Capitolo Uno

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La giornata passò lentamente, fino a quando il dottore non prelevò la bambina dalla Stanza Arcobaleno per portarla in un ambulatorio.
Qui la fece accomodare su di una sedia e la legò.
«Cosa vuole farmi? Perché mi ha legata?» chiese andando nel panico.
«Non preoccuparti, farò in un momento. Devi solo stare ferma.» detto ciò si girò per prendere qualcosa.
Era una macchinetta per tatuaggi.
«Ferma e tranquilla, durerà poco.» disse Brenner.
Si chinò sul braccio sinistro della bambina e iniziò a disegnare qualcosa.
La mora soffriva in silenzio e versò qualche lacrima di dolore.
«Ecco fatto. Questo è il tuo nuovo nome.»
Lei guardò il polso arrossato e scorse una A maiuscola.
«D'ora in poi sarai semplicemente A, piccola.»
L'aveva privata del suo nome, come si fa con i prigionieri.
Era piccola, ma molto sveglia e questo pensiero la fece solo che piangere ancor di più.
«No, non piangere. Vedrai che qui starai bene.» parlava con frasi fatte, tutto il tempo e questo le dava solo un gran fastidio.
«È ora di mangiare, ti riporto nella tua stanza.»
Mentre tornava nella camera assegnatale notò che c'era una targhetta sulla porta con scritto "A".
Ormai era il suo nome a tutti gli effetti, doveva rassegnarsi.
Brenner aprí la porta e ad aspettarli c'era un vassoio con tanto buon cibo.
A si sedette sul letto e si sdraiò, non degnando di uno sguardo il dottore.
«Devi mangiare, piccola.» disse accomodandosi sulla sedia.
«Non ho fame.» rispose con astio.
«Ma hai bisogno di forze, altrimenti sverrai.»
«A cosa mi servono le forze se starò sempre rinchiusa da qualche parte?»
«Sei insolente, A. Vedi, da domani farai parte di un programma che richiederà tutte le tue forze e tutta la tua concentrazione.»
«Quindi sarò una cavia?»
«No, ma se la vuoi mettere così, sei libera di farlo.» fece spallucce il dottore.
«Perché A? Perché non Uno?» chiese confusa. Aveva capito di essere la prima della catena.
«Perché Uno è già esistito. E tu sei diversa da Uno: sei speciale.»
«Si riferisce ai miei genitori? So che loro hanno fatto parte di un progetto dei governi italiano e statunitense.»
«Sei molto sveglia, A, mi fa piacere saperlo. E comunque se vuoi una risposta alla tua domanda è sì, c'entrano i tuoi cari mamma e papà.»
«E allora perché ha preso solo me?»
«Te l'ho già detto: tu sei speciale.»
«Ma cosa vuol dire?» insistette.
«Lo vedrai domani. Ora mangia, o la pasta si fredderà.»
«Pasta?» chiese stranita.
«So che è il tuo piatto preferito, soprattutto se alla carbonara.» sollevò il coperchio e una degna carbonara di una romana fece la sua comparsa.
La bimba aveva l'acquolina in bocca, ma non volle mangiare comunque.
«Andiamo, non puoi digiunare.»
«Sì che posso, lo sto facendo.» mormorò ancora di spalle.
«E va bene, A.» Brenner si alzò dalla sedia e uscì dalla stanzetta.
Poco dopo qualcuno bussò e senza attendere entrò.
«Ho detto che non mangio.» esclamò infastidita la bambina per poi trovarsi davanti Peter.
«E tu che ci fai qua?»
«Papà ha detto di farti compagnia e di farti mangiare.» rispose il ragazzino.
«È tuo padre?»
«No, ma vuole essere chiamato così.»
«Oh, non lo sapevo.»
«Tu sei A, giusto?»
«Sì...» rispose sconsolata. Quella lettera non le andava per niente a genio.
«Bene A, perché non mangi?»
«Non ho fame. E poi non è mica una questione di Stato se non voglio mangiare!» sbuffò.
«Non mentire: so che è il tuo piatto preferito e so che è italiano come te. Inoltre so che hai tanta voglia di mangiare.»
«E tu come fai a saperlo?» chiese alzando un sopracciglio.
«Te lo leggo negli occhi.» rispose Peter candidamente, con un sorrisetto vagamente beffardo.
«Tu come sei finito qui?» chiese la mora, un po' indispettita.
«Ci sono nato.»
Una leggera scossa fu avvertita da A e, non sapeva nemmeno lei come, capì che lui stava mentendo.
«Non mentire.» disse nello stesso tono usato da lui poco prima.
«Te lo leggo negli occhi.» aggiunse sempre citandolo.
«Beh ecco, sono qui da quando sono morte mia madre e mia sorella e hanno arrestato mio padre. Io sono finito in coma e mi sono risvegliato qui.»
«Quindi sei stato rapito anche tu?»
«No, papà mi ha salvato.» disse con un tono poco convincente, ma di cui la bimba non si curò dovutamente.
«Quindi... qui è un posto sicuro.» sembrava più una considerazione che una domanda.
«Non lo so. Sono qui da poco.» parlò guardando oltre le spalle della bambina, per non scontrare i suoi occhi azzurri e spenti con quelli grigi e brillanti della mora. Avrebbe capito che era una menzogna.
«Beneficio del dubbio, quindi?» borbottò in italiano la piccola.
«Come, prego?»
«Ah? Niente, niente.» disse lei guardandosi le mani, forse un po' imbarazzata.
Peter finalmente si sedette, ma sul letto, accanto alla bambina, e non sulla sedia come Brenner.
«Avanti, mangia.» le ordinò pacato.
La mora scosse il capo in senso negativo.
Il ragazzino sbuffò e prese la forchetta, arrotolò gli spaghetti e, facendo attenzione a non far cadere niente, avvicinò il boccone alla piccola.
La bimba fu colpita da quel gesto di gentilezza e decise di prendere quel solitario boccone. Ma solo quello, si disse.
«Ecco, bravissima.» le sorrise lui soddisfatto.
Alla fine la imboccò come si fa con i bambini piccoli e il piatto fu completamente pulito.
«Non ci voleva molto, hai visto?»
«È che... insomma... vedi... non lo so!» esclamò in preda alla balbuzie.
«Se vuoi posso imboccarti a tutti i pasti, così sarai sempre in forze e finirai tutto il piatto.»
«No, grazie. Non sono una bambina!»
«Certo...» la schernì lui ridacchiando.
«Ehi!» lo sgridò seria e con un cipiglio arrabbiato.
Lui non si scusò, non l'avrebbe mai fatto, e si congedò facendole una veloce carezza sul capo.
Dopo che Peter uscì, A si coricò e si addormentò quasi subito a causa della molta stanchezza.

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