Capitolo 18

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JASON

Quella mattina, quando Lucrezia se ne andò, mi sentii confuso.

Lo strano comportamento della mia amica mi aveva impensierito, soprattutto perché, subito dopo le sue strane domande e le sciocche supposizioni, aveva affermato che non sarebbe venuta al nostro consueto pranzo domenicale.

Pensai che fosse strano. Quando le avevo chiesto informazioni non mi aveva dato una vera risposta, anzi era stata vaga e mi era parsa imbarazzata. Un comportamento non incline del sul carattere diretto e preciso.

Ma, nel rispetto delle sue ragioni, per quanto strane, non le avevo chiesto di più. Pensai che se si fosse sentita a suo agio a parlarne l'avrebbe fatto. Così non insistetti e le dissi di non preoccuparsi e che avrei avvisato io Marco.

Anche perché dubitavo che quel giorno, data la pioggia, sarebbe stato possibile muoversi da casa.

Così presi la mattinata con comodo, passandola a leggere e a scrivere il mio libro che, nel mentre, iniziava a prendere sempre di più forma.

Le mie dita si muovevano rapide sulla macchina da scrivere e i fogli venivano cambiati velocemente. Segno che la mia creatività era al massimo e che, molto probabilmente, sarei riuscito ad aiutare Scarlett nel minor tempo possibile.

Quando pensai a lei mi tesi, fermandomi.

Non mi aveva più chiamato e non aveva più inviato un messaggio da quando eravamo tornati da casa del padre. La cosa mi intristiva più di quanto avrei voluto.

Sapevo che Scarlett era una donna che difficilmente si lasciava andare ad emozioni di alcun tipo, però io ci speravo. Speravo che i baci che avevamo condiviso e le carezze che avevamo donato l'uno all'altra fossero di più che semplice attrazione fisica.

Non ci sarebbe stato nulla di male, se le cose fossero state davvero così, eppure il mio cuore la pensava diversamente.

E se..e se Lucrezia avesse detto il vero? Non ero conscio dei sentimenti di Scarlett, ma..di me si poteva dire la stessa cosa? Non riuscivo a dare un nome a ciò che provavo, proprio come avevo detto alla mia amica quella mattina, eppure...

Perché, per quanto ne sapevo io, il mio cuore sembrava sull'orlo del collasso ogni volta che pensavo, parlavo, baciavo Scarlett. Ma, al contempo, quando compivo anche solo una di quelle azioni mi sembrava di essere completo. Come se tutti i tasselli del mio puzzle fossero al loro posto.

Guardai fuori dalla finestra, la pioggia cadeva infrangendosi sul vetro, premonitrice dell'afa che ne sarebbe derivata.

Quindi, cosa c'era fra di noi? Avremmo compiuto mai il passo successivo o saremmo per sempre rimasti fermi sulla stessa linea, a domandarci chi eravamo o cosa provavamo?

Quel pensiero mi toglieva il respiro, soprattutto perché io a Scarlett tenevo..tanto.

Finii il mio caffè latte pensando a quanto fossi sciocco e, dopo essermi recato in bagno, mi infilai sotto la doccia, nella speranza di rinfrescarmi e schiarirmi le idee.

Avevo sempre pensato di essere un uomo troppo pensieroso, sempre soggetto all'ansia che i pensieri mi portavano.

Talvolta mi era capitato di chiedermi da chi avessi preso quella capacità di analisi mentale. Mio padre non sembrava preoccuparsi troppo di pensare prima di dire qualcosa e mia madre, invece, non pensava proprio. Ero l'ultimo di tre fratelli, persone con cui non avevo mai avuto grandi rapporti e da cui, sicuramente, non avevo preso poi molto.

Ripensai a Sam e al suo modo affettuoso di stringere la figlia.

Io non avevo mai conosciuto quel genere di amore. Mio padre era un uomo freddo e mia madre sembrava così sottomessa al suo sguardo che raramente si comportava come desiderava. Tutto pur di non farlo arrabbiare.

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