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Mi chiesi più di una volta perché i miei genitori dovessero comportarsi in quel modo. Ero consapevole del fatto che non gli piacevo: in effetti chi poteva davvero amare una figlia grassa, strana, dislessica e che non aveva alcuna voglia di studiare? Non davo loro alcuna soddisfazione, d'altronde.

Mi incamminai verso la fermata dell'autobus che distava a non più di cento metri. I pensieri continuavano a vorticare nella mia mente. Sapevo di non piacere ai miei genitori ma, perché ogni giorno dovevano mettere il dito nella piaga? Lo sapevo già da tempo e sapevo anche che qualunque cosa avessi fatto sarei per sempre rimasta la figlia grassa, dislessica e svogliata. La consapevolezza di non essere amata mi lacerava il cuore giorno dopo giorno, sempre di più.

Arrivai alla fermata e mentre aspettavo l'autobus mi infilai gli auricolari nelle orecchie e premetti play sullo schermo del cellulare. Gli Imagine Dragons suonavano a massimo volume e mi diedero un po' di sollievo dal mio troppo ragionare.

I ragazzi che stavano aspettando l'autobus con me ormai li conoscevo come le mie tasche. Ricordavo ogni cosa: Sergio aveva una ragazza di due anni più giovane davvero molto bella e che frequentava il liceo classico ma che lui voleva lasciare perché la reputava appiccicosa, Margherita voleva farsi fare dall'estetista le unghie bianche con disegnati dei palloncini rossi e Greta era innamorata di Rachid, di un anno più grande, ma che non ricambiava i suoi sentimenti. Se nel tragitto da casa a scuola non potevo rifugiarmi nel mio mondo, potevo vivere la vita degli altri, che mi sembrava molto più spensierata della mia.

Non avevo detto a nessuno del mio compleanno quindi non mi aspettavo auguri da parte di qualcuno, se non dalla famiglia. Ed era meglio così, odiavo stare al centro dell'attenzione.

Scesi dall'autobus e percorsi il resto della strada che mi separava dalla scuola guardandomi le scarpe e distraendomi dall'inevitabile incontro con compagni e insegnanti con la musica. Ad ogni passo che facevo il battito del mio cuore aumentava e con quello cresceva anche l'ansia. Non riuscivo a pensare a nient'altro che alle mie preghiere che mi attraversavano la mente in loop e dicevano "Ti prego fa che oggi vada bene".

Poco più avanti vidi alcuni miei compagni di classe e rallentai il passo, non volevo che mi vedessero. Sospirai sapendo che l'incontro ci sarebbe stato comunque da lì a qualche minuto ma, in ogni caso, non li raggiunsi.

Lo stabile rettangolare e grigio, tanto rassomigliante ad una prigione, campeggiava davanti a me. Salii le scale molto lentamente come se avessi le gambe di piombo. L'ansia ormai aveva preso il possesso del mio corpo e non riuscivo più a ragionare. La familiarissima sensazione di dover sopravvivere e di lottare con le unghie e con i denti per uscirne viva ancora per un altro giorno mi aveva afferrato il cuore e il cervello, stringendoli dolorosamente.

Entrai in classe e presi posto in prima fila cercando di rendermi il più piccola possibile. Ma la mia stazza è i miei capelli rossi non aiutavano nell'impresa. Avevo scelto quella postazione perché almeno durante le ore di lezione i compagni non mi tormentavano per paura della reazione dei professori. Inoltre, per un concetto di psicologia inversa che non avevo ancora compreso a pieno, la maggior parte degli insegnanti guardavano molto di più quelli seduti in fondo alla classe. Forse perché si aspettavano che non prestassero attenzione a prescindere. Quelli in prima fila li guardavano poco, per fortuna.

Avevo lettere la prima ora e, purtroppo, quella professoressa mi vedeva fin troppo bene. Mi avrebbe visto benissimo anche se mi fossi mimetizzata con l'ambiente. Ogni volta che ne aveva occasione mi faceva leggere davanti a tutta la classe.

Ma era inutile che mi preoccuppassi della docente di lettere, in quel momento era l'ultimo dei miei pensieri. Micol stava camminando nella mia direzione con un sorrisino stampato in faccia per nulla rassicurante. - Hey Fiona! Sei pronta a reggere? -. Io non risposi e non colsi la provocazione - Oh, scusa, leggere! Stando vicino a te mi orchizzo ogni minuto di più! Dev'essere divertente essere analfabeta e non capire nulla di quello che leggi -
- Ma lei è un'orchessa analfabeta! Non sa leggere! - rise Vanessa. Micol rise sguaiatamente.

Abbassai la testa - Non sono analfabeta, sono dislessica - bisbigliai tra i denti.
- Hai detto qualcosa? - chiese sorniona Micol.
- Avrà detto qualcosa in orchese! - starnazzò Vanessa.
- Voglio sapere cosa hai detto, Fiona - io non aprii bocca. Ero terrorizzata, non sapevo cosa fare. Rispondere avrebbe significato bullismo immediato, non rispondere avrebbe significato bullismo a scoppio ritardato.

Raccolsi ogni grammo di coraggio presente nel mio corpo e dissi - Non sono analfabeta, sono dislessica -
- Adesso vi chiamano così? - scoppiò a ridere Micol - Dov'è il certificato? Se fossi dislessica dovresti essere certificata, no? - chiese Vanessa acida. Ecco, lo sapevo. Mi ero imbarcata in una situazione dalla quale non sarei più riuscita a venire fuori. Decisi di tacere, mi vergognavo troppo a dire che mia madre non voleva farmi certificare. Micol aprì la bocca per dire qualcos'altro ma la professoressa di lettere entrò in classe.

Ancor prima che si sedesse, Erica, la miglior studentessa della classe, fluttuò verso la cattedra per consegnarle una tesina redatta di sua spontanea volontà sugli usi e i costumi dei popoli indigeni della foresta amazzonica. La professoressa la ringraziò e la congedò. Si sedette e ordinò - Andate tutti a pagina 113 -
Alessandro Manzoni: vita e opere. Recitava così il titolo in cima alla pagina.

Automaticamente seguii le indicazioni della professoressa ma avevo la testa su quello che era appena successo. Avrei dovuto dire alle mie compagne di smetterla di chiamarmi come la moglie di Shrek.

- Alice, leggi per noi per favore - mi sentii chiamare. D'un tratto venni strappata alle mie deprimenti elucubrazioni e il cuore cominciò a battermi all'impazzata. Sentii che la sudorazione aumentava e la bocca mi si seccava. Alzai lo sguardo verso l'insegnante che annuì. La odiavo! Perché doveva farmi leggere in continuazione? Perché voleva che mi rendessi ridicola davanti a tutti?

Deglutii aria. Trassi un respiro profondo e cercai di calmarmi. Aprii la bocca e cominciai a leggere.
- Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1875 da... -
- 1785! - mi corresse scocciata la professoressa. Sentii sghignazzare alle mie spalle. - Sì, scusi - sussurrai.
- Nacque a Milano nel 1785 da Giulia Becco, figlia del... -
- Alice! Insomma, concentrati! È Giulia Beccaria, non Becco! -. Le risa divennero sempre più forti, e con loro la mia umiliazione.

- Silenzio! - tuonò la professoressa
- Continua, Alice - mi disse. Il chiacchiericcio si affievolì. Sentivo le lacrime fare capolino dagli occhi.
- Figlia del luminoso Cesare... -. La professoressa scattò in piedi, il viso una maschera di rabbia. - Mi prendi in giro? Era un'illuminista, non una lampadina! - il resto della classe scoppiò a ridere. Mi sentivo addosso gli occhi di tutti. Era una sensazione che detestavo. Perché aveva dovuto farmi leggere? La professoressa si risedette e con aria grave disse
- Dammi il libretto - io tremante mi diressi verso la cattedra con il libretto in mano.
- Voglio vedere i tuoi genitori -.

Ecco, bene! Sapevo già cosa mi sarebbe aspettato a casa, e non sarebbe stato per niente piacevole.

Passai il resto delle tre ore a testa bassa piangendo sommessamente. Fortunatamente le due ore dopo quella di lettere erano state tenute dalla professoressa di psicologia. Lì non me la cavavo male. La mia media era un 6 e mezzo. Piuttosto che un'insufficienza era meglio una sufficienza stiracchiata. E la mia teoria dell'alunno in prima fila, con quell'insegnante, funzionava perfettamente.

Quando arrivò l'intervallo venni circondata, di nuovo, da Micol e la sua amica.
- Dammi la merenda - mi aggredì la ragazza. Io feci finta di non sentire
- Dalle la merenda - le venne in soccorso Vanessa.
- Perché? Hai già la tua - sussurrai. Non me l'aveva mai chiesta prima di allora - Beh, perché sei stupida e grassa, Fiona -
- Mi chiamo Alice - ribattei stanca.
- Cos'è, ti ribelli oggi? - chiese indispettita Micol.
Scartai la merendina e me la ficcai in bocca più veloce della luce. Micol, stupita, mi si avvicinò e bisbigliò
- Guardati le spalle stupida balena - mi minacciò.

Mi aspettavano altre tre ore e poi sarebbe finita, per quel giorno almeno. Volevo solo essere invisibile. Volevo solo andare nel mio mondo. Buon compleanno a me!

La Realtà dei Sogni (in corso) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora