Il sogno di Simone

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"Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso, né intorno a sé e, quindi, perde il rispetto per se stesso e per gli altri."
~Fedör Dostoevskij
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"C'era una cosa che avrei voluto fare." mormora Simone alla notte.

Si schiarisce la voce, e così schiarisce anche il cielo. Manuel segue la sua bocca che si muove, le labbra bagnate dalla lingua e dal nervosismo, il suono delle corde vocali che vibrano. Gli arrivano al cuore parole illogiche, di forma astratta, poco chiara. Ci mette tempo a registrarle, a comprenderle.

Poi, però, capisce.

Anche Simone aveva un sogno infranto.

"Che?" domanda quindi, sinceramente incuriosito.

Simone rilascia un lungo sospiro. Fissa le stelle, che bruciano, che accarezzano le sue guance sbiadite con la loro luce. Desidera toccarle con mano, per un attimo, pur avendo la consapevolezza che ne rimarrebbe polverizzato.

È questo, poi, il problema di quello brilla troppo.

Spesso e volentieri, non si può toccare.

Il sogno di Simone erano proprio le stelle, per giunta. Creare qualcosa che le potesse raggiungere, permettere all'uomo di visitare un cielo blu, proprio come quello che lo sta abbracciando. Unire l'universo alla matematica, mandare l'uomo a scoprirlo con le sue invenzioni.

Il sogno di Simone erano gli Stati Uniti, un paese troppo grande per una mente tanto piccola.

E irraggiungibile quanto le stelle, a tratti.

"Ingegneria Aerospaziale. A Stanford."

Manuel solleva un sopracciglio. Dapprima, è colpito dall'ambizione di Simone. Ha sempre saputo della sua passione per matematica, ma non credeva che ne fosse appassionato fino a quel punto. Eppure, l'unico sogno che è riuscito a modellare, l'unico vero bersaglio della sua freccia è quello. Vivere il mondo nella maniera che più ama: abbracciandolo con i numeri.

Poi, si ferma a riflettere. Ripete più volte la parola Stanford nella sua mente, analizzandola, spezzandola, seguendone i contorni. Ma nella sua testa, nonostante questo, non trova niente che le assomigli.

Arriccia le labbra, confuso.

"Che è Stenford?"

Il tentativo di Manuel di pronunciarlo con un accento corretto fallisce miseramente. Simone, in un primo momento, è interdetto; non realizza subito cosa l'altro abbia appena detto.

Quando lo capisce, però, scoppia a ridere.

"Ao-me dici che ce sta de tanto divertente?"

Manuel si finge offeso, piega le labbra in una curva non sorridente. Assottiglia lo sguardo, prova a fare il freddo, il distaccato.

Non ci riesce.

E Simone, notandolo, ride ancora di più.

"No n'cazzo," singhiozza. "è solo che mi fa ridere che ci provi pure a dirlo bene in inglese. Ti prego non farlo però-non ti riesce."

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