mi resi conto che, se volevo davvero qualcosa, dovevo farlo da solo. Non potevo più aspettare che qualcuno arrivasse a salvarmi. Mi alzai lentamente, cominciando a raccogliere i vestiti sparsi per la stanza e a lavare i piatti accumulati nel lavandino. Mentre l'acqua scorreva, sciogliendo lo sporco e il grasso, sentii un leggero senso di pace insinuarsi in me. La luce del sole inondava la stanza, illuminando il mio lavoro e, per la prima volta da molto tempo, mi sentii come se stessi facendo un reale progresso. Ero solo, ma forse, finalmente, stavo imparando a convivere con quella solitudine. Mentre sistemavo, la mia mente tornò inevitabilmente al lavoro che mi aspettava. I fascicoli accumulati sul tavolino erano una testimonianza della mia procrastinazione. Ero un avvocato, con una carriera costruita a fatica a Birmingham, ma recentemente avevo perso la passione e la determinazione che una volta mi spingevano a dare il massimo. Il signor Ryan, il mio capo, non aveva torto nel farneticare: il lavoro era rimasto indietro e la mia reputazione ne stava soffrendo. Da quando Carol era partita per New York sembrava tutto andare a rilento, tranne lui, che non vedeva l'ora di sedersi alla sua scrivania a dirigere noi prodi cavalieri verso nuove battaglie. Carol era stata il pilastro fondamentale e la mia musa ispiratrice contro i problemi, sempre pronta a risolvere ogni cosa con una calma e una determinazione invidiabili. La sua assenza aveva lasciato un vuoto che nessuno di noi era riuscito a colmare, e io in particolare sentivo di essere alla deriva senza la sua presenza rassicurante. Mi sedetti al tavolino, aprendo uno dei fascicoli. Mentre leggevo, i ricordi di Mary tornavano a farsi vivi. Mary, la mia Mary, che non c'era più. Quella notte mi aveva strappato via tutto. Nessuno sapeva cosa fosse veramente successo, e portavo il peso di quel segreto come una catena invisibile che mi soffocava. Cercai di concentrarmi sul lavoro, ma i pensieri continuavano a distrarmi. La colpa e il rimorso erano come appigli che mi tenevano legato al passato. Gettai la penna a terra e accesi un'altra sigaretta, cercando di calmare i nervi.

"Devo smetterla di tormentarmi", mi dissi, ma le parole suonavano vuote anche a me stesso. La verità era che non sapevo come andare avanti. Decisi di fare una pausa e uscire per prendere una boccata d'aria fresca. La maglia grigia che avevo indosso non aveva un buon odore e il mio aspetto a dir poco arrugginito, rendeva di me un uomo senza speranza. Le strade di Birmingham sono il rifugio in cui mi sono costruito una vita. Mentre camminavo, osservavo la città che si svegliava, i suoi abitanti che si affrettavano per raggiungere i propri impegni. Mi chiedevo se qualcuno di loro potesse comprendere il peso che portavo sulle spalle, se qualcuno avesse mai vissuto la stessa solitudine e il senso di colpa che mi opprimevano. Il vento leggero mi fece scappare un leggero ghigno mentre attraversavo le vie familiari di questa città che un tempo chiamavo casa. Ma ora, persino queste strade sembravano estranee e fredde, come se avessero perso ogni traccia del mio passato e delle mie speranze. Mi ritrovai davanti al parco, il nostro parco, dove avevamo trascorso tante giornate spensierate, ridendo e scherzando come se il mondo non avesse mai avuto fine. Era qui che tutto era cambiato, che un destino crudele ci aveva strappato l'un l'altro senza preavviso, lasciandomi con un vuoto che nessun'altra cosa avrebbe mai potuto colmare.

"E s'abituava a disfarsi di tutto, per non aver più niente da perdere." J.W.Goethe

Mi sedetti su una panchina solitaria, lasciando che i ricordi si accomodassero in superficie. Rivedevo il suo sorriso, sentivo la sua mano nella mia, e il dolore si faceva spazio con una violenza rinnovata. Avevo cercato di soffocarlo, di ingoiare il passato per vivere un nuovo presente, ma era come se quel tragico evento continuasse a uccidermi, a farmi rivivere ogni istante con una nitidezza che faceva male. Chiusi gli occhi, cercando di respirare profondamente, cercando di trovare un barlume di pace interiore che sembrava sempre sfuggirmi di mano. Ma era difficile, cosi difficile, quando ogni battito del mio cuore mi ricordava ciò che avevo perso. Il telefono mi vibrò in tasca con una strana notifica mai sentita prima. Conrad mi aveva convinto ad installare una di quelle strane app d'incontri per "distrarmi", ma finora non avevo mai dato ascolto ai suoi consigli. Con un sospiro, tirai fuori il telefono e sbloccai lo schermo. C'era una notifica da un'app chiamata "HeartLink". Con un misto di curiosità e scetticismo, aprii l'applicazione e mi ritrovai davanti a profili di persone che cercavano qualcosa di simile a me: una via di fuga dalla disperazione. Scorrendo tra le foto e le descrizioni, mi resi conto che non ero solo nel mio dolore. C'erano persone che stavano cercando di ricominciare o solamente un momento per divertirsi. Con un gesto deciso, selezionai il profilo di una donna che sembrava avere un sorriso sincero e uno sguardo gentile. Il mio dito schiacciò due volte tanto che il messaggio partì da solo. Dannazione Conrad. 

Oops! Scusa, sembra che il mio dito abbia deciso di prendersi gioco di me e inviarti un messaggio per conto suo. Non volevo disturbarti, ma ora che siamo qui, come va?

Mentre scrivevo il messaggio, mi sentivo un po' imbarazzato ma anche eccitato all'idea di riprendere a conversare con qualcuno.

Ahaha, nessun problema! Il mio dito fa lo stesso scherzo ogni tanto. Sono contenta che tu abbia deciso di "sbagliare" e scrivermi :)

Sorrisi non appena la notifica mi avvisò della risposta.

Gli addii sono sempre il pezzo mancante per ricominciare da zero, ma come si ricomincia? Mi sentivo come un naufrago in un mare di incertezza, alla ricerca disperata di una terraferma che sembrava sempre più lontana. Ogni parola scambiata, ogni silenzio che seguiva, era un altro passo nel buio, un altro frammento del mio cuore spezzato. Ma la realtà era implacabile, e il peso delle mie speranze infrante si faceva sempre più oppressivo. Con un nodo in gola e gli occhi lucidi di lacrime non versate, mi preparai a rispondere, consapevole che anche nel dolore c'era una forma di rinascita, un fragile barlume di speranza che illuminava una nuova resurrezione.

The scarred man Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora